Il tema della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale delle strutture sportive per gli infortuni subiti dai propri iscritti durante l’allenamento rappresenta una questione giuridica di crescente rilevanza, specialmente in ambiti come il Crossfit dove gli esercizi richiedono particolare attenzione e preparazione fisica. Una recente pronuncia del Tribunale di Lodi affronta proprio questo delicato equilibrio tra la responsabilità del gestore della palestra e i doveri di prudenza dell’atleta, analizzando dettagliatamente il caso di un iscritto che, nonostante il divieto espresso degli istruttori, ha eseguito un complesso esercizio agli anelli riportando gravi lesioni a seguito di una caduta.
La vicenda processuale pone al centro il difficile bilanciamento tra l’obbligo di garantire un ambiente sicuro per lo svolgimento delle attività sportive e il dovere del singolo atleta di rispettare le istruzioni ricevute e adottare comportamenti conformi alle proprie capacità e al regolamento interno. Il Giudice, nell’affrontare tale questione, ha dovuto esaminare attentamente il quadro probatorio relativo alle circostanze dell’incidente e verificare la sussistenza del nesso causale tra la condotta della palestra e l’evento dannoso, valutando l’efficacia interruttiva del comportamento tenuto dal danneggiato.
La sentenza del Tribunale di Lodi del 2025 offre un’interessante analisi dei presupposti della responsabilità del custode ai sensi dell’art. 2051 del Codice Civile e della responsabilità contrattuale derivante dal rapporto instaurato con l’iscritto, evidenziando i limiti dell’obbligo risarcitorio della struttura sportiva nel caso in cui l’infortunio sia riconducibile all’imprudenza dell’atleta. La pronuncia fornisce altresì utili indicazioni in merito alla ripartizione dell’onere probatorio nelle cause risarcitorie, chiarendo quali elementi debbano essere dimostrati dalla parte attrice e quali eccezioni possano essere validamente sollevate dalla convenuta per escludere la propria responsabilità.
Avv. Cosimo Montinaro – e-mail segreteria@studiomontinaro.it ➡️RICHIEDI UNA CONSULENZA ⬅️
Indice
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI
La controversia trae origine da un infortunio occorso all’attore nel tardo pomeriggio del 22 marzo 2018 presso un Centro Crossfit situato nella città di Lodi. L’attore, un giovane di ventisette anni regolarmente iscritto alla palestra gestita dalla società convenuta, dopo aver partecipato a una lezione, decideva di proseguire l’allenamento eseguendo un esercizio denominato “Ring Muscle Up” utilizzando gli anelli installati nella struttura. Durante l’esecuzione di tale manovra, particolarmente complessa e richiedente una notevole preparazione atletica, l’attore perdeva la presa sugli anelli e cadeva rovinosamente a terra, battendo violentemente la testa sul pavimento della palestra.
Le conseguenze dell’impatto si rivelavano particolarmente gravi, tanto che, dopo un iniziale tentativo di riprendere le normali attività recandosi verso gli spogliatoi, l’attore accusava sintomi preoccupanti come cefalea e vomito, che rendevano necessario il suo trasporto d’urgenza al Pronto Soccorso dell’ospedale di Lodi. Qui gli veniva diagnosticato un trauma occipitale con ematoma subdurale acuto fronto-temporale parietale della dimensione di circa 7 millimetri, con conseguente appianamento dei solchi tra le circonvoluzioni cerebrali e deviazione delle strutture della linea mediana. La gravità del quadro clinico imponeva il trasferimento immediato presso il nosocomio di Cremona, dove l’attore veniva sottoposto alle necessarie cure specialistiche.
Le conseguenze mediche permanenti dell’infortunio, secondo quanto documentato nella perizia medico-legale prodotta in giudizio, consistono principalmente nella perdita dell’olfatto e alterazioni del gusto (anosmia, disgeusia-cacogeusia) oltre a fotofobia, con un danno biologico permanente quantificato nella misura del 10%. A ciò si aggiunge un’invalidità temporanea totale di 45 giorni e parziale per ulteriori 45 giorni, con conseguenti spese mediche per visite specialistiche, esami diagnostici e terapie di riabilitazione.
Secondo la ricostruzione offerta dall’attore, l’esercizio agli anelli sarebbe stato eseguito con l’autorizzazione e sotto la vigilanza dell’istruttore presente in sala, conformemente a una prassi consolidata che consentiva agli iscritti, al termine della lezione, di proseguire l’allenamento con esercizi individuali. L’attore ha inoltre lamentato l’assenza di dispositivi di protezione adeguati, come tappetini o materassini sotto l’area degli anelli, nonché la mancata attivazione tempestiva dei soccorsi da parte del personale della palestra dopo la caduta.
La società convenuta ha invece fornito una versione radicalmente differente dei fatti, sostenendo che l’attore, nonostante il rifiuto espresso dall’istruttrice alla sua richiesta di utilizzare gli anelli al termine della lezione, e nonostante i ripetuti richiami, avrebbe ugualmente deciso di eseguire l’esercizio in questione, particolarmente complesso e riservato ad atleti con adeguata preparazione. La convenuta ha inoltre precisato che, contrariamente a quanto affermato ex adverso, negli spazi dedicati agli anelli non vengono posizionati materassini di protezione in quanto il loro utilizzo potrebbe causare perdita di equilibrio durante l’esecuzione degli esercizi, aumentando paradossalmente il rischio di infortuni.
L’istruttoria del procedimento ha comportato l’escussione di numerosi testimoni, sia tra gli istruttori presenti al momento dell’infortunio, sia tra gli altri iscritti che frequentavano la palestra, al fine di ricostruire con precisione le circostanze della caduta e verificare se effettivamente l’attore avesse ricevuto l’autorizzazione a svolgere l’esercizio che ha causato il sinistro.
NORMATIVA E PRECEDENTI
Il quadro normativo di riferimento per la decisione del caso in esame si articola intorno a diverse disposizioni del codice civile che disciplinano la responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, nonché i principi generali in materia di onere della prova e di nesso causale.
In primo luogo, assume rilievo l’art. 1218 del codice civile, che regola la responsabilità del debitore per l’inadempimento delle obbligazioni. In base a tale norma, il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Nel contesto della controversia in esame, la palestra assume la posizione di debitore rispetto all’obbligazione di fornire all’iscritto un ambiente sicuro per lo svolgimento delle attività sportive, con attrezzature adeguate e sotto la vigilanza di personale qualificato.
La giurisprudenza consolidata della Suprema Corte, richiamata nella sentenza, ha chiarito i criteri di ripartizione dell’onere probatorio nelle cause di responsabilità contrattuale, stabilendo che il creditore che agisce per la risoluzione del contratto, per il risarcimento del danno o per l’adempimento deve soltanto provare la fonte negoziale o legale del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione dell’inadempimento della controparte. Spetta invece al debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto adempimento o che l’inadempimento è dovuto a causa a lui non imputabile. Questo orientamento è stato consacrato nella sentenza delle Sezioni Unite n. 13533 del 30 ottobre 2001, richiamata espressamente dal Tribunale di Lodi.
In alternativa alla responsabilità contrattuale, l’attore ha invocato la responsabilità per danni cagionati da cose in custodia ai sensi dell’art. 2051 c.c., che attribuisce al custode l’obbligo di risarcire il danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito. La giurisprudenza ha qualificato tale responsabilità come oggettiva, richiedendo la sola dimostrazione del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, senza che rilevi la condotta del custode né l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza. Il custode può liberarsi da tale responsabilità solo dimostrando il caso fortuito, rappresentato da un fatto naturale, dal fatto del danneggiato o di un terzo, connotato da imprevedibilità e inevitabilità secondo un criterio di regolarità causale.
La Cassazione ha precisato che, quando il danno è cagionato da un elemento inerte e privo di intrinseca pericolosità, quale uno strumento ginnico, è onere del danneggiato provare che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità tale da rendere molto probabile il verificarsi del danno e di aver tenuto un comportamento di cautela correlato al rischio percepibile con l’ordinaria diligenza (Cass. civ. Sez. VI-3, ord. n. 11526 dell’11 maggio 2017).
Particolare importanza assume anche l’art. 1227 c.c., relativo al concorso del fatto colposo del creditore, applicabile anche in ambito extracontrattuale. Secondo tale norma, se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. La giurisprudenza ha chiarito che la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa può arrivare a interrompere il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso quando costituisca un’evenienza non ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro (Cass. civ. Sez. III, ord. n. 2480 dell’1 febbraio 2018).
Completa il quadro normativo l’art. 2697 c.c., che stabilisce i principi generali in materia di onere della prova, imponendo a chi vuol far valere un diritto in giudizio di provare i fatti che ne costituiscono il fondamento e a chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti o sostiene che il diritto si è modificato o estinto di provare i fatti su cui l’eccezione si fonda.