Leasing: niente restituzione canoni dopo scadenza – Trib. Milano 2024
Nel panorama giuridico italiano, una recente pronuncia del Tribunale di Milano del 2024 ha gettato nuova luce sulla complessa questione della restituzione dei canoni nei contratti di leasing giunti a naturale scadenza. La sentenza affronta un tema di grande rilevanza pratica: cosa accade quando l’utilizzatore non restituisce tempestivamente il bene alla scadenza del contratto? La decisione del Tribunale offre spunti di riflessione cruciali per operatori del settore e giuristi, ribaltando alcune convinzioni radicate sulla tutela dell’utilizzatore.
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INDICE
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
ESPOSIZIONE DEI FATTI
La vicenda giudiziaria trae origine da un contratto di leasing finanziario stipulato il 2 marzo 1999, successivamente modificato con scrittura privata del 15 settembre 2010, avente ad oggetto un immobile sito nel Comune di Rivignano. Il contratto prevedeva una naturale scadenza fissata al 1° febbraio 2012, senza che fosse stata pattuita alcuna proroga.
Alla scadenza naturale del contratto, l’utilizzatore non ha provveduto alla restituzione del bene, continuando ad occuparlo. Il 14 novembre 2012, la società concedente ha inviato una raccomandata intimando il versamento degli “insoluti e indennizzi”. Nonostante ciò, l’utilizzatore ha mantenuto il possesso dell’immobile per oltre dieci anni dalla scadenza contrattuale, fino al rilascio avvenuto solo in esecuzione di un’ordinanza emessa dal Tribunale di Milano il 24 febbraio 2021.
In questo contesto, un creditore dell’utilizzatore ha promosso un’azione surrogatoria ex art. 2900 c.c., chiedendo la restituzione dei canoni versati dall’utilizzatore durante il rapporto contrattuale, quantificati in euro 252.411,93 oltre IVA. La domanda si fondava sull’applicazione dell’art. 1526 comma 1 c.c., norma che prevede la restituzione dei canoni in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore.
La società concedente si è costituita in giudizio contestando la fondatezza della domanda e chiedendo, in via riconvenzionale e subordinata, il riconoscimento di un equo compenso pari all’importo dei canoni versati. Nel corso del procedimento sono intervenute anche le società cessionarie del credito e del bene oggetto del contratto di leasing, nell’ambito di una più ampia operazione di cartolarizzazione.
Il caso presenta peculiarità rilevanti: non si tratta di una risoluzione anticipata del contratto, bensì di un contratto giunto a naturale scadenza; l’utilizzatore ha trattenuto il bene per un periodo estremamente lungo dopo la scadenza; il credito e il bene sono stati oggetto di cessione nell’ambito di un’operazione di cartolarizzazione.
NORMATIVA E PRECEDENTI
Il caso in esame si inserisce nel complesso quadro normativo e giurisprudenziale relativo ai contratti di leasing finanziario. La decisione del Tribunale di Milano si fonda su una serie di norme e precedenti giurisprudenziali che è opportuno analizzare in dettaglio.
In primo luogo, viene in rilievo l’art. 1526 del Codice Civile, che disciplina la risoluzione del contratto di vendita con riserva di proprietà. Questa norma, applicata in via analogica ai contratti di leasing traslativo dalla giurisprudenza, prevede al primo comma che in caso di risoluzione del contratto per inadempimento del compratore, il venditore deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l’uso della cosa. Il secondo comma, tuttavia, consente alle parti di convenire che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo di indennità.
La Corte di Cassazione, con la sentenza delle Sezioni Unite n. 2061 del 28 gennaio 2021, ha confermato la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo per i contratti risolti anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 124 del 2017. Per il leasing traslativo, le Sezioni Unite hanno ribadito l’applicabilità analogica dell’art. 1526 c.c., ma hanno anche evidenziato che il secondo comma di tale norma prevede la possibilità di pattuire l’irripetibilità dei canoni versati.
Rilevante è anche la giurisprudenza in materia di clausole penali nei contratti di leasing. La Cassazione, con l’ordinanza n. 15202 del 2018 e la sentenza n. 19272 del 2014, ha confermato la piena liceità delle clausole che stabiliscono l’irripetibilità dei canoni versati al concedente, anche in materia di risoluzione di leasing traslativo. La Corte ha inoltre chiarito, con l’ordinanza n. 25863 del 31 ottobre 2017, che tali clausole non sono da considerarsi eccessive quando consentono alla società finanziaria di ottenere non più dello stesso utile che avrebbe conseguito se il contratto fosse stato adempiuto regolarmente.
Per quanto riguarda la disciplina dell’occupazione senza titolo successiva alla scadenza del contratto, assume rilevanza l’art. 1591 del Codice Civile in materia di locazione, applicabile analogicamente al leasing. Tale norma prevede che il conduttore in mora nella restituzione della cosa locata è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno.
Infine, in tema di cessione del credito in corso di causa, l’art. 111 del Codice di Procedura Civile disciplina la successione a titolo particolare nel diritto controverso. La giurisprudenza (Cass. n. 22424/2009) ha chiarito che in tali casi il giudizio prosegue validamente tra le parti originarie, con la conservazione della legittimazione da parte del cedente in qualità di sostituto processuale del cessionario, fino all’eventuale estromissione formale del primo dal giudizio.
DECISIONE DEL CASO E ANALISI
Il Tribunale di Milano ha respinto integralmente la domanda dell’attrice, fornendo un’analisi approfondita e articolata della questione. La decisione si fonda su diversi elementi chiave che meritano un’attenta disamina.
In primo luogo, il giudice ha rilevato che nel caso di specie non si è verificata una risoluzione anticipata del contratto, ma il contratto è giunto alla sua naturale scadenza. Questa circostanza è fondamentale, in quanto esclude l’applicabilità automatica dell’art. 1526 comma 1 c.c., norma invocata dall’attrice per ottenere la restituzione dei canoni. Il Tribunale ha sottolineato che tale disposizione è stata elaborata dalla giurisprudenza per bilanciare gli interessi delle parti in caso di risoluzione anticipata del leasing traslativo, ma non può essere estesa acriticamente a situazioni diverse.
Un elemento centrale nella decisione è stata la prolungata occupazione dell’immobile da parte dell’utilizzatore dopo la scadenza del contratto. Il Tribunale ha evidenziato che questa circostanza ha determinato l’applicazione della clausola contrattuale che prevedeva il pagamento di un’indennità di occupazione. Secondo i calcoli del giudice, l’importo maturato a titolo di indennità, sommato alla penale prevista contrattualmente, superava ampiamente l’ammontare dei canoni di cui l’attrice chiedeva la restituzione.
Il Tribunale ha inoltre dato peso alle previsioni contrattuali che stabilivano l’irripetibilità dei canoni versati. Richiamando la giurisprudenza della Cassazione, il giudice ha ribadito la piena liceità di tali clausole, sottolineando che esse non determinano uno squilibrio contrattuale tale da giustificare un intervento correttivo del giudice. In particolare, il Tribunale ha osservato che l’utilizzatore ha goduto dell’immobile per tutto il periodo contrattuale e oltre, e che non vi era un capitale residuo a scadere per canoni non ancora scaduti.
Un aspetto interessante della decisione riguarda il rifiuto di applicare d’ufficio l’art. 1526 c.c. Il Tribunale ha chiarito che, in assenza di una specifica domanda di parte volta a rideterminare la penale secondo equità, non sussistevano i presupposti per un intervento giudiziale volto a riequilibrare il rapporto contrattuale.
La sentenza affronta anche la questione della cessione del credito e del bene avvenuta in corso di causa. Il Tribunale, applicando l’art. 111 c.p.c., ha negato l’estromissione della società concedente originaria, in assenza del consenso di tutte le parti. Ha inoltre precisato che la legittimazione passiva rispetto alle domande dell’attrice rimaneva in capo alla società concedente e alla sua cessionaria, escludendo invece la legittimazione passiva della società cessionaria del bene, non essendo stata avanzata alcuna domanda di restituzione dell’immobile.
In conclusione, la decisione del Tribunale di Milano si caratterizza per un approccio rigoroso e aderente al dato contrattuale e normativo. Il giudice ha respinto l’applicazione automatica di schemi interpretativi elaborati per situazioni diverse (come la risoluzione anticipata del leasing), privilegiando invece un’analisi puntuale delle circostanze del caso concreto e delle pattuizioni tra le parti. Questa sentenza potrebbe avere importanti ripercussioni sulla prassi del settore, inducendo gli operatori a prestare maggiore attenzione alle clausole contrattuali relative alla fase terminale del rapporto di leasing e alle conseguenze di un’eventuale mancata restituzione del bene alla scadenza.
ESTRATTO DELLA SENTENZA
“Giova preliminarmente osserva che dalle evidenze documentali di causa, in ragione del principio di non contestazione ex art. 115 cpc operante per le parti costituite, nonché sulla scorta del decisum (come da sentenza del Tribunale di Udine confermata all’esito dell’appello, richiamata in premessa e avente ad oggetto il medesimo contratto de quo) risultano provate le seguenti circostanze:
1-contratto di locazione finanziaria avente ad oggetto il cespite immobiliare, di cui in premessa, non è stato risolto anticipatamente;
2-la naturale scadenza era infatti il 01.02.2012;
3- non risulta pattuita alcuna proroga (per la quale peraltro era necessaria la forma scritta, Cfr. 24 delle condizioni generali di contratto);
4-spirata la naturale scadenza seguiva in data 14.11.2012 la racc. di [concedente] con la quale, quale concedente, intimava alla utilizzatrice il versamento di “insoluti e indennizzi”;
5-riferita intervenuta risoluzione per scadenza naturale del contratto e il mancato pagamento degli ultimi canoni dovuti sono stati confermati dalla parte attrice negli atti di causa; si consideri infatti che – benché il contenuto delle diffide di [concedente] (rispettivamente datate 14.11.2012 e 14.03.2014) non sia di univoca lettura quanto agli importi e alle causali ivi esposte – la stessa parte attrice ha dedotto nell’atto di citazione, che in pendenza della (prima) causa incardinata avanti al Tribunale di Udine (quella richiamata in premessa la cui notifica dell’atto di citazione risale al il 28.01.2014) e dopo, quindi, la risoluzione avvenuta con la comunicazione di [concedente] del 14.11.2012 era stata avviata una trattativa tra l’odierna attrice e [concedente] che prevedeva che quest’ultima avrebbe rinunciato alla risoluzione intervenuta per scadenza del contratto e consentito il pagamento a saldo della morosità di “euro 6.290,83” e così all’esercizio del riscatto della attrice-quale creditore in surroga;
6-parimenti documentata e non contestata la seguente circostanza: solo in esecuzione dell’ordinanza emessa in data 24.02.2021 dal Tribunale di Milano è avvenuto il rilascio del bene immobile da parte dell’utilizzatore.
[…]
Applicati i predetti principi anche alla fattispecie in esame si deve concludere che:
-non possa seguire alcuna automatica applicazione dell’art. 1526 co 1 c.c.;
-nessuna domanda è stata svolta al fine di rideterminare la penale secondo equità;
-le previsioni contrattuali nella specie non determinano alcun ingiustificato squilibrio contrattuale, non vi è, infatti, in ogni caso alcun diritto dell’utilizzatore (e del creditore in surroga) ad ottenere la restituzione delle somme di cui al petitum, attesa la circostanza (assorbente) che il cespite non è stato rilasciato dall’utilizzatore alla scadenza, così maturando le indennità per l’indebita occupazione protrattasi per oltre 10 anni, al quale sommare le ulteriori spese sostenute per il procedimento di rilascio e gli interessi sulla sorte capitale.
Non si ravvisa, pertanto, alcuno squilibrio contrattuale necessitante intervento ex officio.
L’utilizzatore ha goduto per tutto il periodo contrattuale dell’immobile e non vi è un capitale residuo a scadere per canoni non ancora scaduti (ipotesi operante nel diverso scenario della risoluzione anticipata), sicchè non deve operare alcun meccanismo di riequilibrio.
La domanda in surroga di parte attrice viene pertanto integralmente rigettata.”
(Tribunale di Milano, sentenza n. 3080/2024)