Mutuo fondiario nullo se supera l’80% del valore dell’immobile: il principio che tutela la stabilità del mercato immobiliare – Tribunale di Lecce 2021

Il mutuo fondiario rappresenta uno strumento essenziale nel panorama creditizio italiano, consentendo a privati e imprese di accedere a finanziamenti per l’acquisto di immobili. Tuttavia, la sua disciplina è rigidamente regolamentata da norme che mirano a garantire la stabilità del sistema bancario e la tutela del mercato immobiliare. Una recente pronuncia del Tribunale di Lecce ha ribadito un principio fondamentale in materia: il superamento del limite di finanziabilità previsto dalla normativa bancaria determina la nullità del contratto di mutuo fondiario, con conseguenze rilevanti sia per gli istituti di credito che per i mutuatari. La sentenza analizzata rappresenta un importante punto di riferimento per la giurisprudenza in materia di credito fondiario, chiarendo definitivamente che il limite di finanziabilità dell’80% del valore dell’immobile ipotecato costituisce un elemento essenziale del contratto, la cui violazione comporta inevitabilmente la nullità dello stesso. Questa interpretazione, già affermata dalla Suprema Corte in precedenti pronunce, viene ora confermata e consolidata nella giurisprudenza di merito, offrendo importanti spunti di riflessione per gli operatori del settore e per i consumatori che si apprestano a sottoscrivere contratti di mutuo fondiario.

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Indice

  • ESPOSIZIONE DEI FATTI
  • NORMATIVA E PRECEDENTI
  • DECISIONE DEL CASO E ANALISI
  • ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI

La vicenda processuale trae origine dall’opposizione a precetto promossa da tre soggetti – mutuatario e garanti ipotecari – nei confronti della Banca Nazionale del Lavoro. L’istituto di credito aveva intimato al mutuatario principale il pagamento della complessiva somma di oltre 93.000 euro, oltre spese legali ed ulteriori interessi di mora, quale importo dovuto per inadempimento di un contratto di mutuo fondiario stipulato nel gennaio 2011, assistito da garanzia ipotecaria prestata dagli altri due opponenti. Gli attori, nel promuovere l’opposizione, avevano invocato preliminarmente la sospensione dell’esecutività del titolo, eccependo innanzitutto l’inefficacia del contratto di mutuo quale titolo esecutivo. Secondo la loro tesi difensiva, dalla lettura del contratto non poteva ritenersi accertata la effettiva consegna del denaro (traditio rei), elemento essenziale per la validità di un contratto reale quale il mutuo. Non emergeva infatti dal rogito notarile la certezza della contestuale consegna della somma, essendo stato previsto che parte mutuataria avrebbe potuto disporre del denaro solo dopo determinati adempimenti e a determinate condizioni.

Oltre a questa eccezione preliminare, gli opponenti avevano sollevato ulteriori contestazioni di carattere sostanziale. In particolare, essi avevano eccepito l’usurarietà ex lege n. 108/96 delle pattuizioni contrattuali, specialmente con riferimento agli interessi di mora cui andavano sommate tutte le voci per spese e commissioni previste in contratto, come risultava da una consulenza tecnica prodotta in giudizio. Contestavano inoltre l’illegittimità del piano di ammortamento “alla francese” adottato nel contratto, ritenendolo all’origine di una indebita capitalizzazione degli interessi in violazione del divieto di anatocismo.

Infine, ed è questo l’aspetto che si è rivelato decisivo nell’esito della controversia, gli opponenti avevano dedotto la nullità del contratto di mutuo per la mancata indicazione del valore dell’immobile ipotecato, circostanza che rendeva impossibile accertare il rispetto del limite di finanziabilità previsto dall’art. 38 del Testo Unico Bancario e dalla delibera CICR applicativa del 22 aprile 1995. Nella loro ricostruzione difensiva, gli attori concludevano chiedendo la nullità del precetto, non prima che si fosse dato atto del versamento da parte della mutuataria dell’ulteriore importo di 1.000 euro, corrisposto in quattro versamenti di pari importo nel corso di trattative transattive espletate senza esito positivo.

La Banca convenuta si era costituita in giudizio contestando integralmente quanto dedotto ed eccepito dalla controparte. In particolare, con riferimento alla prima eccezione, sosteneva che le somme erano state erogate in un’unica soluzione contestualmente alla stipula, essendo state messe a disposizione della mutuataria che aveva rilasciato apposita quietanza. Secondo l’istituto di credito, non risultava necessaria la materiale consegna fisica del denaro, essendo sufficiente la disponibilità giuridica delle somme. Quanto all’ammortamento “alla francese”, la banca ne sosteneva la piena legittimità, negando altresì l’usurarietà delle pattuizioni contrattuali e allegando a sua volta una consulenza tecnica a supporto della tesi del pieno rispetto dei tassi soglia.

NORMATIVA E PRECEDENTI

La questione giuridica centrale affrontata nella sentenza riguarda l’interpretazione e l’applicazione dell’articolo 38, comma 2, del Testo Unico Bancario (d.lgs. 385/93) e della correlata delibera del CICR (Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio) del 22 aprile 1995. Queste disposizioni normative disciplinano il credito fondiario, stabilendo precisi limiti alla concessione di finanziamenti garantiti da ipoteca su immobili. In particolare, la normativa fissa un tetto massimo all’importo erogabile, identificato nell’80% del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sugli stessi. Tale limite può essere elevato fino al 100% solo in presenza di garanzie integrative specificamente individuate, quali fideiussioni bancarie e assicurative, polizze di compagnie di assicurazione, cessioni di annualità o contributi a carico dello Stato o di enti pubblici, o fondi di garanzia.

La questione interpretativa sottostante concerne la natura del limite di finanziabilità e le conseguenze del suo superamento. Se in passato esistevano orientamenti contrastanti in merito, la giurisprudenza della Suprema Corte ha progressivamente chiarito la portata della norma. Determinante, in questo senso, è stata la sentenza della Cassazione n. 17352 del 13 luglio 2017, che ha sancito come il limite di finanziabilità ex art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 385 del 1993, sia da considerarsi elemento essenziale del contenuto del contratto. Il suo mancato rispetto determina la nullità del contratto stesso, con la possibilità, tuttavia, di conversione in ordinario finanziamento ipotecario qualora ne sussistano i relativi presupposti.

Secondo l’interpretazione della Corte di Cassazione, il limite di finanziabilità costituisce un limite inderogabile all’autonomia privata in ragione della natura pubblica dell’interesse tutelato. La norma è infatti volta a regolare il quantum della prestazione creditizia al fine di favorire la mobilizzazione della proprietà immobiliare e agevolare e sostenere l’attività di impresa. Questo orientamento è stato successivamente confermato da ulteriori pronunce della Suprema Corte, tra cui l’ordinanza n. 11201 del 9 maggio 2018 e la sentenza n. 17439 del 28 giugno 2019, che hanno ribadito la nullità del contratto di mutuo fondiario che superi il limite di finanziabilità stabilito dalla normativa.

Un aspetto particolarmente rilevante, emerso in queste pronunce e ripreso anche nella sentenza del Tribunale di Lecce, concerne la determinazione del valore dell’immobile ai fini della verifica del rispetto del limite dell’80%. La Cassazione, con l’ordinanza n. 11201/2018, ha chiarito che deve essere preferito il cosiddetto “valore cauzionale” del bene rispetto al valore venale o di mercato. Il valore cauzionale fa riferimento alla futura negoziabilità dell’immobile e viene determinato in base a un prudente apprezzamento degli aspetti durevoli a lungo termine, delle condizioni normali del mercato locale, dell’uso corrente e dei possibili usi alternativi del bene.

Oltre alla questione centrale relativa al limite di finanziabilità, la sentenza affronta anche altre problematiche giuridiche riguardanti i mutui fondiari. In particolare, con riferimento all’eccezione di inefficacia del contratto quale titolo esecutivo per mancanza della traditio rei, il Tribunale richiama diverse pronunce della Cassazione (tra cui la n. 17194 del 27 agosto 2015) che hanno chiarito come la consegna idonea a perfezionare il contratto reale di mutuo non vada intesa nei soli termini di materiale e fisica traditio del denaro. È infatti sufficiente il conseguimento della disponibilità giuridica della somma da parte del mutuatario, ricavabile anche dall’integrazione del contratto con un separato atto di quietanza.

DECISIONE DEL CASO E ANALISI

Il Tribunale di Lecce, dopo aver esaminato approfonditamente tutte le questioni sollevate dalle parti, ha accolto l’opposizione al precetto proposta dagli attori, ma esclusivamente per l’ultimo dei motivi addotti, respingendo invece tutte le altre eccezioni. La decisione si è quindi concentrata sulla nullità del contratto di mutuo fondiario per superamento del limite di finanziabilità previsto dalla normativa bancaria, rigettando le contestazioni relative all’inefficacia del titolo per mancanza di traditio rei, all’usurarietà delle pattuizioni contrattuali e all’illegittimità del piano di ammortamento alla francese.

Per quanto concerne la prima eccezione, relativa all’inefficacia del contratto di mutuo quale titolo esecutivo per difetto di traditio rei, il giudice ha richiamato la consolidata giurisprudenza di legittimità che ha ormai superato una concezione strettamente materialistica della consegna nel contratto di mutuo. Rifacendosi a numerose pronunce della Suprema Corte, il Tribunale ha evidenziato come, in considerazione della progressiva dematerializzazione dei valori mobiliari e della loro sostituzione con annotazioni contabili, la consegna idonea a perfezionare il contratto reale di mutuo non debba necessariamente consistere nella materiale e fisica traditio del denaro. È sufficiente, infatti, che il mutuatario consegua la disponibilità giuridica della somma, circostanza che può risultare anche da un atto separato di quietanza. Nel caso specifico, l’erogazione della somma oggetto di mutuo risultava attestata nel regolamento contrattuale, dove si dava atto del contestuale rilascio di quietanza da parte della mutuataria.

Con riferimento all’eccezione di usurarietà del tasso pattuito, il Tribunale ha aderito all’orientamento giurisprudenziale secondo cui non è possibile verificare il superamento del tasso soglia cumulando tassi di interesse corrispettivo e moratorio, in quanto eterogenei per presupposti, caratteri e finalità. Pur riconoscendo che anche il tasso di mora vada considerato ai fini della verifica di usurarietà, il giudice ha sottolineato la necessità di operare un correttivo per rendere omogeneo il tasso in verifica con il parametro previsto per operazioni analoghe dal decreto ministeriale vigente nel trimestre di perfezionamento del contratto. Tale orientamento ha trovato conferma in diverse pronunce della Cassazione, inclusa una sentenza a Sezioni Unite (n. 19597/2020).

Anche l’eccezione relativa all’illegittimità del piano di ammortamento alla francese è stata respinta dal Tribunale. Secondo il giudice, non è corretto affermare che tale sistema di ammortamento produca l’effetto di una capitalizzazione composta degli interessi, poiché l’ammontare della quota interessi viene calcolato, per ogni rata, sul capitale di volta in volta residuo. Il fatto che il debitore finisca per corrispondere una quantità nominale di interessi superiore rispetto a quella dovuta con altri sistemi di rimborso è semplicemente l’effetto della formula di matematica finanziaria adottata, che riflette la circostanza che nel piano di ammortamento alla francese il debitore detiene una maggiore parte di capitale mutuato per più tempo.

La questione decisiva, che ha portato all’accoglimento dell’opposizione, è stata invece quella relativa alla violazione dell’art. 38 del d.lgs. 385/93 riguardante il limite di finanziabilità dell’acquisto del bene in relazione al suo valore. Il Tribunale ha rilevato come nel contratto di mutuo non fosse stata data alcuna indicazione del valore dell’immobile e che, sulla base della perizia disposta in corso di causa, alla data della stipula tale valore era pari a €115.481,00. Considerando il limite dell’80% fissato dalla delibera CICR del 22 aprile 1995, l’importo massimo finanziabile sarebbe stato di €92.384,80, mentre l’importo effettivamente erogato ammontava a €107.204,11. Il superamento del limite di finanziabilità ha quindi determinato la nullità del contratto di mutuo ipotecario, senza possibilità di conversione in mutuo ordinario in assenza di apposita domanda di parte.

È interessante notare come il giudice abbia fatto propria la tesi, sostenuta dalla stessa banca convenuta, secondo cui il valore dell’immobile da considerare ai fini della verifica del rispetto del limite di finanziabilità non è quello di mercato al momento della stipula, bensì il cosiddetto “valore cauzionale“, riferito alla futura negoziabilità del bene.

ESTRATTO DELLA SENTENZA

“In tema di mutuo fondiario, il limite di finanziabilità ex art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 385 del 1993, è elemento essenziale del contenuto del contratto ed il suo mancato rispetto determina la nullità del contratto stesso (con possibilità, tuttavia, di conversione in ordinario finanziamento ipotecario ove ne sussistano i relativi presupposti), e costituisce un limite inderogabile all’autonomia privata in ragione della natura pubblica dell’interesse tutelato, volto a regolare il “quantum” della prestazione creditizia al fine di favorire la mobilizzazione della proprietà immobiliare ed agevolare e sostenere l’attività di impresa.” “Sulla scorta di detto orientamento, che ha trovato, peraltro, conferma in successive pronunce [Cass. Sez. 1, ord. 9.5.2018 n. 11201 – ib., Sez. 3, sent. 28.6.2019 n. 17439], va rilevato, come pure evidenziato dalla difesa degli attori/opponenti [atto di cit., p. 14], che nel contratto di mutuo versato in atti non si sia data indicazione alcuna del valore dell’immobile e che lo stesso, come risultante dalla perizia del CTU, alla data del 12.1.2011, era pari ad € 115.481,00. Valutazione, quest’ultima, effettuata considerando il “valore cauzionale” del bene, ritenuto maggiormente preferibile a quello venale [Cass. 11201/2018 cit., in motivazione p. 13], nonché espressamente richiamato nella memoria di costituzione dalla stessa Banca opposta, la quale ha evidenziato come il valore dell’immobile dovesse essere determinato in base ad un prudente apprezzamento della futura negoziabilità dello stesso e non con riguardo al suo valore di mercato all’atto della stipula [comparsa di cost. p.7].” “Orbene, considerato che l’importo del finanziamento era pari ad € 107.204,11, il suddetto limite, pari sulla scorta della CTU ad € 92.384,80, deve ritenersi superato, con conseguente nullità del contratto di mutuo ipotecario, neppure suscettibile di conversione stante la mancata proposizione di apposita domanda di parte ed a prescindere da ogni valutazione sulla ricorrenza dei presupporti per detta conversione. [Cass. n. 11201/2018 cit.].”

(Tribunale di Lecce, Sezione III civile, Sentenza n. 1350/2021)

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