Errore medico e diagnosi infausta: quando il danno da lesione vascolare è risarcibile nonostante la malattia oncologica preesistente – Tribunale di Treviso 2025

Il caso oggetto della sentenza in esame riguarda una vicenda clinica complessa che solleva questioni rilevanti in materia di responsabilità medica e risarcimento del danno. La pronuncia affronta il delicato tema della responsabilità sanitaria in presenza di una patologia oncologica preesistente, distinguendo tra lesioni “coesistenti” e “concorrenti e chiarendo i criteri di liquidazione del danno biologico in caso di morte della vittima non causata dall’errore medico oggetto di controversia.

Il Tribunale di Treviso ha esaminato una fattispecie in cui i figli di una paziente oncologica, deceduta in conseguenza della malattia tumorale, hanno agito in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni derivanti da errori medici commessi durante il trattamento sanitario della madre. In particolare, la sentenza analizza la responsabilità della struttura sanitaria per l’errato posizionamento di un drenaggio biliare interno-esterno che ha provocato una lesione vascolare e per una presunta infausta diagnosi comunicata alla paziente e ai suoi familiari.

La pronuncia affronta con rigore la distinzione tra responsabilità contrattuale della struttura sanitaria nei confronti del paziente e responsabilità extracontrattuale verso i congiunti, applicando i consolidati principi giurisprudenziali nonostante l’entrata in vigore della Legge Gelli-Bianco. Di particolare interesse è l’analisi del danno biologico subito dalla paziente e trasmesso iure hereditatis ai figli, con specifico riferimento ai criteri di liquidazione in caso di morte non correlata all’errore medico.

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Indice

  • ESPOSIZIONE DEI FATTI
  • NORMATIVA E PRECEDENTI
  • DECISIONE DEL CASO E ANALISI
  • ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI

La vicenda processuale prende avvio dalla richiesta risarcitoria avanzata dai signori ricorrenti in qualità di figli ed eredi di una paziente oncologica deceduta a seguito di un tumore. I familiari hanno convenuto in giudizio una struttura sanitaria per ottenere il risarcimento dei danni patiti dalla loro congiunta a causa della presunta condotta negligente dell’ospedale, nonché dei danni subiti iure proprio.

Secondo quanto emerso nel corso del procedimento, la paziente era stata ricoverata presso il reparto di Gastroenterologia di un ospedale, dove le era stato diagnosticato un colagiocarcinoma di Klastkin, una grave forma tumorale che colpisce i dotti biliari. A seguito della diagnosi, la donna era stata sottoposta a diversi interventi presso il medesimo nosocomio. In particolare, un primo intervento era stato eseguito in data 8 settembre 2014 e consisteva nel posizionamento di un drenaggio biliare interno-esterno nell’emisistema destro. Successivamente, la paziente era stata sottoposta a un secondo intervento di toracotomia con drenaggio e trasfusione e, infine, a un terzo intervento in data 22 settembre 2014, finalizzato al posizionamento di un nuovo drenaggio biliare interno-esterno nell’emisistema sinistro.

I ricorrenti hanno sostenuto che il primo e il terzo intervento fossero stati eseguiti dai sanitari dell’ospedale con negligenza e imperizia, causando alla paziente gravi lesioni fisiche. Inoltre, durante i colloqui intervenuti tra i familiari e il medico radiologo, quest’ultimo avrebbe prospettato una ridottissima aspettativa di vita della paziente, escludendo la possibilità di qualunque intervento risolutivo o migliorativo.

A fronte di tale scenario, i familiari si erano rivolti per un secondo consulto allo IOV (Istituto Oncologico Veneto) di Padova, presso il quale la paziente era stata immediatamente trasferita e operata. A seguito del nuovo intervento di posizionamento del drenaggio interno-esterno praticato dai sanitari di Padova, correttamente eseguito, la paziente aveva potuto sottoporsi alle cure chemioterapiche e sopravvivere per circa un anno, contrariamente alla prognosi infausta che le era stata comunicata dai medici del primo ospedale.

I familiari avevano quindi promosso un procedimento di accertamento tecnico preventivo (ATP) davanti al Tribunale di Treviso, nell’ambito del quale il consulente tecnico d’ufficio nominato aveva accertato l’effettiva sussistenza di un errore nell’esecuzione dell’intervento di posizionamento del drenaggio interno-esterno destro e aveva determinato il pregiudizio di natura biologica patito dalla paziente. A fronte dell’indisponibilità conciliativa dell’ospedale nonostante gli esiti della consulenza espletata, i familiari avevano adito il Tribunale di Treviso con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., chiedendo il ristoro dei pregiudizi patiti dalla loro congiunta e trasmessi iure hereditatis, nonché di quelli patiti iure proprio, con particolare riferimento all’errata diagnosi del medico radiologo.

La struttura sanitaria si era costituita in giudizio contestando in fatto e in diritto le prospettazioni attoree. In particolare, aveva eccepito l’erroneità della qualificazione del danno patito dalla paziente in termini iatrogeno-differenziali, aveva contestato il criterio di calcolo del danno da premorienza contenuto nel ricorso introduttivo e aveva negato la sussistenza di un pregiudizio correlato alla presunta errata diagnosi del medico, sostenendo che non vi fosse prova di tali affermazioni del sanitario e, comunque, dell’erroneità delle stesse.

Il Giudice, dopo aver disposto il mutamento del rito su concorde richiesta delle parti, aveva acquisito il fascicolo di accertamento tecnico preventivo e aveva ammesso le istanze di prova orale richieste dalle parti. La causa era stata quindi istruita mediante l’escussione di testimoni sia di parte attrice che di parte convenuta. Conclusa l’istruttoria orale e falliti i tentativi di definizione transattiva della vertenza, la causa era stata trattenuta in decisione con assegnazione dei termini per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

NORMATIVA E PRECEDENTI

Il Tribunale di Treviso ha affrontato preliminarmente la questione dell’inapplicabilità al caso di specie della disciplina contenuta nella legge n. 24/2017 (c.d. Legge Gelli-Bianco). I fatti di causa risalivano infatti al mese di settembre 2014, mentre la legge in questione è entrata in vigore il 1° aprile 2017. L’art. 7, comma terzo, della Legge Gelli-Bianco statuisce che l’esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi dell’art. 2043 c.c. (responsabilità extracontrattuale), salvo che abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Tale norma contrasta con la ricostruzione giurisprudenziale consolidatasi in punto di responsabilità da contatto sociale del medico, qualificando esplicitamente detta responsabilità come extracontrattuale.

Il Tribunale ha fatto riferimento all’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, secondo cui la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo. Ha richiamato anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenze n. 166620/2013 e n. 1579/1971), secondo la quale l’applicazione retroattiva di una nuova legge ai fatti preesistenti è consentita solo quando tali fatti debbano essere considerati in sé stessi, prescindendo totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati.

Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto che l’applicazione dell’art. 7, comma 3, della legge n. 24/2017 a fatti già verificatisi ed a rapporti già esauritisi prima della sua entrata in vigore avrebbe inciso negativamente sul fatto generatore del diritto alla prestazione, ledendo il legittimo affidamento riposto dalla generalità dei consociati in ordine al regime contrattuale della responsabilità del medico.

In relazione alla natura della responsabilità della struttura sanitaria, il Tribunale ha confermato che, nonostante l’inapplicabilità della Legge Gelli-Bianco, non vi erano dubbi circa la natura contrattuale della responsabilità della struttura convenuta nei confronti del paziente. Ha richiamato la giurisprudenza della Cassazione (sentenze n. 2678/1998 e n. 13953/2007), secondo cui la struttura sanitaria risponde sia del danno causato dal medico dipendente, sia del danno causato dal professionista autonomo che operi all’interno della struttura stessa, ai sensi dell’art. 1228 c.c. (responsabilità per fatto degli ausiliari).

Diversamente, il Tribunale ha qualificato come azione di responsabilità extracontrattuale quella proposta dai familiari per i danni patiti iure proprio. Ha citato la recente giurisprudenza della Suprema Corte (sentenze n. 6386/2023, n. 11320/2022 e n. 21404/2021), secondo cui il rapporto contrattuale tra paziente e struttura sanitaria non produce, di regola, effetti protettivi in favore dei terzi, trovando applicazione il principio generale di cui all’art. 1372, comma secondo, c.c. (efficacia del contratto limitata alle parti).

Per quanto concerne il danno da lesione del rapporto parentale, il Tribunale ha richiamato la giurisprudenza della Cassazione (sentenza n. 1752/2023), secondo cui ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito, lesioni personali, può spettare il risarcimento del danno non patrimoniale concretamente accertato, non sussistendo alcun limite normativo tale che possa sussistere soltanto se gli effetti stabiliti dal danno biologico sul congiunto siano particolarmente elevati.

In merito al danno non patrimoniale, il Tribunale ha fatto riferimento alla giurisprudenza (sentenze n. 33797/2022, n. 21934/2008 e Sezioni Unite n. 26972/2008), secondo cui tale tipologia di danno è risarcibile anche quando scaturisca da un inadempimento contrattuale, quando ricorrano le ipotesi espressamente previste dalla legge o sia stato leso in modo grave un diritto della persona tutelato dalla Costituzione.

Per la quantificazione del danno biologico per lesioni di lieve entità derivanti da medical malpractice, il Tribunale ha applicato i criteri stabiliti dall’art. 139 del Codice delle Assicurazioni private alla luce di quanto disposto dalla Legge Balduzzi (d.l. 13.9.2012 n. 158, convertito con modificazioni dalla legge 8.11.2012 n. 189), applicabile al caso di specie.

DECISIONE DEL CASO E ANALISI

Il Tribunale di Treviso ha esaminato in modo approfondito gli esiti della consulenza tecnica d’ufficio espletata nel procedimento di accertamento tecnico preventivo. Il consulente e il suo ausiliario, pur rilevando la complessità del caso dal punto di vista tecnico, avevano concluso la loro attività peritale sostenendo la probabile sussistenza di un errore medico, in quanto il quadro biliare della paziente presentava una dilatazione delle vie biliari prossimali sufficiente a non rendere particolarmente complessa la manovra tecnica, motivo per cui non risultava giustificata la lesione vascolare determinatasi.

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