Comunione de residuo e beni dell’impresa: la distinzione tra beni professionali e imprenditoriali nella giurisprudenza di merito – Tribunale di Bergamo 2024

Con una pronuncia di particolare interesse sistematico nell’ambito del diritto di famiglia e delle successioni, il Tribunale di Bergamo affronta il complesso tema del rapporto tra regime della comunione legale differita e beni destinati all’attività d’impresa, offrendo una ricostruzione innovativa del coordinamento tra gli artt. 178 e 179 lett. d) c.c.. La sentenza si segnala per l’articolata motivazione con cui viene tracciata una netta distinzione tra beni strumentali all’attività professionale e beni destinati all’impresa, con rilevanti ricadute applicative in tema di comunione de residuo.

Il Collegio bergamasco, chiamato a pronunciarsi in una controversia successoria, coglie l’occasione per fare chiarezza su questioni dibattute quali la presunzione di comproprietà delle somme depositate su conti cointestati tra coniugi e il rapporto tra collazione ed obbligazioni naturali, giungendo ad affermare principi destinati ad incidere significativamente sulla prassi applicativa in materia di regimi patrimoniali della famiglia e di diritto successorio. Il provvedimento si inserisce nel solco di un orientamento giurisprudenziale volto a delimitare con precisione l’ambito applicativo degli istituti della comunione legale immediata e differita, con particolare attenzione alla qualificazione dei beni destinati all’esercizio dell’attività economica di uno dei coniugi.

Avv. Cosimo Montinaro – Tel. 0832/1827251 – e-mail segreteria@studiomontinaro.it

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INDICE

  • ESPOSIZIONE DEI FATTI
  • NORMATIVA E PRECEDENTI
  • DECISIONE DEL CASO E ANALISI
  • ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI

La controversia giunge all’esame del Tribunale di Bergamo a seguito dell’azione proposta dalla figlia di due coniugi defunti per ottenere la riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della propria quota di legittima e l’accertamento della natura personale o comune dei beni caduti in successione. Il patrimonio ereditario comprendeva, tra l’altro, beni destinati all’esercizio dell’attività imprenditoriale del padre, in particolare un capannone industriale con relative attrezzature, nonché consistenti somme di denaro depositate su conti correnti cointestati ai coniugi. La questione centrale sottoposta al vaglio del Collegio concerneva la qualificazione giuridica dei beni aziendali: secondo la prospettazione attorea, essi dovevano considerarsi beni personali ex art. 179 lett. d) c.c.; per il convenuto, invece, rientravano nella comunione de residuo ai sensi dell’art. 178 c.c. Ulteriore aspetto controverso riguardava la presunzione di comproprietà delle somme depositate sui conti correnti cointestati, che l’attrice sosteneva essere stati alimentati esclusivamente con proventi dell’attività paterna. La complessità del caso derivava dalla necessità di ricostruire analiticamente la provenienza delle risorse confluite nei rapporti bancari e di determinare la natura giuridica dei beni strumentali all’attività d’impresa, tenendo conto del particolare regime della comunione de residuo e dei suoi rapporti con la disciplina dei beni personali.

NORMATIVA E PRECEDENTI

Il quadro normativo di riferimento si incentra sul coordinamento tra l‘art. 178 c.c., che assoggetta alla comunione de residuo i beni destinati all’esercizio dell’impresa costituita dopo il matrimonio e gli incrementi di quella preesistente, e l’art. 179 lett. d) c.c., che qualifica come personali i beni strumentali all’esercizio della professione del coniuge. La giurisprudenza di legittimità ha progressivamente elaborato criteri distintivi tra le due fattispecie, evidenziando come la ratio dell’esclusione dalla comunione immediata dei beni professionali risponda all’esigenza di tutelare l’autonomia nell’esercizio delle professioni intellettuali, mentre la sottoposizione alla comunione differita dei beni dell’impresa sia funzionale a garantire la partecipazione del coniuge non imprenditore ai risultati dell’attività economica familiare. In particolare, la Suprema Corte ha chiarito che i beni destinati all’esercizio della professione sono esclusi dalla comunione ex art. 179 lett. d) c.c. (Cass. n. 18456/2005), mentre i beni dell’impresa rientrano nella comunione de residuo ex art. 178 c.c. (Cass. n. 32039/2022). Con riferimento alla presunzione di comproprietà delle somme depositate su conti correnti cointestati, la giurisprudenza di legittimità richiede una prova rigorosa per superare la presunzione di contitolarità derivante dalla cointestazione (Cass. n. 4838/2021). Il complesso normativo deve inoltre coordinarsi con la disciplina della collazione e delle obbligazioni naturali, che assume particolare rilevanza in relazione alle spese sostenute dai genitori in favore dei figli.

DECISIONE DEL CASO E ANALISI

Il Tribunale di Bergamo sviluppa un’articolata motivazione che affronta sistematicamente le questioni giuridiche sottese alla controversia, offrendo una ricostruzione sistematica dei principi in materia di comunione legale differita e beni destinati all’attività economica del coniuge. In via preliminare, il Collegio affronta la distinzione tra beni professionali e beni dell’impresa, aderendo all’orientamento giurisprudenziale che esclude l’equiparabilità tra le due categorie di beni. Tale impostazione si fonda sulla diversa ratio sottesa agli artt. 178 e 179 lett. d) c.c.: mentre l’esclusione dalla comunione dei beni professionali mira a garantire l’autonomia nell’esercizio delle professioni intellettuali, la sottoposizione alla comunione differita dei beni dell’impresa risponde all’esigenza di assicurare la partecipazione del coniuge non imprenditore ai risultati dell’attività economica familiare. Ne consegue che il capannone industriale e le relative attrezzature, in quanto destinati all’impresa, rientrano necessariamente nella comunione de residuo ex art. 178 c.c., senza che possa trovare applicazione il regime dei beni personali.

Con riferimento alla presunzione di comproprietà dei conti correnti cointestati, la sentenza riafferma il principio secondo cui la cointestazione determina una presunzione di contitolarità delle somme depositate, superabile solo attraverso la rigorosa dimostrazione della provenienza esclusiva del denaro da uno dei cointestatari. Nel caso di specie, il Collegio rileva come tale prova non sia stata fornita, risultando anzi dalla documentazione in atti che i conti correnti erano stati alimentati da proventi di diversa natura, non tutti riconducibili all’attività imprenditoriale del marito. La decisione si sofferma inoltre sul rapporto tra collazione e obbligazioni naturali, qualificando le somme versate per spese mediche come adempimento di obbligazioni naturali escluse dalla collazione ai sensi dell’art. 742 c.c..

ESTRATTO DELLA SENTENZA

“La distinzione tra beni destinati all’esercizio della professione e beni destinati all’attività d’impresa assume rilevanza centrale nell’ambito del regime patrimoniale della famiglia, in quanto sottoposta a differenti discipline normative che ne regolano l’appartenenza alla comunione legale dei beni. In particolare, nel regime della comunione legale, i beni, inclusi quelli immobili, che vengano acquistati da uno dei coniugi e destinati all’esercizio, da parte sua, dell’impresa costituita dopo il matrimonio, fanno parte della comunione ‘de residuo’, e quindi se e nei limiti in cui sussistano al momento dello scioglimento di questa.

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