Cessione di crediti: la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale non basta – Sentenza Tribunale Milano 2024
La cessione di crediti è una pratica comune nel mondo finanziario, ma quanto è sufficiente la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale per provarne l’esistenza e la validità? Una recente sentenza del Tribunale di Milano getta nuova luce su questa questione, evidenziando l’importanza della prova documentale anche nelle operazioni di cartolarizzazione. Il caso in esame riguarda un’opposizione a decreto ingiuntivo che ha portato a una decisione sorprendente, mettendo in discussione prassi consolidate e offrendo spunti di riflessione per professionisti del settore e aziende coinvolte in simili transazioni.
Indice
ESPOSIZIONE DEI FATTI
Il caso in esame riguarda un’opposizione al decreto ingiuntivo n. 16750/2023 emesso dal Tribunale di Milano. Il decreto era stato emesso a favore di una società, presumibilmente una cessionaria di crediti, nei confronti di una debitrice principale e due fideiussori.
La controversia nasce da un credito derivante da un rapporto di conto corrente bancario. Gli opponenti, ovvero la debitrice principale e i fideiussori, hanno contestato la legittimazione attiva della società cessionaria, evidenziando la mancata produzione del contratto di cessione del credito e l’assenza di prova dell’effettivo acquisto dello stesso.
La società convenuta opposta, a sua difesa, ha invocato l’intervenuta pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ai sensi dell’art. 58 del D.Lgs. n. 385/1993 (Testo Unico Bancario), sostenendo che tale pubblicazione fosse sufficiente a provare l’avvenuta cessione del credito. A supporto della propria tesi, la società ha citato giurisprudenza della Cassazione.
NORMATIVA E PRECEDENTI
Il giudice, nell’analizzare il caso, ha preso in considerazione diverse norme e precedenti giurisprudenziali rilevanti per la questione.
In primo luogo, viene richiamato l’art. 58 del D.Lgs. n. 385/1993 (Testo Unico Bancario), che disciplina la cessione di rapporti giuridici a banche. Questa norma prevede una forma di pubblicità semplificata per le cessioni in blocco di rapporti giuridici, attraverso la pubblicazione di un avviso in Gazzetta Ufficiale.
Il giudice ha poi fatto riferimento all’art. 2721 del Codice Civile, che regola l’ammissibilità della prova testimoniale. Questa norma stabilisce limiti all’utilizzo della prova testimoniale per i contratti, in particolare quando il valore dell’oggetto eccede determinati importi.
Vengono inoltre citate diverse sentenze della Corte di Cassazione, tra cui la n. 22346/2017, che aveva affrontato il tema della sufficiente determinatezza dell’avviso in Gazzetta Ufficiale per quanto riguarda i crediti oggetto di cessione.
Il giudice menziona anche la recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 16723/2020, che ha trattato la questione del rilievo d’ufficio dell’inammissibilità della prova testimoniale, distinguendo tra i casi in cui la forma scritta è richiesta ad substantiam o ad probationem.
Infine, viene richiamata la sentenza della Cassazione n. 17986/2014, che aveva affermato la non distinzione, nella lettera degli artt. 2721 e seguenti del Codice Civile, tra le diverse funzioni della forma contrattuale.
DECISIONE DEL CASO E ANALISI
Il Tribunale di Milano ha accolto l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo e rigettando la domanda della società cessionaria. La decisione si basa su diversi punti chiave:
- Insufficienza della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale: Il giudice ha stabilito che la mera pubblicazione dell’avviso di cessione in Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell’art. 58 del TUB, non è sufficiente a provare l’esistenza e la validità della cessione del credito. La pubblicazione realizza una forma di pubblicità dell’atto, ma non si sostituisce all’atto stesso.
- Necessità di prova documentale: Nonostante la cessione di crediti non richieda forma scritta ad substantiam, il giudice ha ritenuto che, data la natura e il probabile ingente valore del contratto, non fosse ammissibile la prova per testimoni o per presunzioni. Ha quindi affermato la necessità di produrre il contratto di cessione o darne prova in altra forma idonea.
- Interpretazione dell’art. 2721 c.c.: Il Tribunale ha respinto l’interpretazione secondo cui l’inammissibilità della prova testimoniale debba essere eccepita e non possa essere rilevata d’ufficio quando la forma è richiesta ad probationem. Il giudice ha sottolineato che la lettera degli artt. 2721 e seguenti del Codice Civile non distingue a seconda delle funzioni della forma.
- Irrilevanza della dichiarazione della cedente: Il giudice ha ritenuto non rilevante la dichiarazione della società cedente circa l’inclusione del credito nel contratto di cessione. Tale dichiarazione non è stata considerata una confessione e, se intesa come indizio, il suo rilievo è stato ritenuto precluso ex artt. 2721 e 2729 c. II c.c.
Questa decisione ha importanti implicazioni per la prassi delle cessioni di crediti, in particolare nell’ambito delle operazioni di cartolarizzazione. Sottolinea l’importanza di una documentazione completa e accurata delle cessioni, anche quando si ricorre alla pubblicità semplificata prevista dal TUB.
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ESTRATTO DELLA SENTENZA
“A fronte di specifica contestazione di carenza di legittimazione attiva di dell’omessa produzione del contratto di cessione del credito, della mancanza di prova dell’effettivo acquisto del credito (cfr. citazione, pag. 3), parte convenuta opposta ha invocato l’intervenuta pubblicazione in Gazzetta ufficiale ai sensi dell’art. 58 d. lgs. n. 385/1993, supportando la propria tesi sulla base di giurisprudenza della Cassazione.
Quest’ultima tuttavia va recepita nella misura in cui ha esaminato il problema della sufficiente determinatezza dell’avviso in ordine ai crediti oggetto di cessione, non anche con riguardo invece al problema, prima ancora che dell’oggetto della cessione, dello stesso an della medesima. Del resto, l’art. 58 cit. realizza una forma di mera pubblicità dell’atto, senza sostituirsi allo stesso. In altri termini: la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale non integra il titulus della cessione.
Al riguardo, si osserva che il tipo di contratto in esame (cessione di crediti) non richiede, pacificamente, forma scritta.
Non di meno, dello stesso non si può ammettere la prova per testimoni (e dunque neppure per presunzioni) ai sensi dell’art. 2721 c.c. Ciò avuto riguardo alla qualità delle parti contraenti (soggetti societari) e al verosimile ingente valore dello stesso, stante la pluralità di crediti ceduti. Non è possibile equiparare un contratto della natura di quello in esame (cessione in blocco di crediti nell’ambito di un’operazione di cartolarizzazione) a un contratto della vita quotidiana minuta, rispetto al quale si giustifica la possibilità di una prova per testimoni. Ammettere in questi casi una prova per testimoni significa rendere labile ciò che a partire dalle buone prassi commerciali (ma prima ancora, dalle prassi effettivamente in uso) viene redatto per iscritto: proprio per il fatto che non si tratta di un atto di commercio della vita quotidiana.
Consegue la necessità di produrre il contratto ovvero darne prova in altra idonea forma.
È vero, come sostiene la difesa di che il legislatore ha inteso disciplinare la cessione in blocco in modo diverso dalle ordinarie cessioni del credito, ma ciò non può certo significare la possibilità di derogare alle ordinarie regole probatorie in punto di contratto.
Va soggiunto che, relativamente all’interpretazione dell’art. 2721 c.c., occorre osservare che la giurisprudenza più recente ha ritenuto che l’inammissibilità della prova testimoniale debba essere eccepita e non possa essere rilevata d’ufficio, se la forma è richiesta invece solo ad probationem, mentre può essere rilevata d’ufficio se ad substantiam (Cass. S.U. n. 16723/2020); ciò sul presupposto che nel primo caso non verrebbe in rilievo un interesse pubblico, bensì uno privato e, come tale, disponibile, e per il fatto che traducendosi la forma ad probationem in un problema di forma della prova, vale l’art. 157 c. 2 c.p.c. (che esclude, nel silenzio della legge, il rilievo d’ufficio della nullità dell’atto). La tesi è del tutto irricevibile, perché la lettera degli artt. 2721 ss. c.c. non distingue a seconda delle funzioni della forma (Cass. n. 17986/2014). Più in radice: le parti possono muoversi nell’ambito delle prove disponibili (per es. escludendo via art. 1352 c.c. una prova testimoniale), ma non possono rendere ammissibili prove che non lo sono.
Non rileva infine la dichiarazione della cedente in ordine all’inclusione, nel contratto, del credito ceduto. La stessa, anzitutto, non integra una confessione (la cedente, da tale dichiarazione, non trae alcun nocumento processuale, del resto non essendo neppure parte). Se fosse tale, e andasse quindi a danno della parte debitrice, si avrebbe il “mostriciattolo” di una confessione che opera a svantaggio del debitore ma di cui è autore il soggetto antagonista sul piano sostanziale di quest’ultimo, i.e. il creditore o, comunque, il cedente (i.e. un soggetto che ha un interesse comune con il creditore – cessionario ad affermare la titolarità del credito in capo a quest’ultimo). Il cedente avrebbe tutt’al più ragione di essere sentito come testimone: ma non esiste, fuori dei casi previsti dalla legge, una testimonianza scritta. Se mero indizio, infine, il suo rilievo è precluso ex artt. 2721 e 2729 c. II c.c.
Consegue la revoca del decreto e il rigetto della domanda.”
(Tribunale di Milano, Sentenza n. 169/2024)