MODELLO Ricorso ATP MEDICA (GELLI-BIANCO)

MODELLO RICORSO PER ACCERTAMENTO TECNICO PREVENTIVO (ATP) PER RESPONSABILITÀ SANITARIA (RIFORMA GELLI-BIANCO)


Introduzione

La responsabilità sanitaria è un campo complesso e delicato che coinvolge la salute dei cittadini e la professionalità degli operatori sanitari. Nel 2017, il legislatore italiano ha introdotto la Legge n. 24, nota come “Riforma Gelli-Bianco“, per riordinare il settore e apportare importanti novità. Questa riforma ha introdotto la necessità di sottoporsi preventivamente a un procedimento per consulenza tecnica preventiva (ATP) come condizione di procedibilità per avviare un’azione legale di risarcimento danni, o, in alternativa, ricorrere alla mediazione.

La richiesta di ATP deve essere rivolta anche direttamente nei confronti della compagnia di assicurazione dei resisistenti (vera e propria azione diretta sul modello della RCA), in quanto l’art. 8 della legge Gelli-Bianco prevede espressamente l’obbligatoria partecipazione al procedimento di consulenza tecnica preventiva di tutte le parti “comprese le imprese di assicurazione […] che hanno l’obbligo di formulare l’offerta di risarcimento del danno“.

L’ATP è preferibile per due ragioni principali: offre tempistiche e costi contenuti rispetto all’avvio di un giudizio di merito e consente l’utilizzo della consulenza tecnica d’ufficio nel giudizio successivo, evitando duplicazioni e accelerando il procedimento. La procedura di ATP prevede il ricorso al Tribunale competente, la nomina del Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) da parte del giudice, lo svolgimento della consulenza tecnica con esame degli atti, accertamento della responsabilità medica e il tentativo di conciliazione, seguito dal deposito della relazione del CTU.

L’esito del procedimento può portare a un accordo conciliativo, formalizzato in un verbale con valore di titolo esecutivo, oppure, in caso di mancata conciliazione, all’introduzione del relativo giudizio di merito con possibilità di utilizzare la CTU già svolta.

Il giudizio di merito deve essere introdotto entro 90 giorni dalla data del deposito della CTU.

La procedura di ATP non può durare più di sei mesi. Sebbene l’ATP offra numerosi vantaggi, tra cui una valutazione preliminare, riduzione dei tempi e dei costi del processo e possibilità di conciliazione stragiudiziale, presenta anche degli svantaggi, come la possibilità di esito negativo del tentativo di conciliazione.

In conclusione, l’ATP rappresenta uno strumento prezioso per gestire le controversie sulla responsabilità sanitaria, contribuendo all’efficienza e alla garanzia del sistema giudiziario e facilitando l’accesso alla giustizia per i cittadini. La sua introduzione ha favorito una risoluzione più tempestiva delle dispute.


TRIBUNALE DI [Città]

RICORSO PER ACCERTAMENTO TECNICO PREVENTIVO EX ART. 696 BIS C.P.C. IN RELAZIONE ALL’ART. 8 L. 24/2017

Ill.mo Sig. Presidente

Per: sig. _________ nato a _________ (___) il giorno ___/___/_____ e residente in _________ alla Via _________ , n ___, C.F. _________, elettivamente domiciliato in _________ alla Via _________, n.___, presso lo studio dell’Avv. _________  (C.F. _____) che lo rappresenta e difende in virtù di procura alle liti rilasciata su foglio cartaceo separato, da intendersi, ai sensi dell’art. 83, III^ comma, c.p.c., apposta in calce al presente atto; con dichiarazione di voler ricevere avvisi, comunicazioni e notificazioni al seguente indirizzo pec ___________ presso il quale si elegge domicilio digitale ovvero al seguente n. di fax ___________

– ricorrente –

CONTRO

  • [Nome e cognome del MEDICO], nato a [Città di nascita] il [Data di nascita] e domiciliato a [Indirizzo], C.F. [Codice fiscale]
  • [Denominazione STRUTTURA SANITARIA], in persona del legale rappr. p.t., con sede legale in [Indirizzo], P.IVA [Partita IVA]
  • [Denominazione COMPAGNIA DI ASSICURAZIONE], in persona del legale rappr. p.t., con sede legale in [Indirizzo], P.IVA [Partita IVA]

– resistenti –

* * * * *

Con il presente atto, il ricorrente [Nome e cognome] intende proporre ricorso ex art. 696 bis c.p.c. in relazione all’art. 8 L. 24/2017, al fine di ottenere l’accertamento tecnico preventivo della responsabilità medica dei resistenti in relazione ai danni subiti a seguito di (descrivere brevemente l’evento dannoso).

IN FATTO

[Descrivere in modo dettagliato i fatti di causa, fornendo tutte le informazioni utili ai fini della comprensione della vicenda, tra cui le date degli eventi, i nominativi dei medici coinvolti, le prestazioni sanitarie ricevute, le diagnosi formulate, l’evoluzione del quadro clinico, i danni subiti].

IN DIRITTO

Sulla responsabilità dei resistenti

[Sulla base dei fatti di causa, argomentare la responsabilità dei resistenti, evidenziando le negligenze, le imprudenze o le imperizie commesse, le violazioni delle linee guida o dei protocolli sanitari, il nesso causale tra le condotte dei resistenti e i danni subiti dal ricorrente].

Prima di esaminare il merito della questione, occorre in via preliminare chiarire alcuni aspetti generali in materia di responsabilità della struttura sanitaria.

Come noto, l’ampio dibattito sviluppatosi nel corso degli anni ha portato pacificamente la giurisprudenza prima e il legislatore poi a ritenere che la responsabilità della struttura ospedaliera nei confronti del paziente sia di tipo contrattuale.

Si sono tuttavia registrati nel corso degli anni diversi orientamenti in merito alla ripartizione dell’onere probatorio.

La Cassazione ha precisato a Sezioni Unite che “In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante” (Cass. civ., SU, n. 577 dell’11.1.2008).

Anche la giurisprudenza successiva, in merito alla ripartizione dell’onere della prova, ha chiarito che “Nel giudizio di risarcimento del danno conseguente ad attività medico chirurgica, l’attore danneggiato ha l’onere di provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e di allegare l’inadempimento qualificato del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, restando, invece, a carico del medico e/o della struttura sanitaria la dimostrazione che tale inadempimento non si sia verificato, ovvero che esso non sia stato causa del danno. Ne consegue che qualora, all’esito del giudizio, permanga incertezza sull’esistenza del nesso causale fra condotta del medico e danno, questa ricade sul debitore” (Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 20547 del 30/09/2014).

In tempi recenti è stato tuttavia specificato che “In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dalla vedova di un paziente deceduto, per arresto cardiaco, in seguito ad un intervento chirurgico di asportazione della prostata cui era seguita un’emorragia, sul rilievo che la mancata dimostrazione, da parte dell’attrice, della riconducibilità eziologica dell’arresto cardiaco all’intervento chirurgico e all’emorragia insorta, escludeva in radice la configurabilità di un onere probatorio in capo alla struttura)” (Cass. Civ., Sez. 3 – , Sentenza n. 18392 del 26/07/2017).

Tale indirizzo è stato confermato dalla giurisprudenza successiva: “In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dalla paziente e dai suoi stretti congiunti, in relazione a un ictus cerebrale che aveva colpito la prima a seguito di un esame angiografico, sul rilievo che era mancata la prova, da parte degli attori, della riconducibilità eziologica della patologia insorta alla condotta dei sanitari, ed anzi la CTU espletata aveva evidenziato l’esistenza di diversi fattori, indipendenti dalla suddetta condotta, che avevano verosimilmente favorito l’evento lesivo)” (Cass. Civ., Sez. 3 – , Ordinanza n. 26700 del 23/10/2018).

In ogni caso, l’accertamento dell’esistenza del nesso causale deve essere compiuto secondo il criterio del “più probabile che non”: “In tema di responsabilità civile, il nesso causale è regolato dal principio di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., per il quale un evento è da considerare causato da un altro se il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all’interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano – ad una valutazione “ex ante” – del tutto inverosimili, ferma restando, peraltro, la diversità del regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi: nel senso che, nell’accertamento del nesso causale in materia civile, vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, mentre nel processo penale vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio”. Ne consegue, con riguardo alla responsabilità professionale del medico, che, essendo quest’ultimo tenuto a espletare l’attività professionale secondo canoni di diligenza e di perizia scientifica, il giudice, accertata l’omissione di tale attività, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell’evento lesivo e che, per converso, la condotta doverosa, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito il verificarsi dell’evento stesso” (Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 16123 del 08/07/2010).

Anche in tempi recentissimi, Cass. Civ., Sez. 3 – , Ordinanza n. 21008 del 23/08/2018, ha ribadito che occorre accertare il nesso causale secondo la regola del “più probabile che non”: “La prova dell’inadempimento del medico non è sufficiente ad affermarne la responsabilità per la morte del paziente, occorrendo altresì il raggiungimento della prova del nesso causale tra l’evento e la condotta inadempiente, secondo la regola della riferibilità causale dell’evento stesso all’ipotetico responsabile, la quale presuppone una valutazione nei termini del c.d. “più probabile che non””.

Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorrente, ut supra,

CHIEDE

che l’Ill.mo Sig. Presidente Voglia, disporre con decreto la fissazione dell’udienza di comparizione delle parti e stabilire il termine per la notifica, secondo le forme e le modalità previste dall’art. 696 bis c.p.c. e, quindi, nominare un Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) al fine di:

  • Accertare la sussistenza di una responsabilità medica dei resistenti in relazione all’evento dannoso descritto in premessa;
  • Valutare l’entità dei danni alla salute subiti dal ricorrente;
  • Quantificare il risarcimento del danno spettante al ricorrente.
  • Tentare, all’esito, la conciliazione delle parti.

Si chiede porsi al nominando CTU i seguenti

QUESITI:

  • a) ricostruisca la storia clinica del paziente ed accerti se la condotta tenuta dai sanitari della struttura resistente in occasione del trattamento medico eseguito sul paziente, come descritto nel ricorso, sia stata conforme ai parametri della normale diligenza e se si sia attenuto, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni di cui all’art.5 Ln 24/2017 (ove pubblicate) o, in mancanza, alle buone pratiche clinico-assistenziali ratione temporis vigenti;

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