Indennizzo danni causati da somministrazione di vaccino

Nel caso sottoposto al vaglio del Tribunale di Lecce, gli attori, in qualità di genitori esercenti la responsabilità genitoriale sulla figlia minore, conveniva in giudizio il Ministero della Salute (ex Ministero della Sanità), nonché ASl Lecce per sentirli condannare in solido tra loro al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, riportati dalla figlia a seguito della somministrazione del vaccino MPR (morbillo–parotite-rosolia), la cui prima somministrazione era avvenuta in data 18 marzo 2011, mentre il richiamo in data 17 ottobre 2012.

Deducevano a sostegno della domanda che, a seguito della somministrazione della seconda dose di richiamo, la figlia minore aveva accusato rinofaringite nonché la comparsa di petecchie sul torace e sull’addome, sicché era stata condotta presso il P.O. di Lecce, ove le era stata diagnosticata una “Piastrinopenia di verosimile origine autoimmune post vaccino”.

Precisava che, a causa della predetta patologia, la minore era stata costretta, per i primi anni, ad una vita diversa da quella degli altri bambini e che ad oggi “è un soggetto molto debole […] si ammala frequentemente e conseguentemente si assenta spesso da scuola, è sempre sottoposta a controlli ematologici, segue un regime alimentare particolare”.

Deducevano, quindi, in diritto, la responsabilità dell’ASL Lecce e del Ministero della Salute rispettivamente ex. artt. 1218 e 2050 cod. civ. nonché ex. art. 2043, per aver somministrato un medicinale dannoso alla salute pur essendo, o pur dovendo essere, a conoscenza “della intrinseca pericolosità del vaccino praticato alla bambina poiché contenente eccipienti nocivi” e, in ogni caso, per la “omessa corretta valutazione dello stato di salute della stessa”.

Quanto alla correlazione del vaccino con l’insorgenza della malattia, rilevavano che anche la C.M.O. di Taranto aveva riconosciuto “il nesso di causalità intercorrente tra le vaccinazioni praticate e la piastrinopenia autoimmunitaria” e ciò nonostante aveva escluso il diritto al beneficio economico di cui all’art. 1 L. L. 210/1992 ritenendo la patologia “risolta e pertanto non classificabile alla tabella A del DPR n. 834 del 30.12.198” (v. processo verbale ML/V N. 3550 del 19.03.2015).

Il Tribunale di Lecce, con sentenza n. 2029/2022, pubblicata in data 01/07/2022, ripercorre l’evoluzione normativa e giurisprudenziale del diritto all’indennizzo derivante da danni causati dalla somministrazione di vaccino.

Estratto della sentenza:

[…] Il primo riferimento normativo è dato dalla richiamata legge n. 210 del 1992, con la quale il legislatore ha previsto un “indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie” (art. 1 comma 1) estendendo il medesimo beneficio all’ipotesi di “trasfusioni e somministrazioni di emoderivati” (art 1, commi 2 e 3), indennizzo configurato come diritto soggettivo ad una prestazione economica a carattere assistenziale (SS.UU. n. 10418/2006).

Tale legge entrò in vigore a seguito della nota sentenza della Corte Costituzionale (n. 307 del 1990) con la quale era stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della legge sull’obbligatorietà della vaccinazione antipoliomelitica (L.n.51/1966) nella parte in cui non prevedeva a carico dello Stato un’equa indennità, al di fuori dell’ipotesi di cui all’art. 2043 cod. civ., per il caso di danno derivante da contagio o da altra malattia causalmente riconducibile a detta vaccinazione. La ratio legis della 210 è stata ben evidenziata da una sentenza della Corte Costituzionale (n. 27 del 1998) in cui si legge: “se il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività (art. 32 della Costituzione) giustifica l’imposizione per legge di trattamenti sanitari obbligatori, esso non postula il sacrificio della salute individuale a quella collettiva. Cosicché, ove tali trattamenti obbligatori comportino il rischio di conseguenze negative sulla salute di chi ad essi è stato sottoposto, il dovere di solidarietà previsto dall’art 2 della Costituzione impone alla collettività, e per essa allo Stato, di predisporre in suo favore i mezzi di una protezione specifica consistente in una “equa indennità”, fermo restando, ove ne risultino i presupposti, il diritto al risarcimento del danno”.

Con la legge n. 229 del 2005 il nostro legislatore ha introdotto un ulteriore indennizzo (nella forma di assegno vitalizio) in favore delle persone danneggiate da complicanze di tipo irreversibile verificatesi a seguito di vaccinazioni obbligatorie, ferma restando la connotazione di danno incolpevole e fermo, altresì, il diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale da fatto illecito (art. 1 L.n. 229/2005).

Con successiva pronuncia (n.107 del 2012) della Corte Costituzionale è stato, di fatto, esteso il diritto al riconoscimento dell’indennizzo anche ai vaccini non obbligatori, ma consigliati dalle autorità sanitarie precisando: ”In un contesto di irrinunciabile solidarietà la misura indennitaria appare per se stessa destinata non tanto, come quella risarcitoria, a riparare un danno ingiusto, quanto piuttosto a compensare il sacrificio individuale ritenuto corrispondente a un vantaggio collettivo: sarebbe, infatti, irragionevole che la collettività possa, tramite gli organi competenti, imporre o anche solo sollecitare comportamenti diretti alla protezione della salute pubblica senza che essa poi non debba reciprocamente rispondere delle conseguenze pregiudizievoli per la salute di coloro che si sono uniformati”.

Da ultimo, per effetto della pronuncia n. 268 del 2017 della Corte Costituzionale, la tutela prevista dalla L. n. 210 del 92 è stata estesa anche alle vaccinazioni contro il virus influenzale.

Indubbio, quindi, che il presupposto dell’indennizzo resti integrato dalla sussistenza di un danno permanente alla salute pur se incolpevole, mentre quello per ottenere il pieno ristoro, cioè il risarcimento del danno, resti soggetto alla disciplina comune ex artt. 2043 e 2059 cod. civ. e quindi presupponga il rapporto tra fatto illecito e danno risarcibile.

Chiarito dunque, come innanzi, che per l’ipotesi di danni da vaccinazione “raccomandata” valgono gli stessi principi in tema di danni da vaccinazione obbligatoria, si precisa ancora, quanto al titolo della responsabilità riguardo il Ministero della Salute, che – non svolgendo lo stesso in concreto attività imprenditoriale in relazione all’acquisto e distribuzione dei vaccini, ma soltanto di controllo, vigilanza e tutela della salute pubblica – non può essere ritenuto responsabile ex art. 2050 cod. civ., non potendosi configurare nei suoi compiti di prevenzione, vigilanza e controllo dei servizi sanitari svolti dalle amministrazioni autonome dello stato e dagli enti pubblici, l’esercizio di attività pericolosa. (cfr. Cassaz. n.9406/2011).

Quanto alla responsabilità della ASL LE, non si può fare a meno di notare che l’attività da essa esercitata nella somministrazione dei vaccini, è un’attività posta in essere in esecuzione di una prestazione a tutela della salute pubblica cui è obbligatoriamente tenuta in forza di legge sicché non parrebbe, con certezza, riconducibile a quella usuale, ormai pacificamente collocata nell’ambito contrattuale, che ricorre quando il paziente si rivolge di sua iniziativa ad una struttura ospedaliera ed il rapporto che ne consegue è su base esclusivamente volontaria.

La questione, tuttavia, non ha granché rilevanza, tanto più se si considera che, se l’onere della prova in tema di responsabilità extracontrattuale incombe sicuramente sul danneggiato che deve dedurre anzitutto il profilo di colpa o di dolo (sia generico che specifico) ed il nesso causale tra la condotta e l’evento, anche nella responsabilità contrattuale il danneggiato non è esonerato dall’obbligo di dedurre l’inadempimento, ossia il fatto positivo o negativo (l’omissione) in cui questo si è specificatamente concretato, sia pure in termini non necessariamente tecnici.

In altri termini, il creditore ha pur sempre l’obbligo di allegare l’inadempimento, anche per consentire al debitore convenuto di difendersi adeguatamente dovendo quest’ultimo provare, a sua volta, l’esatto adempimento, ossia di aver eseguito la propria prestazione in modo diligente e di non avere compiuto errori terapeutici che hanno causato il danno.

La prova liberatoria che grava sul medico consiste infatti nella dimostrazione della diligenza nell’adempimento o dell’incolpevolezza dell’inadempimento: egli deve cioè provare di avere osservato tutte le norme di comune diligenza e/o che l’evento dannoso è riconducibile ad un fattore imprevisto ed imprevedibile estraneo al suo operato.

Si può senz’altro quindi affermare che, in tema di responsabilità da colpa medica, il meccanismo di ripartizione dell’onere della prova non si riflette sull’onere di allegazione in punto di condotta ed evento, perché se è vero che il soggetto danneggiato in occasione di una prestazione sanitaria, sul versante della responsabilità contrattuale non è più tenuto a provare la colpa del medico, né, tanto meno, la gravità della stessa ed è sufficiente che provi il titolo ed il danno, è anche vero che non è esonerato dall’allegazione della negligenza del medico (o della struttura) nello svolgimento della prestazione sanitaria, pur se tale onere di allegazione non richieda la necessità di indicare gli specifici aspetti tecnici di responsabilità, “essendo sufficiente la contestazione dell’aspetto colposo dell’attività medica secondo quelle che si ritengono essere in un dato momento storico le cognizioni ordinarie di un non professionista (cfr. Cass., n. 9471/2004).

Per dirla con le Sezioni Unite (sentenza n.577/2008) non v’è dubbio che “….In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria …. ai fini del riparto dell’onere probatorio”, il danneggiato, benché si possa limitare alla prova solo del contratto e dell’aggravamento della patologia o dell’insorgenza della stessa, deve pur sempre “allegare l’inadempimento del debitore astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato. Competerà al debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è proprio stato, ovvero che, pur esistendo, non è stato nella fattispecie causa del danno”.

La richiesta di allegazione di un inadempimento astrattamente efficiente alla produzione del danno richiede quindi, la minima, sia pur generica individuazione (in definitiva, la “sufficiente contestazione”) dell’addebito (nella componente oggettiva e soggettiva) che si muove o al medico in relazione all’attività prestata (diagnosi, esame clinico, intervento ecc. ecc), compatibile con le conoscenze di un soggetto non professionista, o alla struttura ospedaliera (deficienze organizzative, strutturali ecc.ecc. della prestazione sanitaria nel suo complesso).

Tale allegazione costituisce precipuo onere dell’attore che certamente non può limitarsi sic et simpliciter a dedurre l’esistenza di un trattamento e di un esito non favorevole per fondare la responsabilità del convenuto, dovendo indicare quale sia stato l’atto o il fatto ad esso attribuibile, astrattamente ma non genericamente idoneo a cagionare il danno lamentato […]

Avv. Cosimo Montinaro

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