Tumore al colon e amianto: risarcito il lavoratore

Tumore al colon e amianto: risarcito il lavoratore

Tribunale di Lucca, Sezione Lavoro, sentenza n. 59/2023 pubblicata il 22.02.2023

Nel caso sottoposto al vaglio della Sezione Lavoro del tribunale di Lucca, il lavoratore assumeva di aver contratto malattia professionale [adenocarcinoma del colon pT2 N0 (G2)] a causa dello svolgimento dell’attività, svolta dal 1974 e sino al pensionamento (2011), come manovale, per i primi 4 anni e, poi, quale saldatore-tubista alle dipendenze di unico datore di lavoro.

Chiedeva, pertanto, previa quantificazione dei postumi (da sommarsi a quelli già in precedenza riconosciuti per via di un infortunio sul lavoro), la condanna dell’INAIL alla corresponsione delle prestazioni di rendita o indennizzo a seconda del punteggio percentuale attribuito.

La causa veniva istruita mediante escussione di testi e, all’esito, mediante consulenza tecnica medico-legale volta all’accertamento della malattia e del nesso causale tra la stessa e la professione svolta dal ricorrente.

I testi escussi confermavano la presenza di amianto nelle condutture sia di acqua che di gas sulle quali il ricorrente aveva svolto riparazioni e interventi di manutenzione per cui venivano tagliati con il disco elettrico o idraulico tubi fatti di eternit, sostituiti pezzi guastati della tubatura, realizzate giunture etc..

Le risultanze istruttorie davano prova circa le mansioni svolte dal ricorrente e circa la presenza di amianto nelle tubature su cui il ricorrente quotidianamente interveniva, come da deposizioni dei colleghi di lavoro escussi durante il giudizio.

Il CTU nominato confermava sia la sussistenza della patologia lamentata, sia il nesso eziologico con l’attività lavorativa, sin dall’epoca della presentazione della domanda amministrativa.

In particolare, il consulente osservava che la correlazione tra asbesto e tumore del colon è stata ampiamente studiata richiamando molti lavori presenti in letteratura: a) monografia IARC 2012 (Asbestos. Actinolite, amosite, anthophyllite, chrysotile, crocidolite, tremolite. IARC Monogr Evaluation Carcinog Risk Chem Man, Vol. 100C) in cui si “fa riferimento specifico all’aumentata incidenza di tumore del grosso intestino ed in generale dei tumori gastrointestinali tra coloro che sono stati esposti professionalmente a polveri e fibre di amianto”; b) Ronald E. Gordon ed altri (Carcinoma of the colon in asbestosexposed workers: analysis of asbestos content in colon tissue), i quali “hanno premesso che precedenti lavori scientifici avevano consentito di appurare una più alta incidenza di decessi per tumore al colon tra coloro che erano stati esposti ad amianto”; c) le conclusioni del Gruppo di Lavoro di esperti IARC, riunitosi a Lione dal 17 al 24 marzo 2009, per cui “sussiste “una associazione positiva tra esposizione ad amianto e cancro del colon retto, basata su risultati abbastanza consistenti di studi di coorte occupazionali, oltre all’evidenza di relazioni positive esposizione-risposta tra esposizione cumulativa ad amianto e cancro del colon retto riportata costantemente nei più dettagliati studi di coorte”; d) le meta analisi (Frumkin & Berlin 1988; Homa et al., 1994; IOM, 2006; Gamble, 2008).

Il CTU richiamava anche la direttiva 2009/148/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009 “sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con un’esposizione all’amianto durante il lavoro”, in cui all’allegato 1 “Raccomandazioni pratiche per l’accertamento clinico dei lavoratori, di cui all’articolo 18, paragrafo 2, secondo comma” si legge: “In base alle conoscenze di cui si dispone attualmente, l’esposizione alle fibre libere di amianto può provocare le seguenti affezioni: asbestosi, mesotelioma, cancro del polmone, cancro gastrointestinale“. IL CTU cita inoltre il Piano Nazionale Amianto, approvato e pubblicato nel marzo 2013, nel quale il Governo italiano ha previsto che “prioritariamente vanno indagate le patologie correlate ad esposizione ad amianto, così come elencate nella monografia n. 100 della IARC e classificate nei gruppi I e II: tumore del polmone, della laringe, dell’ovaio, del colon retto, dell’esofago, dello stomaco” e un successivo studio prospettico di popolazione esposta in modo prolungato ad amianto che “ha dimostrato una più alta incidenza dei casi di cancro al colon, totale e distale, e del cancro rettale (Offermans NSM e collaboratori (Occupational asbestos exposure and risk of esophageal, gastric and colorectal cancer in the prospective Netherlands, Cohort Study (Int. J. Cancer: 00, 00–00 (2014) VC 2014 UICC).

Il CTU faceva, quindi, presente che l’INAIL, nella lista II delle malattie professionali, aveva incluso il tumore del colon come malattia asbesto correlata, ovvero come malattia la cui correlazione con l’esposizione lavorativa alla sostanza è di “limitata probabilità”. Richiamava, infine, plurime pronunce della giurisprudenza di merito e di legittimità in cui era stata affermata la correlazione tra lavorazioni di amianto e insorgenza della patologia oncologica da cui è stato afflitto il ricorrente, ritenendo presente il nesso causale tra l’attività svolta, la conseguente esposizione all’amianto e la malattia denunciata, in assenza di fattori di rischio propri (non lavoro-correlati) per il ricorrente.

Circa la quantificazione, osservava il CTU che “la voce del d. leg.vo 38/2000 che più rappresenta il caso è la n. 131, cioè neoplasie maligne che si giovano di trattamento medico e/o chirurgico locale, radicale con punteggio fino a 10%” poiché nel caso in esame il ricorrente, allo stato attuale “risulta libero da malattia e non rientra più nel protocollo di follow up previsto per i pazienti oncologici, essendo ormai trascorsi oltre 12 anni dalla diagnosi” e ha limitati esiti residuali (esito cicatriziale e riferita, ma non documentata anche se attendibile per l’intervento di specie, alterazione dell’alvo).

Concludeva il CTU per una quantificazione del danno biologico pari al 10% che, sommata ai postumi già riconosciuti nella misura del 16%, determina un ammontare complessivo del 25%.

Alla luce di tanto, il Tribunale di Lucca – Sezione Lavoro dichiarava il diritto del ricorrente ad ottenere un indennizzo per danno biologico da malattia professionale nella misura del 25% a decorrere dalla presentazione della domanda amministrativa e per l’effetto condannava l’I.N.A.I.L. al pagamento della relativa prestazione con tale decorrenza, oltre interessi legali come per legge, oltre spese e competenze legali.

Avv. Cosimo Montinaro

contatta lo Studio

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto