Contestazione disciplinare generica equivale a insussistenza del fatto: lavoratore reintegrato per violazione del diritto di difesa – Tribunale di Bari 2025

Nel panorama giuslavoristico italiano, la specificità della contestazione disciplinare rappresenta uno dei pilastri fondamentali a tutela dei diritti del lavoratore nel processo che può condurre al licenziamento. Una recente pronuncia del Tribunale di Bari del 2025 riaccende i riflettori sulla necessità che il datore di lavoro rispetti scrupolosamente le garanzie procedurali previste dall’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori, pena l’invalidità dell’intero procedimento disciplinare.

La vicenda che ha portato all’attenzione del giudice del lavoro una complessa questione riguardante la legittimità di un licenziamento per giusta causa, evidenzia come la mancanza di precisione nella descrizione dei fatti contestati possa compromettere irrimediabilmente l’esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro. Il caso esaminato dalla Dott.ssa Angela Vernia dimostra l’importanza cruciale che il nostro ordinamento attribuisce al diritto di difesa del lavoratore, che può essere efficacemente esercitato solo quando la contestazione sia sufficientemente specifica e circostanziata.

La sentenza si inserisce nel solco consolidato della giurisprudenza di legittimità che considera la preventiva contestazione dell’addebito come “espressione di un inderogabile principio di civiltà giuridica“, secondo quanto stabilito dalla storica pronuncia della Corte Costituzionale n. 204 del 1982. Il principio della specificità non ammette deroghe o interpretazioni riduttive, rappresentando una garanzia essenziale per l’equilibrio del rapporto di lavoro e per la tutela della parte più debole del contratto.

Il Tribunale di Bari ha affrontato una fattispecie in cui il licenziamento disciplinare è stato impugnato dal lavoratore che ne contestava la legittimità, invocando l’illegittimità e nullità del provvedimento e chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro. La controversia si è sviluppata attorno alla questione centrale della genericità della contestazione disciplinare, che secondo la difesa del ricorrente non avrebbe consentito un adeguato esercizio del diritto di difesa. La pronuncia del 2025 offre interessanti spunti di riflessione sulle conseguenze procedurali e sostanziali che derivano dalla violazione delle garanzie minime previste dalla normativa giuslavoristica.

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Indice

  • ESPOSIZIONE DEI FATTI
  • NORMATIVA E PRECEDENTI
  • DECISIONE DEL CASO E ANALISI
  • ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI

La controversia trae origine dal licenziamento per giusta causa intimato da una società nei confronti di un proprio dipendente con comunicazione del 12 aprile 2021. Il rapporto di lavoro era regolato secondo i principi del diritto del lavoro subordinato, con il lavoratore che svolgeva mansioni operative presso cantieri ferroviari, attività caratterizzata da particolari esigenze di sicurezza sul lavoro e attenzione.

Il procedimento disciplinare era stato avviato dalla società datoriale con una contestazione di addebito inoltrata tra il 31 marzo e il 2 aprile 2021, mediante raccomandata a mani. In tale comunicazione, l’azienda imputava al dipendente una serie di comportamenti inadeguati che, secondo la valutazione datoriale, integravano gli estremi per un licenziamento disciplinare per giusta causa.

Le condotte contestate riguardavano principalmente due ambiti di violazione degli obblighi contrattuali. Da un lato, veniva addebitato al lavoratore un atteggiamento di scarsa concentrazione e diligenza nello svolgimento delle mansioni assegnate, con particolare riferimento a presunti errori e imprecisioni che avrebbero compromesso la qualità del lavoro e potenzialmente esposto i colleghi a rischi per la sicurezza. Dall’altro lato, la società contestava al dipendente di aver espresso in varie occasioni commenti autolesionisti davanti a colleghi e vertici aziendali, utilizzando toni ritenuti inappropriati e lesivi dell’immagine aziendale.

La lettera di licenziamento del 12 aprile 2021 riprendeva sostanzialmente gli addebiti già formulati nella contestazione disciplinare, specificando che le condotte del lavoratore integravano una violazione degli obblighi previsti dall’articolo 64 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del settore metalmeccanico. In particolare, venivano richiamati l’obbligo di osservare le direttive impartite dai superiori, il dovere di dedicare attività diligente al disbrigo delle mansioni assegnate, e l’obbligo di astenersi da azioni che potessero distogliere dall’espletamento delle mansioni affidate.

Il lavoratore, ritenendo illegittimo il licenziamento, procedeva tempestivamente alla sua impugnazione stragiudiziale e successivamente proponeva ricorso dinanzi al Tribunale di Bari, Sezione Lavoro, invocando l’annullamento del provvedimento e la reintegrazione nel posto di lavoro. La difesa del ricorrente si articolava principalmente sulla genericità della contestazione disciplinare, sostenendo che la stessa non forniva indicazioni sufficientemente precise per consentire un adeguato esercizio del diritto di difesa costituzionalmente garantito.

NORMATIVA E PRECEDENTI

Il quadro normativo di riferimento per la risoluzione della controversia si articola principalmente attorno alle disposizioni dell’articolo 7 della Legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei Lavoratori), che disciplina il procedimento per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari. Tale norma, fondamentale per l’equilibrio del rapporto di lavoro, stabilisce che il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa.

La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che il licenziamento disciplinare ha natura ontologicamente disciplinare quando è motivato dall’imputazione al dipendente di un grave inadempimento, indipendentemente dalla qualificazione formale data dal datore di lavoro. Questo orientamento trova la sua origine nella sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 1982, che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori, estendendone l’applicazione anche al licenziamento disciplinare.

Il Tribunale richiama espressamente diverse pronunce della Cassazione che hanno consolidato il principio secondo cui “sia nell’uno che nell’altro caso, sussiste l’obbligo di preventiva contestazione dell’addebito la cui violazione determina l’illegittimità del licenziamento“.

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