La cessione di crediti bancari in blocco rappresenta uno degli strumenti più utilizzati nel settore creditizio per la gestione dei portafogli di crediti deteriorati. Tuttavia, la semplice pubblicazione in Gazzetta Ufficiale non costituisce sempre prova sufficiente dell’avvenuta cessione di uno specifico rapporto creditorio, come dimostra una recente pronuncia che ha visto protagonisti un istituto di credito cooperativo e diversi soggetti coinvolti in complesse operazioni di cessione e fusione societaria.
La vicenda trae origine da un contratto di apertura di credito stipulato nel 2007 e da un successivo mutuo chirografario del 2010, garantiti da fideiussioni specifiche e omnibus. Nel corso degli anni, il credito ha subito diverse cessioni in blocco ai sensi dell’articolo 58 del Testo Unico Bancario, con relative pubblicazioni sulla Gazzetta Ufficiale, fino ad arrivare nelle mani di una società specializzata nel recupero crediti che ha ottenuto un decreto ingiuntivo.
Quando i debitori hanno proposto opposizione al decreto ingiuntivo, contestando sia la legittimazione ad agire della creditrice sia l’entità del debito per via di pagamenti parziali effettuati, si è aperto un interessante scenario processuale che ha coinvolto anche questioni di successione universale derivanti da operazioni di fusione per incorporazione intervenute nel corso del procedimento.
Il Tribunale di Sulmona, con una sentenza del 2025, ha affrontato le complesse problematiche probatorie legate alle cessioni di crediti in blocco, stabilendo principi di particolare rilevanza per la prassi del settore creditizio e per tutti gli operatori che si occupano di recupero crediti e di opposizioni a decreti ingiuntivi.
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Avv. Cosimo Montinaro – e-mail segreteria@studiomontinaro.it
Indice
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI
La controversia ha origine nel marzo 2007, quando la Banca di Credito Cooperativo di Pratola Peligna stipulò con un cliente privato un contratto di apertura di credito in conto corrente per l’importo di 5.000 euro. Contestualmente, venne rilasciata una fideiussione specifica da parte della moglie del correntista fino alla concorrenza di 10.000 euro, a garanzia delle obbligazioni assunte.
Nel corso del 2009, l’istituto di credito concesse un aumento dell’apertura di credito portando il limite da 5.000 a 8.000 euro, salvo poi ridurlo nuovamente a 3.000 euro nell’ottobre 2010. In pari data, sempre nell’ottobre 2010, la Banca stipulò con il medesimo cliente un contratto di mutuo chirografario dell’importo di 25.000 euro, da rimborsare in 60 rate mensili posticipate con scadenza finale al 6 ottobre 2015 e tasso di interesse annuo del 4,18%.
A garanzia di questa nuova operazione creditizia, oltre alla moglie del mutuatario, intervenne anche la figlia, sottoscrivendo entrambe lettere di fideiussione omnibus fino alla concorrenza di 6.000 euro ciascuna, nonché fideiussioni specifiche per 50.000 euro cadauna. Si creava così un articolato sistema di garanzie personali a copertura delle esposizioni del debitore principale.
Le difficoltà economiche del mutuatario si manifestarono già nel 2013, quando iniziarono i ritardi nei pagamenti delle rate del mutuo chirografario. Nel gennaio 2015, riconoscendosi debitore di 14.755,10 euro oltre interessi, il cliente formulò una proposta di rientro per il pagamento rateale delle quote arretrate, impegnandosi a versare le rate dalla numero 21 alla numero 32. Tuttavia, anche questo accordo di ristrutturazione del debito non venne rispettato, portando la Banca a risolvere i rapporti contrattuali con raccomandata del dicembre 2015.
Nel novembre 2017, il debitore presentò una nuova proposta transattiva avente valore di ricognizione del debito per 10.000 euro, accettata dalla Banca di Pratola Peligna con un piano di rientro articolato in una prima rata di 1.000 euro entro febbraio 2018 e 60 rate successive da 150 euro ciascuna fino a febbraio 2023. Anche questo ulteriore tentativo di componimento bonario della controversia si rivelò infruttuoso per l’inadempimento del debitore.
Nel frattempo, il mercato dei crediti deteriorati aveva visto crescere significativamente le operazioni di cartolarizzazione e cessione in blocco. Nel dicembre 2016, attraverso un contratto di cessione in blocco ai sensi del combinato disposto dell’articolo 1 e dell’articolo 4 della Legge sulla Cartolarizzazione e dell’articolo 58 del Testo Unico Bancario, una società specializzata acquisì da diverse banche di credito cooperativo, tra cui quella di Pratola Peligna, crediti pecuniari individuabili in blocco.
NORMATIVA E PRECEDENTI
Il quadro normativo di riferimento per la risoluzione della controversia si articola principalmente intorno all’articolo 58 del Testo Unico Bancario (D.Lgs. 385/1993), che disciplina le cessioni di crediti in blocco da parte degli enti creditizi. Questa disposizione consente alle banche di cedere in blocco crediti pecuniari individuabili in base a criteri oggettivi, con la particolare modalità di notificazione ai debitori attraverso la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Il legislatore ha previsto questo meccanismo semplificato di notificazione per consentire alle banche di gestire in modo efficiente i portafogli di crediti deteriorati, evitando l’onere di notificare singolarmente a ciascun debitore l’avvenuta cessione. La pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale sostituisce quindi la notificazione individuale prevista dall’articolo 1264 del Codice Civile per le cessioni ordinarie.
Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la mera pubblicazione dell’avviso in Gazzetta Ufficiale non esaurisce gli oneri probatori a carico del cessionario. La Cassazione Civile, Sezione III, con sentenza 6 febbraio 2024, n. 3405, ha stabilito che “la cessione dei crediti bancari in blocco deve essere provata da chi assume avere la legittimazione sostanziale, salvo che la controparte non l’abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta“.
Questa pronuncia ha precisato che, in tema di cessione di crediti in blocco ex art. 58 TUB, quando il debitore ceduto contesti l’esistenza dei contratti, “ai fini della relativa prova non è sufficiente quella della notificazione della detta cessione, neppure se avvenuta mediante avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale“. Il giudice deve procedere ad un accertamento complessivo delle risultanze di fatto, nell’ambito del quale la pubblicazione può rivestire soltanto un valore indiziario.
Ulteriore chiarimento è arrivato dalla Cassazione con sentenza 20 luglio 2023, n. 21821, secondo cui “l’unico effetto della pubblicazione è quello di esentare il cessionario dalla notifica della cessione al debitore ceduto, ma non anche la prova dell’avvenuta cessione“. L’avviso pubblicato in Gazzetta Ufficiale, per poter fungere da prova dell’avvenuta cessione, deve “contenere tutti gli elementi necessari a identificare con precisione il credito, in modo tale da poter affermare con certezza la sua inclusione nella cessione“.
Il quadro normativo si completa con le disposizioni in materia di fusioni societarie, disciplinate dagli articoli 2504 e seguenti del Codice Civile. L’articolo 2504-bis stabilisce che “la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi della società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti anche processuali, anteriori alla fusione“.
La Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n. 21970/2021, ha precisato che “la fusione per incorporazione estingue la società incorporata, la quale non può dunque iniziare un giudizio in persona del suo ex amministratore, ferma restando la facoltà per la società incorporante di spiegare intervento volontario in corso di causa” ai sensi dell’articolo 105 del Codice di Procedura Civile.
DECISIONE DEL CASO E ANALISI
Il Tribunale di Sulmona ha affrontato la duplice questione sollevata dall’opposizione: il difetto di legittimazione ad agire della società creditrice e l’avvenuto pagamento parziale del debito. Entrambe le eccezioni hanno trovato accoglimento, seppure con esiti diversi sul piano sostanziale.