Cessione bancaria in blocco ex art. 58 TUB: il correntista agisce contro la banca cessionaria per restituzione anatocismo – Cassazione 2025

Quando una banca cede in blocco i propri crediti a un altro istituto bancario, chi risponde delle somme indebitamente trattenute dal cedente? È una domanda che riguarda migliaia di correntisti e che tocca uno dei temi più controversi del diritto bancario: l’anatocismo e i cosiddetti tassi uso piazza. La questione non è affatto accademica, perché dalla risposta dipende la possibilità concreta per chi ha subito addebiti illegittimi di ottenere la restituzione delle somme versate, anche quando il rapporto di conto corrente si è ormai chiuso e la banca originaria ha ceduto i propri crediti a un altro istituto. La Corte di Cassazione ha affrontato di recente questa problematica in una vicenda che ha visto contrapposti un fallimento e una primaria banca nazionale, giungendo a una conclusione di grande rilevanza pratica per tutti coloro che si trovano nella medesima situazione.

La regola che emerge dalla pronuncia dei giudici di legittimità è chiara e inequivocabile: quando avviene una cessione in blocco di crediti ai sensi dell’art. 58 del Testo Unico Bancario, il cessionario subentra non soltanto nei diritti ma anche nelle obbligazioni derivanti dal rapporto contrattuale sottostante. Questo significa che il correntista che ha pagato somme non dovute alla banca cedente per effetto dell’illegittima applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi o dell’utilizzo di tassi convenzionali difformi dalla normativa, può agire in via restitutoria nei confronti della banca cessionaria, una volta decorso il termine di 3 mesi dalla pubblicazione della cessione sulla Gazzetta Ufficiale. Non si tratta di una responsabilità accessoria o concorrente con quella del cedente, ma di una responsabilità esclusiva che grava sul cessionario in forza di una norma speciale derogatoria rispetto ai principi generali.

La vicenda processuale che ha dato origine alla pronuncia della Suprema Corte affonda le radici in un’opposizione allo stato passivo fallimentare, nell’ambito della quale la procedura concorsuale aveva proposto domanda riconvenzionale volta a ottenere la condanna della banca cessionaria al pagamento di una somma considerevole, che la società fallita aveva versato negli anni alla banca cedente in forza di clausole contrattuali ritenute illegittime. Il Tribunale aveva accolto la domanda del fallimento, ma la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione escludendo la legittimazione passiva della banca cessionaria. Secondo i giudici di secondo grado, infatti, la cessione aveva avuto a oggetto soltanto i crediti e non anche i contratti di conto corrente, con la conseguenza che il cessionario non poteva essere chiamato a rispondere di obbligazioni restitutorie derivanti da rapporti rimasti estranei all’operazione di trasferimento. Questa impostazione, però, non ha retto al vaglio della Cassazione, che ha cassato la sentenza di appello e rimesso la causa ai giudici distrettuali per un nuovo esame alla luce di principi completamente diversi.

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Avv. Cosimo Montinaro – segreteria@studiomontinaro.it


INDICE

  • ESPOSIZIONE DEI FATTI
  • NORMATIVA E PRECEDENTI
  • DECISIONE DEL CASO E ANALISI
  • ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI

La controversia trae origine da un’opposizione allo stato passivo di una procedura fallimentare proposta da una società di gestione crediti che agiva in qualità di procuratrice di un istituto bancario. Quest’ultimo si era reso cessionario dei crediti di una banca che aveva intrattenuto rapporti di conto corrente con la società poi fallita. La società di gestione crediti aveva chiesto l’ammissione al passivo fallimentare per un credito derivante da uno scoperto di conto corrente maturato nel corso del rapporto bancario. Il Fallimento, costituendosi in giudizio, non si era limitato a contestare l’ammissione al passivo del credito vantato dalla banca, ma aveva proposto domanda riconvenzionale chiedendo la condanna dell’istituto bancario, nella sua qualità di cessionario, al pagamento di una somma rilevante per illegittimi addebiti.

Tale importo rappresentava, secondo la tesi difensiva della curatela fallimentare, il totale delle somme illegittimamente addebitate alla società correntista nel corso degli anni in forza dell’applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi e della determinazione degli stessi sulla base di tassi uso piazza. Si trattava, in sostanza, di una classica azione di ripetizione di indebito fondata sull’illegittimità delle clausole contrattuali che avevano governato il rapporto di conto corrente tra la società poi fallita e la banca originaria cedente. La particolarità della vicenda risiedeva nel fatto che, nel frattempo, erano intervenute molteplici operazioni societarie straordinarie che avevano determinato il passaggio dei crediti da un istituto bancario all’altro attraverso cessioni in blocco e successivi accorpamenti per incorporazione.

Il Tribunale, in composizione collegiale, con sentenza del 2017 aveva accolto la domanda riconvenzionale del Fallimento e condannato l’istituto bancario al pagamento della somma richiesta. I giudici di primo grado avevano ritenuto che la banca cessionaria dovesse rispondere delle obbligazioni restitutorie derivanti dai rapporti di conto corrente intrattenuti dalla cedente con la società poi fallita. La decisione si fondava sulla ricostruzione dell’operazione di trasferimento in blocco dei crediti come cessione che aveva riguardato non soltanto i singoli crediti in sofferenza, ma anche i rapporti contrattuali dai quali essi derivavano. Di conseguenza, secondo il Tribunale, il cessionario era subentrato nella medesima posizione giuridica del cedente e doveva rispondere di tutte le obbligazioni nascenti da quei rapporti, comprese quelle di natura restitutoria.

La banca soccombente aveva proposto appello davanti alla Corte distrettuale, contestando radicalmente l’impostazione del Tribunale e sostenendo che la cessione aveva avuto a oggetto esclusivamente i crediti e non anche i contratti. La Corte d’Appello, con sentenza del 2022, aveva accolto il gravame, ribaltando completamente la decisione di primo grado. Dopo aver ricostruito analiticamente tutte le vicende relative ai conti correnti e ai passaggi di proprietà tra i vari istituti bancari, i giudici di secondo grado erano giunti alla conclusione che l’atto di cessione pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ai sensi dell’art. 58 del Testo Unico Bancario aveva trasferito soltanto i crediti in sofferenza maturati fino a una certa data, senza che vi fosse stata alcuna successione nei contratti di conto corrente.

Secondo questa ricostruzione, il cessionario non poteva essere chiamato a rispondere di pretese restitutorie relative a somme indebitamente trattenute dal cedente nell’ambito di contratti ai quali il cessionario era rimasto del tutto estraneo. La qualificazione dell’atto traslativo come mera cessione di crediti e non di cessione di contratti precludeva, secondo i giudici di secondo grado, al debitore ceduto la possibilità di far valere nei confronti del cessionario pretese restitutorie derivanti dai contratti di conto corrente relative a somme indebitamente trattenute dal cedente. Il Fallimento aveva quindi proposto ricorso per cassazione affidato a 2 motivi, contestando sia la violazione delle norme sulla cessione in blocco ex art. 58 del Testo Unico Bancario, sia l’errata interpretazione dell’estratto di contratto di cessione pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.


NORMATIVA E PRECEDENTI

La disciplina delle cessioni di crediti in ambito bancario trova il proprio fondamento normativo nell’art. 58 del Testo Unico Bancario (d.lgs. 385/1993), che rappresenta una disposizione speciale rispetto alla disciplina generale della cessione dei crediti contenuta nel codice civile. Il comma 1 di tale articolo consente alle banche di cedere ad altre banche aziende, rami d’azienda, beni e rapporti giuridici individuabili in blocco. La peculiarità di questa forma di cessione risiede nelle modalità semplificate di pubblicità: la notizia della cessione avviene mediante pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e tale pubblicazione produce gli effetti previsti dall’art. 1264 c.c. nei confronti dei debitori ceduti.

Il comma 5 dello stesso art. 58 contiene una norma di particolare rilevanza per la risoluzione delle controversie tra cedente, cessionario e debitori ceduti. Tale disposizione prevede che “i creditori ceduti hanno facoltà, entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari previsti dal comma 2, di esigere dal cedente o dal cessionario l’adempimento delle obbligazioni oggetto di cessione. Trascorso il termine di tre mesi, il cessionario risponde in via esclusiva”. Questa previsione normativa ha dato luogo a un ampio dibattito interpretativo, soprattutto con riferimento alla questione se tra i “creditori ceduti” debbano essere ricompresi anche i soggetti che, pur essendo formalmente debitori del cedente, vantano a loro volta delle pretese creditorie nei confronti di quest’ultimo derivanti dal medesimo rapporto contrattuale.

La Cassazione ha avuto modo di affrontare più volte il tema della legittimazione passiva del cessionario nelle azioni promosse dai debitori ceduti. Con la sentenza n. 10653/2010, la Suprema Corte ha chiarito che l’art. 58 del Testo Unico Bancario, nel prevedere il trasferimento delle passività al cessionario in forza della sola cessione e del decorso del termine di 3 mesi dalla pubblicità notizia di essa, deroga all’art. 2560 c.c. in virtù del principio di specialità. La norma realizza una disciplina ritenuta strumentale rispetto alla tutela degli interessi dei creditori del cedente, tanto da comportare la nullità di eventuali clausole con le quali le parti prevedano una limitazione della responsabilità del cessionario.

Un altro precedente significativo è rappresentato dalla sentenza n. 18258/2014, con la quale la Corte ha ribadito che la cessione in blocco ai sensi dell’art. 58 del Testo Unico Bancario non si limita al trasferimento dei singoli crediti, ma comporta anche il trasferimento dei rapporti contrattuali dai quali essi derivano. Questo principio trova la propria ratio nella circostanza che la cessione del credito, lasciando inalterati i termini e le modalità del rapporto sostanziale da cui il credito trae origine, comporta che il debitore ceduto diventa obbligato verso il cessionario allo stesso modo in cui lo era nei confronti del creditore originario. Di conseguenza, non può determinarsi una modifica peggiorativa della posizione del debitore ceduto, il quale deve poter opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente.

La giurisprudenza ha inoltre precisato, con le sentenze n. 275/2001, n. 24657/2016 e n. 9842/2018, che il debitore ceduto può opporre al cessionario sia le eccezioni attinenti alla validità del titolo costitutivo del credito, sia quelle relative ai fatti modificativi ed estintivi del rapporto anteriori alla cessione, sia anche quelle relative a fatti posteriori al trasferimento ma anteriori all’accettazione della cessione o alla sua notifica o alla sua conoscenza di fatto. Questo orientamento trova la propria giustificazione nella necessità di garantire che il debitore ceduto non subisca un pregiudizio dalla cessione, potendo far valere nei confronti del cessionario le medesime difese che avrebbe potuto opporre al cedente.

La sentenza n. 28125/2021 ha ulteriormente chiarito che tra i “creditori ceduti” di cui all’art. 58, comma 5, del Testo Unico Bancario va annoverato anche il correntista che risulta titolare di una pretesa restitutoria derivante da illegittima applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi e determinazione degli stessi sulla base di tassi uso piazza. Quest’ultimo ha quindi la possibilità di far valere, decorso il termine di 3 mesi dalla pubblicazione della cessione sulla Gazzetta Ufficiale, le eccezioni e le pretese creditorie derivanti dal rapporto sottostante esclusivamente nei confronti del cessionario, non essendo più il cedente legittimato passivo.


DECISIONE DEL CASO E ANALISI

La Corte di Cassazione, investita del ricorso proposto dal Fallimento, ha accolto entrambi i motivi ritenendoli fondati. I giudici di legittimità hanno cassato la sentenza della Corte d’Appello e rimesso la causa ai giudici distrettuali per un nuovo esame alla luce del principio di diritto enunciato. Il ragionamento della Suprema Corte si articola su diversi piani, tutti convergenti verso la medesima conclusione: la banca cessionaria deve rispondere delle obbligazioni restitutorie derivanti dai rapporti di conto corrente intrattenuti dalla cedente con il correntista.

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