Buoni fruttiferi postali: prevale quanto indicato sul retro del titolo rispetto alle disposizioni ministeriali – Tribunale di Messina, 2023

Buoni fruttiferi postali: prevale quanto indicato sul retro del titolo rispetto alle disposizioni ministeriali – Tribunale di Messina, 2023

Il Tribunale di Messina ha recentemente affrontato un caso di grande interesse per i risparmiatori italiani, riguardante la liquidazione di buoni fruttiferi postali. La controversia vedeva contrapposti gli eredi di un sottoscrittore di quattro buoni della serie “AF” e Poste Italiane S.p.A.

Il nodo centrale della questione era la discrepanza tra le condizioni di rimborso indicate sul retro dei titoli e quelle previste da un decreto ministeriale successivo all’emissione. Mentre i buoni promettevano un raddoppio dell’importo dopo 9 anni e 6 mesi e una triplicazione dopo 14 anni, Poste Italiane aveva liquidato una somma inferiore, basandosi sulle disposizioni ministeriali più recenti.

Il giudice, richiamando un importante precedente della Cassazione, ha stabilito che debba prevalere quanto indicato sui buoni consegnati al sottoscrittore. Questa decisione riafferma un principio fondamentale a tutela del risparmio e della buona fede contrattuale, con potenziali ripercussioni su numerosi casi analoghi.

La sentenza offre spunti di riflessione sul delicato equilibrio tra le esigenze di tutela del risparmio e la discrezionalità dell’amministrazione pubblica nella gestione degli strumenti finanziari. Vediamo nel dettaglio come si è sviluppata questa interessante vicenda giudiziaria.

INDICE

ESPOSIZIONE DEI FATTI

La vicenda ha origine nel novembre 1999, quando un risparmiatore sottoscrive quattro buoni fruttiferi postali della serie “AF”, ciascuno del valore di 5 milioni di lire (equivalenti a 2.582,82 euro). Sul retro di questi titoli era chiaramente indicato che l’importo sarebbe raddoppiato dopo 9 anni e 6 mesi, e triplicato dopo 14 anni dalla sottoscrizione.

Trascorsi i 14 anni, gli eredi del sottoscrittore (nel frattempo deceduto) si recano all’ufficio postale per riscuotere quanto dovuto. Tuttavia, Poste Italiane liquida una somma inferiore a quella attesa, basandosi non sulle condizioni indicate sui buoni, bensì su quelle previste da un decreto ministeriale del 26 febbraio 1999 per i titoli della serie “CB”.

Di fronte a questo rifiuto, gli eredi decidono di intraprendere un’azione legale. Citano in giudizio Poste Italiane, chiedendo l’accertamento del loro diritto alla liquidazione dell’intero importo promesso dai buoni, pari a 30.993,84 euro, e il conseguente pagamento della differenza di 16.156,00 euro rispetto a quanto già corrisposto (14.837,84 euro).

Poste Italiane si costituisce in giudizio, sostenendo che al momento dell’emissione dei buoni fosse stato erroneamente apposto sul retro il timbro con l’indicazione della serie “AF” invece della serie “CB”, quest’ultima prevedente condizioni meno vantaggiose.

La causa, dopo le fasi preliminari, giunge alla discussione finale davanti al Tribunale di Messina, chiamato a dirimere questo conflitto tra le aspettative dei risparmiatori e le ragioni dell’ente emittente.

NORMATIVA E PRECEDENTI

Il caso in esame solleva importanti questioni giuridiche, che il Tribunale di Messina affronta richiamando significativi precedenti giurisprudenziali e norme rilevanti.

In primo luogo, il giudice fa riferimento alla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 13979 del 15 giugno 2007. Questa pronuncia ha stabilito un principio fondamentale: in caso di discrepanza tra le prescrizioni ministeriali e quanto indicato sui buoni offerti in sottoscrizione, prevale il contenuto dei buoni stessi. La Suprema Corte ha infatti affermato che l’accordo negoziale si sostanzia nelle condizioni enunciate sui buoni consegnati al sottoscrittore, a fronte dei quali quest’ultimo ha versato la somma corrispondente.

Il Tribunale respinge invece l’applicabilità al caso di specie dell’art. 173 del D.P.R. n. 156/73, che prevede la facoltà di modificare in peius i tassi di interesse. Questa norma, e il conseguente orientamento espresso dalla Cassazione nella sentenza n. 3963 dell’11 febbraio 2019, non sono ritenuti pertinenti, in quanto non si tratta di una variazione sopravvenuta alla sottoscrizione dei buoni, bensì di una discrepanza originaria tra le condizioni indicate sui titoli e quelle previste da una disposizione ministeriale precedente.

Il giudice sottolinea inoltre come questa interpretazione sia coerente con la funzione stessa dei buoni postali, destinati ad essere emessi in serie per rispondere alle richieste di un numero indeterminato di risparmiatori. Un’interpretazione diversa, che ponesse a carico dei sottoscrittori le conseguenze di un errore imputabile all’amministrazione, finirebbe per compromettere le esigenze di tutela del risparmio diffuso cui si ispirano le norme in materia.

Viene richiamata anche una serie di precedenti conformi di altri tribunali (Castrovillari, Frosinone, Roma, Benevento, Alessandria), a conferma di un orientamento giurisprudenziale consolidato su questa delicata questione.

Infine, il Tribunale fa riferimento al D.M. 27 novembre 1996, che ha istituito la serie “AF” dei buoni fruttiferi postali oggetto della controversia, ribadendo che tali buoni restano disciplinati dalle disposizioni vigenti al momento della loro emissione.

DECISIONE DEL CASO E ANALISI

Il Tribunale di Messina ha accolto la domanda degli attori, condannando Poste Italiane al pagamento della differenza tra quanto effettivamente dovuto in base al rendimento indicato sul retro dei titoli e quanto già corrisposto.

La decisione si basa sul principio secondo cui, in caso di discrepanza tra le condizioni riportate sui buoni fruttiferi postali e quelle previste da disposizioni ministeriali, prevalgono le indicazioni contenute sui titoli consegnati al sottoscrittore. Questo orientamento mira a tutelare l’affidamento del risparmiatore e la buona fede contrattuale.

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