La questione dell’abbandono della casa coniugale rappresenta uno dei temi più delicati e ricorrenti nelle procedure di separazione personale, spesso determinante per l’addebito della separazione e le sue conseguenze economiche. Una recente pronuncia della Corte di Cassazione del 2025 ha chiarito definitivamente alcuni aspetti procedurali fondamentali che riguardano l’onere della prova in questi casi, stabilendo principi che modificano significativamente l’approccio seguito dai giudici di merito.
La vicenda analizzata dalla Suprema Corte trae origine da un matrimonio di breve durata, celebrato nel 2018, che si è caratterizzato fin dall’inizio per una serie di problematiche relazionali che hanno portato entrambi i coniugi a richiedere la separazione con addebito reciproco. Il caso presenta particolare interesse perché coinvolge diverse questioni processuali che spesso si intrecciano nelle separazioni conflittuali: l’allontanamento volontario di uno dei coniugi dalla casa familiare, le accuse di comportamenti violenti, la quantificazione dell’assegno di mantenimento in presenza di significative disparità economiche tra i coniugi.
Il Tribunale di Avellino aveva pronunciato la separazione senza addebito, ritenendo che entrambi i coniugi non fossero riusciti a dimostrare la responsabilità esclusiva dell’altro per il fallimento matrimoniale. Questa decisione era stata confermata dalla Corte d’Appello di Napoli, che aveva respinto le argomentazioni della moglie relative sia alla richiesta di addebito che all’incremento dell’assegno di mantenimento.
La Cassazione ha però censurato l’approccio seguito dai giudici di merito, evidenziando errori nell’applicazione dei principi consolidati in materia di addebito della separazione e nell’ammissione delle prove. Questa pronuncia assume particolare rilevanza perché chiarisce definitivamente chi deve provare cosa nei casi di abbandono del tetto coniugale, ribaltando l’impostazione seguita dai giudici napoletani.
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Indice
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI
La vicenda processuale ha avuto inizio quando il marito ha presentato ricorso per la separazione personale presso il Tribunale di Avellino, dopo un matrimonio concordatario celebrato nell’ottobre del 2018. Il coniuge aveva dedotto che la decisione di sposarsi era stata presa troppo frettolosamente, poco tempo dopo la loro conoscenza, rivelatosi poi una scelta superficiale che aveva compromesso fin dall’inizio l’equilibrio della vita coniugale.
Nel suo ricorso, il marito aveva illustrato dettagliatamente l’andamento del rapporto matrimoniale, sostenendo che questo si era deteriorato a causa dei comportamenti tenuti dalla moglie. Di conseguenza, aveva chiesto che venisse dichiarata la separazione con addebito a carico di lei, avanzando contestualmente una domanda di risarcimento per i danni di natura extracontrattuale che sosteneva di aver subito, quantificati simbolicamente in diecimila euro.
La moglie, nel costituirsi nel giudizio, si era associata alla richiesta di separazione, ma aveva presentato una versione completamente diversa dei fatti. Aveva infatti dedotto la sussistenza di comportamenti violenti, aggressivi, vessatori e prevaricatori da parte del marito, tali da rendere estremamente invivibile il rapporto coniugale e da alterare profondamente la qualità e le abitudini di vita. La donna aveva inoltre evidenziato il significativo squilibrio economico esistente tra le parti, considerato che il marito godeva di redditi considerevoli derivanti dalla sua attività imprenditoriale.
Sulla base di queste considerazioni, la moglie aveva concluso per la pronuncia di separazione con addebito a carico del marito, chiedendo la condanna di quest’ultimo al risarcimento del danno conseguente alle vessazioni psicologiche e morali subite. Particolarmente significativa era la richiesta di risarcimento anche in relazione alla perdita di chance di diventare madre, a dimostrazione della gravità delle conseguenze che la donna attribuiva ai comportamenti del coniuge. Aveva inoltre richiesto la corresponsione di un assegno di mantenimento di diecimila euro mensili.
Il Tribunale di Avellino aveva emesso la sua decisione nell’ottobre del 2022, pronunciando la separazione tra i coniugi ma disattendendo entrambe le richieste di addebito. Il primo giudice aveva rilevato che il punto centrale del fallimento del rapporto coniugale risiedeva nella mancanza di un’approfondita conoscenza reciproca della personalità di ciascun coniuge e delle rispettive aspettative, in particolare quelle relative alla procreazione. Il tribunale aveva osservato che entrambi i coniugi avevano riposto nel matrimonio aspettative che si erano rivelate incompatibili con il funzionamento effettivo della loro relazione.
Quanto al mantenimento, il primo giudice aveva ritenuto congruo l’importo di millecinquecento euro mensili, tenendo conto della sperequazione economica tra i coniugi derivante dal tenore di vita estremamente elevato del marito. Tuttavia, nella determinazione dell’importo, il tribunale aveva considerato anche la breve durata del vincolo matrimoniale e l’astratta capacità lavorativa della moglie.
NORMATIVA E PRECEDENTI
La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione su una consolidata giurisprudenza in materia di addebito della separazione, richiamando specificamente l’articolo 151, secondo comma, del Codice Civile, che disciplina le cause della separazione personale. Il principio cardine stabilito dalla giurisprudenza di legittimità prevede che la dichiarazione di addebito della separazione richiede la prova che l’irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o di entrambi i coniugi.
Fondamentale risulta l’accertamento del nesso di causalità tra i comportamenti addebitati e il determinarsi dell’intollerabilità dell’ulteriore convivenza. La Suprema Corte ha richiamato la propria precedente pronuncia numero 40795 del 2021, secondo cui in caso di mancato raggiungimento della prova relativa al fatto che il comportamento contrario ai doveri matrimoniali sia stato la causa efficiente del fallimento della convivenza, viene legittimamente pronunciata la separazione senza addebito.
Particolare rilevanza assume la disciplina dell’onere della prova in tema di separazione. I principi generali, richiamati dalla Cassazione con riferimento alla sentenza numero 16691 del 2020, stabiliscono che grava sulla parte che richieda l’addebito l’onere di provare sia la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri derivanti dal matrimonio, sia l’efficacia causale di questi comportamenti nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza.
Specificamente in relazione all’abbandono della casa coniugale, la Cassazione ha richiamato una giurisprudenza consolidata secondo cui il volontario allontanamento dal domicilio familiare da parte di uno dei coniugi, quando attuato unilateralmente senza il consenso dell’altro, costituisce violazione del dovere matrimoniale di convivenza ed è di per sé sufficiente a giustificare l’addebito della separazione. Questo principio trova la sua ratio nel fatto che l’abbandono porta direttamente all’impossibilità della convivenza.
Tuttavia, la giurisprudenza ha sempre riconosciuto che l’autore della condotta abbandonica può sottrarsi alle conseguenze dell’addebito dimostrando l’esistenza di una giusta causa ex articolo 146 del Codice Civile, oppure provando che l’abbandono sia stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge o sia intervenuto in un momento in cui la prosecuzione della convivenza era già divenuta intollerabile. Questi principi sono stati consolidati dalle sentenze della Cassazione numero 10719 del 2013, numero 25663 del 2014 e numero 648 del 2000.
Per quanto riguarda la quantificazione dell’assegno di mantenimento, la Corte ha richiamato l’articolo 156 del Codice Civile, evidenziando le differenze rispetto all’assegno divorzile. L’assegno di separazione si fonda sulla persistenza del dovere di assistenza materiale e morale e non ha componenti compensative come quello di divorzio. La quantificazione deve tener conto del tenore di vita goduto dalla coppia durante la convivenza, da accertarsi non solo in base ai redditi fiscalmente documentati, ma anche considerando altri elementi economicamente apprezzabili.
DECISIONE DEL CASO E ANALISI
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della moglie, censurando l’approccio seguito dalla Corte d’Appello di Napoli su diversi aspetti fondamentali. Il primo punto di criticità riguarda l’applicazione dei principi in materia di addebito per abbandono della casa coniugale. La Corte di merito aveva erroneamente ritenuto che incombesse sulla moglie l’onere di provare che l’allontanamento del marito era stato la causa della crisi coniugale.
La Suprema Corte ha chiarito che questa impostazione è completamente errata. In relazione all’abbandono del tetto coniugale, è colui che ha posto in essere la condotta violativa degli obblighi matrimoniali a dover provare la giusta causa e/o la preesistenza di una intollerabilità della convivenza. Questo principio rovescia completamente la prospettiva seguita dai giudici napoletani e stabilisce un criterio chiaro per tutti i casi futuri.