La recentissima ordinanza della Suprema Corte di Cassazione n. 33360/2024 affronta, con significativa portata nomofilattica, la questione della validità formale degli accordi di separazione costitutivi di diritti reali immobiliari, con particolare riferimento alle prescrizioni imposte dall’art. 29, comma 1-bis, della L. n. 52/1985. La pronuncia, che si inserisce nel solco dell’orientamento inaugurato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 21761/2021, delinea con rigore i requisiti formali indefettibili per la valida costituzione del diritto di abitazione mediante accordi di separazione consensuale, sancendo la nullità insanabile degli atti privi delle prescritte dichiarazioni catastali e urbanistiche. La decisione assume particolare rilevanza per la prassi notarile e giudiziaria, consolidando il principio secondo cui la funzione pubblicistica del verbale di separazione non può derogare alle specifiche prescrizioni formali dettate in materia di diritti reali immobiliari, la cui ratio risiede nell’esigenza di garantire la certezza dei rapporti giuridici e la regolarità urbanistica degli immobili oggetto di negoziazione.
Per ricevere una consulenza specialistica in materia di diritto immobiliare e diritto di famiglia, contatta l’Avv. Cosimo Montinaro – e-mail segreteria@studiomontinaro.it ➡️RICHIEDI UNA CONSULENZA ⬅️
Indice
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
ESPOSIZIONE DEI FATTI
La controversia in esame trae origine da un’azione di rilascio immobiliare promossa da A.A. nei confronti della ex-coniuge B.B., concernente un immobile sito in Signa. Il fondamento della domanda si basava sull’asserita occupazione sine titulo dell’immobile da parte della convenuta e della figlia dal maggio 2015 o, quantomeno, dal 12 aprile 2018, data della sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti civili del matrimonio. A sostegno delle proprie pretese, l’attore aveva dedotto che sull’immobile, in sede di separazione consensuale tra i coniugi, era stato costituito un diritto di abitazione in favore della moglie e della figlia, e che tale diritto si era estinto per il sopravvenuto venir meno sia della minore età della figlia che della sua condizione di dipendenza economica dai genitori.
Il Tribunale di primo grado aveva accolto la domanda, dichiarando l’estinzione del diritto di abitazione e condannando la B.B. al rilascio dell’immobile nella disponibilità dell’attore. Contestualmente, aveva ordinato al Conservatore dei registri immobiliari la cancellazione del verbale di separazione consensuale tra le parti, ponendo a carico del A.A. l’onere di pagare le spese accessorie della procedura.
La Corte d’Appello di Firenze, tuttavia, con sentenza n. 2880 del 20 dicembre 2022, in parziale accoglimento del gravame proposto dalla B.B., ha riformato la decisione di primo grado. La ratio decidendi della Corte territoriale si fondava sulla considerazione che il diritto di abitazione fosse stato costituito mediante una pattuizione negoziale autonoma rispetto agli accordi di separazione, risultando quindi indifferente rispetto alla sentenza di divorzio. Secondo tale interpretazione, gli effetti del diritto di abitazione sarebbero cessati, in base alle pattuizioni contrattuali, solo al momento dell’eventuale vendita del bene a terzi. Di conseguenza, la Corte ha rigettato sia la domanda di rilascio che quella di cancellazione della trascrizione del diritto di abitazione, condannando altresì il A.A. al pagamento in favore della ex-moglie della somma di Euro 1.120,99.
Avverso tale pronuncia, A.A. ha proposto ricorso per cassazione articolando due motivi di impugnazione, a cui B.B. ha resistito con controricorso. La causa è stata quindi assegnata alla trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., con successivo deposito di memorie da entrambe le parti. La questione centrale sottoposta al vaglio della Suprema Corte attiene alla validità formale degli accordi di separazione nella parte in cui costituiscono diritti reali immobiliari, con particolare riferimento ai requisiti prescritti dalla normativa vigente in materia catastale e urbanistica.
NORMATIVA E PRECEDENTI
Il quadro normativo alla base della decisione si incentra principalmente sull’art. 29, comma 1-bis, della L. n. 52 del 1985, come modificato dall’art. 19 del D.L. n. 78 del 2010. Tale disposizione stabilisce che gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti devono contenere, a pena di nullità, specifici requisiti formali. In particolare, la norma prescrive che per le unità immobiliari urbane, oltre all’identificazione catastale, sia necessario il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione degli intestatari circa la conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie.
La giurisprudenza di legittimità ha consolidato un orientamento rigoroso in materia, culminato nella fondamentale pronuncia delle Sezioni Unite n. 21761 del 2021. Tale arresto ha stabilito che le clausole dell’accordo di separazione consensuale o di divorzio a domanda congiunta che riconoscano diritti reali immobiliari sono valide in quanto inserite nel verbale di udienza redatto da un ausiliario del giudice, assumendo forma di atto pubblico ex art. 2699 c.c. Tuttavia, la validità è subordinata alla presenza dell’attestazione del cancelliere circa la produzione degli atti e il rilascio delle dichiarazioni previste dall’art. 29, comma 1-bis, della L. n. 52 del 1985.
Il sistema normativo si completa con il riferimento all’art. 40 della L. 47/1985 e all’art. 46 del D.P.R. 380/2001, che disciplinano le conseguenze della mancanza delle prescritte dichiarazioni urbanistiche. La giurisprudenza ha chiarito che la nullità derivante dall’omissione di tali dichiarazioni può essere sanata solo mediante un atto di conferma che contenga espressamente le menzioni omesse, escludendo forme di conferma equipollenti (Cass. n. 14804/2017).
Nel caso di specie, assume particolare rilevanza anche la disciplina del diritto di abitazione nell’ambito dei procedimenti di separazione e divorzio, regolata dall’art. 337-sexies c.c., che deve essere coordinata con i requisiti formali sopra richiamati quando tale diritto viene costituito mediante accordi tra i coniugi omologati dal tribunale.
DECISIONE DEL CASO E ANALISI
L’analisi della Suprema Corte si sviluppa attraverso un’articolata disamina dei motivi di ricorso, con particolare attenzione al primo motivo che lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 52/1985 art. 29, comma 1 bis, e della L. n. 47/1985 art. 40. La Corte rileva, in via preliminare, che la questione della nullità formale non costituisce una doglianza nuova, in quanto argomentata sulla base del medesimo tenore della sentenza impugnata e del contenuto degli accordi di separazione in essa riprodotti.
Il nucleo della decisione si incentra sulla violazione di legge in cui è incorsa la Corte fiorentina, la quale non ha rilevato che la pattuizione costitutiva del diritto reale di abitazione era priva delle dichiarazioni catastali ed urbanistiche prescritte a pena di nullità. In particolare, la Corte di legittimità evidenzia come il verbale di separazione consensuale, pur rivestendo la forma dell’atto pubblico, risultava carente dei seguenti elementi essenziali:
- l’identificazione catastale completa dell’immobile
- il riferimento alle planimetrie depositate in catasto
- la dichiarazione di conformità allo stato di fatto dei dati catastali
- le prescritte menzioni urbanistiche
Di particolare rilievo è l’analisi della tesi difensiva della controricorrente, secondo cui la nullità formale sarebbe stata sanata dalla presenza in atti dell’originario atto notarile di acquisto dell’immobile del 1998, contenente tutte le menzioni urbanistiche omesse nel verbale di separazione. Sul punto, la Suprema Corte opera una rigorosa interpretazione dell’art. 46, comma 4, del D.P.R. 380/2001 (e del corrispondente art. 40, comma 4, L. 47/1985), stabilendo che la conferma dell’atto nullo può avvenire esclusivamente mediante un’espressa dichiarazione contenuta in un atto redatto nelle medesime forme del precedente. Viene così esclusa categoricamente la possibilità di forme di conferma equipollenti, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 14804/2017).
La Corte procede quindi a una puntuale ricostruzione del principio di diritto applicabile, richiamando il precedente delle Sezioni Unite n. 21761/2021, che ha delineato i requisiti di validità delle clausole degli accordi di separazione costitutive di diritti reali immobiliari. In particolare, viene ribadito che tali pattuizioni sono valide solo se accompagnate dall’attestazione del cancelliere circa la produzione degli atti e delle dichiarazioni prescritte dall’art. 29, comma 1-bis, L. 52/1985.
La conclusione della Suprema Corte è nel senso dell’accoglimento del primo motivo di ricorso, con conseguente cassazione della sentenza impugnata. La ratio decidendi si fonda sulla considerazione che la Corte d’Appello, nel verificare la validità della clausola interpretata come costitutiva del diritto reale di abitazione, avrebbe dovuto rilevare d’ufficio la nullità formale derivante dall’omissione delle prescritte dichiarazioni catastali ed urbanistiche, dichiarando conseguentemente che nessun diritto di abitazione era mai validamente sorto in favore della sig.ra B.B..
ESTRATTO DELLA SENTENZA
La Suprema Corte enuncia il seguente principio di diritto, che si caratterizza per la sua rilevanza nomofilattica e per il suo impatto sulla prassi degli accordi di separazione costitutivi di diritti reali:
“Le clausole dell’accordo di separazione consensuale o di divorzio a domanda congiunta, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni – mobili o immobili – o la titolarità di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi o dei figli al fine di assicurarne il mantenimento, sono valide in quanto il predetto accordo, inserito nel verbale di udienza redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è stato attestato, assume forma di atto pubblico ex art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo il decreto di omologazione della separazione o la sentenza di divorzio, valido titolo per la trascrizione ex art. 2657 c.c., purché risulti l’attestazione del cancelliere che le parti abbiano prodotto gli atti e rese le dichiarazioni di cui all’art. 29, comma 1-bis, della L. n. 52 del 1985.”
(Cass. Sez. III, ord. n. 33360/2024)