Un’opposizione all’esecuzione che si svolge nel contesto di un pignoramento presso terzi può sembrare, a prima vista, una controversia che coinvolge esclusivamente il creditore procedente e il debitore esecutato. Eppure la realtà processuale è ben più articolata e la giurisprudenza ha consolidato nel tempo una regola ferma: il terzo pignorato deve sempre partecipare al giudizio di opposizione, altrimenti l’intero procedimento risulta viziato da una nullità insanabile. Non si tratta di una formalità burocratica né di un aspetto marginale della procedura esecutiva. Al contrario, la necessaria presenza del terzo pignorato costituisce un pilastro fondamentale del sistema delle opposizioni esecutive, tanto che la sua mancata chiamata in giudizio determina conseguenze drastiche: il procedimento viene dichiarato nullo e le parti vengono rimesse davanti al giudice originariamente adito per ricominciare da capo, questa volta con tutti i soggetti interessati regolarmente convenuti.
La questione è emersa in tutta la sua complessità in una vicenda processuale che ha visto contrapposti una creditrice e un istituto bancario in qualità di debitore esecutato. La creditrice aveva intrapreso un’espropriazione presso terzi per ottenere il soddisfacimento del proprio credito, ma il debitore si era opposto all’esecuzione sollevando varie eccezioni, tra cui quella relativa all’esistenza di un controcredito da compensare e l’impossibilità di adempiere in quanto le somme erano state vincolate in altra procedura esecutiva. Il giudizio di merito si è svolto regolarmente, o almeno così sembrava, fino a quando il tribunale ha emesso un’ordinanza sulla competenza. A quel punto, però, è emerso un vizio radicale: i terzi pignorati, vale a dire le istituzioni finanziarie presso le quali erano state bloccate le somme del debitore, non erano mai stati chiamati in causa.
La Corte di Cassazione, investita della questione attraverso un regolamento di competenza, non ha esitato a pronunciarsi con fermezza: quando manca ab initio la partecipazione di un litisconsorte necessario, l’intero giudizio è affetto da nullità e deve essere azzerato. Non importa che le parti abbiano discusso nel merito, che siano state raccolte prove o che il giudice abbia già esaminato la causa: senza tutti i soggetti controinteressati al tavolo, il processo non può validamente proseguire. Questa decisione si inserisce in un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato che ha progressivamente ampliato le ipotesi di litisconsorzio necessario nelle opposizioni esecutive, giungendo a stabilire che nell’espropriazione presso terzi il terzo pignorato deve sempre essere parte del giudizio, senza eccezioni o distinzioni di sorta. Ma quali sono le ragioni di questa rigorosa impostazione? E quali conseguenze pratiche comporta per chi intraprende un’esecuzione forzata o si trova a doverla subire?
Avv. Cosimo Montinaro – segreteria@studiomontinaro.it
INDICE
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
- SCARICA LA SENTENZA ⬇️
ESPOSIZIONE DEI FATTI
La vicenda processuale trae origine da un’espropriazione presso terzi promossa da una creditrice nei confronti di un istituto bancario. La parte attrice aveva ottenuto un titolo esecutivo che le consentiva di aggredire le somme di denaro che il debitore vantava presso soggetti terzi, in particolare presso altre banche e istituzioni finanziarie. L’obiettivo era quello di ottenere l’assegnazione di una determinata somma a titolo di soddisfacimento del credito vantato. Tuttavia, il percorso per raggiungere questo risultato si è rivelato tutt’altro che lineare.
Il debitore esecutato, infatti, non è rimasto inerte di fronte all’azione esecutiva intrapresa nei suoi confronti. Ha prontamente reagito proponendo opposizione all’esecuzione, sollevando molteplici eccezioni volte a contestare la legittimità e la fondatezza della pretesa creditoria. In particolare, il debitore ha eccepito l’esistenza di un controcredito nei confronti della creditrice procedente, derivante da una precedente sentenza emessa dal Tribunale, e ha invocato la compensazione tra il debito per cui si procedeva e il credito di cui si dichiarava titolare. Oltre a questa difesa di merito, il debitore ha sollevato anche una questione di natura più squisitamente processuale, affermando l’impossibilità di corrispondere le somme richieste in quanto le medesime erano state già vincolate nell’ambito di un’altra procedura esecutiva, quella intrapresa dall’Agenzia delle Entrate – Riscossione ai sensi dell’art. 72 del d.P.R. n. 602/1973.
L’opposizione all’esecuzione ha dato vita a un giudizio di merito davanti al Tribunale, nel corso del quale la creditrice opposta ha formulato le proprie conclusioni chiedendo non soltanto il rigetto dell’opposizione proposta dal debitore, ma anche una pronuncia dichiarativa in merito alla sussistenza e all’entità del proprio credito. La parte attrice ha infatti chiesto al giudice di accertare che il credito di cui era titolare era superiore rispetto a quello opposto in compensazione dalla controparte, indicando una somma complessiva di almeno € 5.100,00. In sostanza, la creditrice non si è limitata a difendersi dalle eccezioni sollevate dal debitore, ma ha inteso ottenere una decisione che facesse chiarezza definitiva sull’effettiva consistenza del rapporto di credito e debito tra le parti.
Mentre il giudizio proseguiva il suo corso, il Tribunale si è trovato a dover affrontare una questione preliminare relativa alla propria competenza per valore. Su eccezione sollevata dall’opponente, vale a dire dal debitore esecutato che era diventato convenuto nel giudizio di merito instaurato dalla creditrice, il giudice ha emesso un’ordinanza con la quale ha declinato la propria competenza in favore di quella del Giudice di pace. Questa decisione ha aperto la strada al regolamento di competenza proposto dalla creditrice davanti alla Corte di Cassazione.
È importante sottolineare che durante tutto questo iter processuale, compresa la fase dell’opposizione e quella del successivo giudizio di merito, i terzi pignorati non sono mai stati chiamati in causa. Le istituzioni finanziarie presso le quali erano state bloccate le somme del debitore esecutato, identificabili in 2 importanti enti del settore bancario e postale italiano, non hanno ricevuto alcuna citazione né sono state messe nelle condizioni di partecipare al contraddittorio. Questo aspetto, che potrebbe sembrare marginale rispetto al merito della controversia, si è rivelato invece decisivo per le sorti dell’intero procedimento. La mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dei terzi pignorati ha infatti determinato una nullità così radicale da travolgere tutte le attività processuali svolte fino a quel momento, costringendo le parti a ricominciare da capo l’intero giudizio.
NORMATIVA E PRECEDENTI
La questione del litisconsorzio necessario nelle opposizioni esecutive trova il proprio fondamento in una serie di disposizioni del codice di procedura civile che regolano la struttura del processo esecutivo e le modalità con cui le parti possono contestare l’esecuzione forzata. L’art. 615 c.p.c. disciplina l’opposizione all’esecuzione, prevedendo che il debitore possa contestare il diritto della parte istante a procedere a esecuzione forzata. Questa forma di opposizione si distingue dall’opposizione agli atti esecutivi, disciplinata dall’art. 617 c.p.c., in quanto attiene non alla regolarità formale degli atti compiuti nell’ambito della procedura, ma alla stessa esistenza o esigibilità del diritto di credito posto a fondamento dell’azione esecutiva.
Quando l’esecuzione si svolge nelle forme dell’espropriazione presso terzi, come nel caso di specie, entrano in gioco ulteriori disposizioni normative che definiscono i diritti e gli obblighi del terzo pignorato. Gli artt. 545 e 546 c.p.c. prevedono infatti che il terzo pignorato sia soggetto a una serie di vincoli: deve astenersi dal compiere atti dispositivi sui beni o sulle somme oggetto del pignoramento e deve fornire le informazioni necessarie sull’esistenza e sull’entità delle somme o dei beni di pertinenza del debitore che si trovano nella sua disponibilità. Questi obblighi non cessano automaticamente con la proposizione di un’opposizione all’esecuzione, ma rimangono operativi fino a quando il giudice non si pronuncia definitivamente sulla fondatezza dell’opposizione stessa.
È proprio dalla lettura combinata di queste norme che la Cassazione ha ricavato il principio secondo cui il terzo pignorato ha sempre un interesse giuridicamente rilevante a partecipare al giudizio di opposizione all’esecuzione. Tale interesse deriva dal fatto che l’esito del giudizio influisce direttamente sulla persistenza o meno degli obblighi che gravano sul terzo pignorato in forza delle disposizioni sopra richiamate. Se l’opposizione viene accolta, gli obblighi del terzo vengono meno e questi riacquista la piena disponibilità delle somme o dei beni precedentemente vincolati. Se invece l’opposizione viene respinta, gli obblighi permangono e il terzo rimane assoggettato ai vincoli derivanti dal pignoramento.
La giurisprudenza di legittimità ha dedicato negli ultimi anni particolare attenzione alla definizione dei confini del litisconsorzio necessario nelle opposizioni esecutive. Con una serie di pronunce che si collocano in un arco temporale che va dal 2000 al 2023, la Suprema Corte ha progressivamente ampliato le ipotesi in cui si rende necessaria la partecipazione al giudizio di soggetti diversi dal creditore procedente e dal debitore esecutato. Tra i precedenti più significativi si possono richiamare le sentenze n. 9645 del 21/7/2000, n. 14463 del 29/9/2003 e n. 9452 del 28/4/2011, con le quali è stato affermato il principio del litisconsorzio necessario nei confronti del condebitore esecutato.
