Donazione indiretta: la prova dell’animus donandi

Donazione indiretta: la prova dell’animus donandi

La donazione indiretta rappresenta una figura giuridica complessa e affascinante, che spesso pone sfide probatorie significative per i professionisti del diritto. Quando il fine liberale non si manifesta in modo esplicito, ma si cela dietro operazioni giuridiche apparentemente neutre, dimostrare l’effettiva volontà di donare diventa una vera e propria caccia al tesoro per gli avvocati.

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Cass. civ., Sez. II, Ord., n. 9379 del 21/05/2020) si è confrontata proprio con questa delicata tematica, offrendo spunti di riflessione preziosi per comprendere i criteri e gli elementi probatori rilevanti nella qualificazione di una donazione indiretta. Quali sono i passaggi chiave di questa pronuncia? Come possono gli operatori del diritto trarre indicazioni utili per il loro agire professionale?

Per rispondere a queste domande, analizzeremo approfonditamente i fatti di causa, la normativa e la giurisprudenza applicata, la decisione del caso e le implicazioni pratiche della sentenza, al fine di fornire una guida completa ed esaustiva sulla prova dell’animus donandi nella donazione indiretta. Soltanto comprendendo a fondo questa tematica, gli avvocati potranno affrontare con maggiore consapevolezza e padronanza le sfide probatorie che si presentano in questo ambito.

Indice

  1. Esposizione dei fatti di causa
  2. Normativa e precedenti giurisprudenziali applicati
  3. Decisione del caso e analisi della sentenza
  4. Massima risolutiva della sentenza
  5. Implicazioni pratiche della sentenza

Esposizione dei fatti di causa

La sentenza in esame trae origine da una controversia insorta tra i familiari di B.A. e la sua ex-moglie D.Q.C. in merito all’acquisto di un immobile. In particolare, i ricorrenti – L.E., B.P., A. e G. – affermavano che l’operazione di compravendita aveva in realtà realizzato una donazione indiretta da parte dei genitori di B.A. (L.E. e Bu.Gi.) nei confronti della nuora D.Q.C., con una mera fittizia intestazione in capo a quest’ultima.

Normativa e precedenti giurisprudenziali applicati

La questione centrale riguardava la possibilità di qualificare l’operazione come donazione indiretta, rilevando l’effettiva volontà liberale dei suoceri (L.E. e Bu.Gi.) nel finanziare l’acquisto dell’immobile. A tal fine, la Corte di Cassazione ha fatto riferimento alla normativa in materia di donazione (artt. 769 e 2727 c.c.) e alle pronunce giurisprudenziali che hanno delineato i criteri per l’individuazione della donazione indiretta.

In particolare, la Suprema Corte ha richiamato il principio consolidato secondo cui la donazione indiretta si identifica in ogni negozio che, pur non avendo la forma della donazione, sia mosso da fine di liberalità e abbia lo scopo e l’effetto di arricchire gratuitamente il beneficiario (Cass., Sez. Un., 5 agosto 1982, n. 9282; Cass. 28 febbraio 2018, n. 4682).

Decisione del caso e analisi della sentenza

La Corte di Cassazione ha accolto i primi quattro motivi di ricorso, rilevando che la sentenza impugnata non aveva adeguatamente motivato in merito alla sussistenza dell’animus donandi dei suoceri (L.E. e Bu.Gi.).

In particolare, la Suprema Corte ha evidenziato che la mera finalizzazione della dazione di denaro all’acquisto dell’immobile non è di per sé sufficiente a dimostrare l’intento liberale, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’Appello. Inoltre, la Cassazione ha sottolineato che la dichiarazione unilaterale della D.Q.C. (in qualità di accipiens) non poteva essere invocata come prova dell’animus donandi dei suoceri (in qualità di solvens).

Pertanto, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la decisione impugnata non avesse argomentato in modo adeguato la qualificazione dell’operazione come donazione indiretta, ordinando il rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma per un nuovo esame della questione.

Massima risolutiva della sentenza

Nella donazione indiretta la liberalità si realizza, anzichè attraverso il negozio tipico di donazione, mediante il compimento di uno o più atti che, conservando la forma e la causa che è ad essi propria, realizzano, in via indiretta, l’effetto dell’arricchimento del destinatario, sicchè l’intenzione di donare emerge non già, in via diretta, dall’atto o dagli atti utilizzati, ma solo, in via indiretta, dall’esame, necessariamente rigoroso, di tutte le circostanze di fatto del singolo caso, nei limiti in cui risultino tempestivamente e ritualmente dedotte e provate in giudizio da chi ne abbia interesse.” (Cass. civ., Sez. II, Ord., (data ud. 24/10/2019) 21/05/2020, n. 9379)

Implicazioni pratiche della sentenza

La sentenza in esame offre importanti indicazioni per gli avvocati che si trovano a dover dimostrare l’esistenza di una donazione indiretta. In particolare, essa sottolinea come la prova dell’animus donandi non possa essere desunta automaticamente dalla finalizzazione della dazione di denaro all’acquisto di un bene, ma debba emergere da un esame rigoroso di tutte le circostanze di fatto del caso concreto.

Inoltre, la Corte di Cassazione ha chiarito che la dichiarazione unilaterale dell’accipiens (il beneficiario della presunta donazione) non può essere considerata un elemento probatorio sufficiente per dimostrare l’intento liberale del solvens (colui che ha effettuato la dazione di denaro). Ciò significa che gli avvocati dovranno prestare particolare attenzione nell’individuare e provare gli indizi e le circostanze che possano effettivamente comprovare la volontà di donare da parte del soggetto che ha finanziato l’operazione.

Questa sentenza, dunque, rappresenta un importante punto di riferimento per gli operatori del diritto, poiché ribadisce la necessità di un rigoroso accertamento probatorio nella qualificazione delle donazioni indirette, senza consentire facili presunzioni o inferenze basate su elementi insufficienti o parziali.

Avv. Cosimo Montinaro

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