Una questione di fondamentale importanza per la pratica medica quotidiana è stata chiarita dalla Suprema Corte di Cassazione con una recente pronuncia che ha confermato la condanna di un medico e di un’azienda sanitaria per responsabilità professionale, nonostante la difesa avesse sostenuto la piena conformità alle linee guida internazionali più accreditate.
Il caso, che ha visto protagonista un’Azienda Sanitaria della Provincia Autonoma di Bolzano e un medico, trae origine da un grave evento avverso occorso nel 2008 a una paziente sottoposta a terapia anticoagulante con eparina. La vicenda, culminata con una condanna risarcitoria di oltre ottocentomila euro, solleva interrogativi cruciali sul rapporto tra linee guida mediche, indicazioni del produttore dei farmaci e responsabilità del sanitario nella valutazione del singolo caso clinico.
La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso presentato dai sanitari, confermando così le decisioni dei giudici di merito che avevano accertato la colpa professionale per il mancato monitoraggio della conta piastrinica durante la somministrazione di farmaci a base di eparina. La sentenza assume particolare rilevanza perché affronta il delicato tema del valore vincolante delle raccomandazioni internazionali quando queste si pongono in contrasto con le specifiche indicazioni riportate nella documentazione tecnica del farmaco utilizzato.
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Indice
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI
La vicenda ha origine nell’aprile del 2008, quando una paziente si presenta presso l’Ospedale di Bressanone per sospetta tromboflebite. Dopo gli accertamenti diagnostici, viene confermata la diagnosi di trombosi venosa profonda alla gamba sinistra, condizione che richiede un immediato trattamento con terapia anticoagulante. I medici decidono di sottoporre la donna a trattamento farmacologico a base di Seledie, un medicinale contenente eparina come principio attivo.
Il protocollo terapeutico viene seguito regolarmente nei primi giorni di maggio del 2008. La paziente effettua l’esame ecocolordoppler prescritto e si sottopone alla visita di controllo programmata per il 7 maggio. Tuttavia, nella notte tra l’8 e il 9 maggio, verso le ore 2:30, la situazione precipita drammaticamente. La donna si sveglia improvvisamente accusando una violenta cefalea, intenso dolore toracico e nausea.
I soccorsi intervengono tempestivamente e la paziente viene trasportata d’urgenza all’ospedale di Bolzano, dove viene immediatamente ricoverata presso il Reparto di Rianimazione. I medici formulano una diagnosi che rivela la gravità della situazione: “Ictus cerebri ischemico con emisindrome sinistra; infarto miocardico infero posteriore, trombosi venosa profonda arto inferiore sinistro”. La paziente necessita di cure intensive immediate e viene successivamente trasferita in unità di terapia intensiva e poi in Stroke Unit.
Il percorso di cura si rivela lungo e complesso. Dopo il periodo in terapia intensiva, la donna viene trasferita al Reparto di riabilitazione e successivamente a quello di Post Acuzie. Le sue condizioni, pur stabilizzandosi gradualmente, rimangono gravi. La dimissione definitiva avviene solo il 6 settembre 2008, dopo oltre quattro mesi di ospedalizzazione, con una diagnosi finale che evidenzia la permanenza di gravi deficit neurologici: “Emisindrome sx spastica grave in esiti di ictus ischemico silviano dx con secondario infarcimento emorragico. Sindrome acuta coronarica in corso di sospetta trombocitopenia da eparina (HIT). Recente flebotrombosi gastrocnemia sinistra, coronopatia non critica. Anemia sideropenia, Tireopatia autoimmune in fase florida”.
Un elemento emerge con particolare chiarezza fin dall’immediatezza del ricovero d’urgenza: gli esami clinici mostrano un forte calo delle piastrine e un aumento della troponina, parametri che fanno sorgere immediati sospetti che la causa degli eventi avversi sia da ricondurre all’eparina, principio base del farmaco Seledie utilizzato per la terapia anticoagulante. Questi sospetti vengono poi confermati all’atto della dimissione, quando i medici accertano definitivamente il nesso causale tra il trattamento farmacologico e le gravi complicanze occorse.
NORMATIVA E PRECEDENTI
Il quadro normativo di riferimento per la responsabilità medica trova il proprio fondamento negli articoli 1176 e 2236 del Codice Civile, che disciplinano rispettivamente l’obbligo di diligenza nell’adempimento delle prestazioni professionali e la responsabilità del prestatore d’opera per danni derivanti da imperizia. Particolare rilevanza assume l’articolo 2236, che limita la responsabilità del professionista ai soli casi di dolo o colpa grave quando la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.
In materia di responsabilità sanitaria, la giurisprudenza di legittimità ha progressivamente chiarito il rapporto tra linee guida mediche e obbligo di diligenza del sanitario. Un principio consolidato, riaffermato dalla Cassazione Sezione Terza con sentenza numero 11208 del 9 maggio 2017, stabilisce che il rispetto delle linee guida da parte del sanitario costituisce un utile parametro nell’accertamento di una sua eventuale colpa, ma non esime il giudice dal valutare se le circostanze del caso concreto non esigessero una condotta diversa da quella dalle stesse prescritta.
Il valore probatorio delle linee guida è stato ulteriormente precisato dalla giurisprudenza, che ha chiarito come esse rappresentino raccomandazioni basate sulle migliori evidenze scientifiche disponibili, ma non possano essere considerate automaticamente vincolanti in ogni situazione clinica. Il sanitario mantiene sempre il dovere professionale di valutare le specificità del paziente e le particolarità del caso sottoposto al suo esame.
Fondamentale, in questa prospettiva, risulta il rapporto tra linee guida generali e indicazioni specifiche fornite dal produttore del farmaco. La giurisprudenza ha costantemente affermato che le informazioni contenute nel bugiardino e nella documentazione tecnica del medicinale rappresentano elementi vincolanti per il prescrittore, in quanto forniscono indicazioni specifiche validate dall’autorità regolatoria per quel particolare principio attivo e quella specifica formulazione.