Divano di colore diverso: non costituisce vendita “aliud pro alio”

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE – ORDINANZA 3 giugno 2020, n. 10456

MASSIMA

L’ipotesi di vendita di “aliud pro alio” sussiste quando il bene consegnato è completamente diverso da quello venduto, poichè appartenente ad un genere differente oppure con difetti che gli impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziale dalle parti”

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Milano, in sede di appello, con sentenza del 28.5.2015, riformando la decisione del Giudice di pace di Milano, rigettava la domanda proposta da P.F. nei confronti della ditta Corlaita, con la quale l’attore chiedeva la risoluzione del contratto di vendita di un divano, per vizi della cosa venduta.

1.1. Il giudice d’appello riteneva che la differenza tra il tessuto ordinato, il velluto, e quello con cui era stato realizzato il divano, la moquette, fosse stato accettato dall’acquirente; quanto alla differenza di tonalità tra il colore richiesto, il verde smeraldo, e quello realizzato, di colore verde marcio, si trattava di elemento non essenziale nell’economia del contratto, in quanto era emerso dall’istruttoria che l’attore non aveva espressamente richiesto che il colore fosse intonato alla tonalità della mobilia; in ogni caso, pur trattandosi di difformità facilmente rilevabile al momento della consegna, il P. non ne aveva chiesto immediatamente la sostituzione, nè lo aveva fatto al momento della posa in opera in data 14.9.2007; al contrario, con fax del 26.9.2007, aveva inviato alla società venditrice i dati per l’emissione della fatturazione, che era stata regolarmente emessa.

1.2. Il giudice d’appello faceva applicazione del Codice del consumo ed in particolare:

– dell’art. 132, il quale prevede che non sia necessaria la denuncia dei vizi entro due mesi dalla data della scoperta del difetto, se il venditore ha riconosciuto l’esistenza dei vizi; nella specie, mentre il difetto di tonalità era stato riconosciuto dalla teste B., moglie del Corlaita, nessun riconoscimento dei vizi vi era stato per il rivestimento dei cuscini, sicchè la denuncia era stata tardivamente effettuata;

– dell’art. 130, il quale prevede che, in caso di difetto di conformità, il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto. L’art. 130, u.c., stabilisce che un difetto di conformità di lieve entità, per il quale non è stato possibile o è eccessivamente oneroso esperire i rimedi della riparazione o della sostituzione, non dà diritto alla risoluzione del contratto.

1.3. Il Tribunale riteneva che la differenza di tonalità integrasse una difformità di lieve entità, che non dava luogo alla risoluzione del contratto, tanto più che non erano state prodotte delle foto della mobilia dell’appartamento del P., che, successivamente, era stato venduto unitamente ai mobili.

1.4. Non avendo l’attore chiesto la sostituzione del divano, nè la restituzione ed avendo proceduto all’alienazione del bene, l’unico rimedio esperibile era la riduzione del prezzo ma, il P., costituendosi nel giudizio d’appello, non aveva riproposto tale richiesta, che si intendeva, pertanto, rinunciata.

2. Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso P.F. sulla base di un unico motivo, corredato da memoria illustrativa depositata in prossimità dell’udienza.

3. Ha resistito con controricorso la ditta individuale Corlaita.

TESTO DELLA SENTENZA

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE – ORDINANZA 3 giugno 2020, n.10456

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 129 e art. 130, commi 7 e 10, art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Afferma il ricorrente che il giudice d’appello avrebbe errato nel ritenere che la consegna del divano di una tonalità diversa da quella richiesta costituisca vizio di lieve entità, mentre si tratterebbe di una ipotesi di vendita aliud pro alio. In ogni caso, egli avrebbe chiesto la sostituzione in occasione della consegna del divano di un tessuto diverso da quello ordinato, sì da rendere superflua un’ulteriore richiesta di sostituzione. Il giudice d’appello non avrebbe considerato, infine, i gravi disagi derivanti dalla consegna di un bene affetto da vizi e dai disagi derivanti dal contenzioso promosso nei confronti della società venditrice.

2. Il motivo non è fondato.

2.1. L’ipotesi di vendita di ‘aliud pro alio’ ricorre quando il bene consegnato è completamente diverso da quello venduto, perchè appartenente ad un genere differente oppure con difetti che gli impediscono di assolvere alla sua funzione naturale o a quella concreta assunta come essenziale dalle parti (Cassazione civile sez. II, 24/04/2018, n. 10045).

2.2. Nella specie, la consegna di un divano dello stesso colore ma di tonalità diversa da quella pattuita non costituisce un vizio tale da impedire l’utilizzo del bene secondo la sua destinazione.

2.3. Il Tribunale, applicando la disciplina prevista dal Codice del Consumo, ha qualificato il vizio denunciato sulla base dell’art. 130, ritenendo che fosse ipotizzabile un difetto di conformità, da cui derivava il diritto del consumatore a chiedere, senza spese, il ripristino della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto.

2.4. Qualora, però, il difetto di conformità sia di lieve entità e non sia possibile, o sia eccessivamente oneroso, esperire i rimedi della riparazione o della sostituzione, l’art. 130, u.c., prevede che non sia possibile chiedere la risoluzione del contratto.

2.5. Il Tribunale ha ritenuto che il difetto di conformità fosse di lieve entità, basandosi sia su un criterio oggettivo, in quanto si trattava di diversa tonalità dello stesso colore, sia sul comportamento del compratore, che aveva inviato, subito dopo la consegna, i suoi dati per l’emissione della fattura senza svolgere alcuna contestazione. Non vi era stata, pertanto, alcuna manifestazione di volontà di chiedere la sostituzione neanche successivamente, ma, al contrario, il ricorrente aveva alienato l’appartamento unitamente al mobilio.

2.6. Non viene censurato, pertanto, il vizio di violazione e falsa applicazione di legge, ma l’apprezzamento del giudice di merito sulle ragioni in base alle quali ha ritenuto che il difetto di conformità fosse di lieve entità; a tali valutazioni, il ricorrente contrappone diverse motivazioni fattuali, estranee al sindacato di legittimità.

2.7. Non vi è stata, pertanto violazione dell’art. 115 c.p.c., ma una diversa valutazione delle risultanze istruttorie, dalle quali era emerso che l’attore non aveva chiesto la sostituzione del divano, nè la restituzione del bene, ma aveva proceduto all’alienazione del medesimo, sicchè l’unico rimedio esperibile era la riduzione del prezzo; tuttavia, egli, costituendosi nel giudizio d’appello, non aveva riproposto la questione ai sensi dell’art. 346 c.p.c., che, pertanto, si intendeva rinunciata.

3. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

4. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1300,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese vive, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, Iva e cap come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2020

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