La responsabilità medica in ambito oncologico torna al centro dell’attenzione giuridica con una importante pronuncia che affronta il delicato tema del ritardo diagnostico nei tumori del colon. La vicenda giudiziaria, conclusasi con una sentenza del Tribunale di Terni nel 2025, evidenzia come errori nell’interpretazione dei sintomi da parte del personale sanitario possano avere conseguenze drammatiche sulla sopravvivenza dei pazienti e come tali negligenze possano tradursi in significative responsabilità risarcitorie per le strutture ospedaliere coinvolte.
Il caso riguarda un uomo di circa sessant’anni che, presentatosi più volte al Pronto Soccorso per persistenti dolori addominali, ha visto la propria condizione sottovalutata attraverso diagnosi inesatte che hanno ritardato di oltre due mesi l’identificazione di una carcinosi peritoneale. La famiglia del paziente, deceduto successivamente, ha ottenuto un risarcimento del danno dopo aver dimostrato attraverso una approfondita consulenza tecnica d’ufficio come il ritardo nell’accertamento della patologia oncologica abbia privato il loro congiunto di nove mesi di vita, costituendo una perdita quantificabile e risarcibile secondo i criteri consolidati dalla giurisprudenza di legittimità.
La sentenza assume particolare rilevanza nel panorama della giurisprudenza di malasanità perché chiarisce i criteri di valutazione del danno nei casi di perdita anticipata della vita causata da negligenza medica, distinguendo chiaramente tra il danno da morte e il danno da perdita di chance di sopravvivenza. Il Tribunale ha infatti applicato principi consolidati in materia di responsabilità contrattuale delle strutture sanitarie, confermando l’obbligo per gli ospedali di garantire standard diagnostici adeguati, specialmente in presenza di sintomatologie che possano suggerire patologie gravi come quelle oncologiche. La decisione conferma inoltre l’importanza di una valutazione multidisciplinare nei casi clinici complessi e l’obbligo per le strutture sanitarie di implementare protocolli diagnostici che tengano conto delle linee guida scientifiche più aggiornate in materia di diagnosi precoce dei tumori.
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Indice
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI
La vicenda prende avvio quando un uomo di circa sessant’anni inizia a manifestare dolori addominali persistenti accompagnati da disturbi gastrici che si protraevano da diversi mesi con carattere ingravescente. La sintomatologia, inizialmente sottovalutata come disturbi gastroenterici comuni, presenta invece fin dall’inizio caratteristiche che avrebbero dovuto indirizzare verso una diagnosi differenziale più approfondita, considerando l’età del paziente e la persistenza dei sintomi nonostante le terapie sintomatiche intraprese. Su indicazione di una specialista di fiducia, dopo aver eseguito un esame ecografico dell’addome che aveva rilevato un quadro patologico aspecifico ma significativo, il paziente si presenta presso il Pronto Soccorso di un ospedale umbro per gli necessari approfondimenti diagnostici.
Durante questo primo accesso ospedaliero viene eseguita una TAC addominale che conferma la presenza di alterazioni a livello intestinale e addominale, fornendo elementi oggettivi che, correttamente interpretati alla luce del quadro clinico complessivo, avrebbero dovuto orientare verso l’ipotesi di una patologia neoplastica. Tuttavia, nonostante gli elementi clinici e diagnostici disponibili e la chiara indicazione all’approfondimento diagnostico emersa dall’ecografia preliminare, il paziente viene dimesso nella stessa giornata con una diagnosi di “sofferenza appendicolare al momento non di pertinenza chirurgica“ e gli viene prescritta una terapia farmacologica sintomatica, senza che venga programmato alcun controllo clinico o strumentale di follow-up, elemento che secondo la consulenza tecnica d’ufficio rappresenta una prima significativa omissione nell’iter diagnostico-terapeutico.
Il persistere della sintomatologia dolorosa, che anzi tende ad aggravarsi nonostante la terapia prescritta, spinge l’uomo a tornare al Pronto Soccorso il giorno successivo, manifestando una preoccupazione comprensibile per il mancato miglioramento delle proprie condizioni. In questa seconda occasione, sorprendentemente e in totale contraddizione con i principi di buona pratica clinica, non vengono eseguiti ulteriori accertamenti strumentali né viene rivalutato criticamente l’orientamento diagnostico precedente, e il paziente viene nuovamente dimesso con una diagnosi completamente diversa e non correlata alla precedente: “gastrite acuta“, con l’indicazione di proseguire la terapia farmacologica. Questa variazione diagnostica, non supportata da elementi clinici o strumentali nuovi, evidenzia secondo i consulenti tecnici una mancanza di coordinamento nell’approccio clinico e l’assenza di quella valutazione multidisciplinare che sarebbe stata necessaria in un caso clinico di tale complessità.
Preoccupato per il peggioramento delle proprie condizioni e la mancanza di miglioramento nonostante le terapie prescritte, il paziente si sottopone privatamente a una ulteriore ecografia addominale, che evidenzia un significativo peggioramento del quadro patologico rispetto al controllo precedente, con chiara indicazione per ulteriori approfondimenti in sede ospedaliera. Questo elemento obiettivo, che conferma la progressione della patologia sottostante, fornisce al paziente una motivazione documentale per un nuovo accesso ospedaliero. Forte di questo referto e della persistenza della sintomatologia, l’uomo accede nuovamente al Pronto Soccorso della medesima struttura ospedaliera, confidando questa volta in una valutazione più approfondita della propria condizione clinica.
NORMATIVA E PRECEDENTI
Il quadro normativo di riferimento per la responsabilità delle strutture sanitarie trova il suo fondamento nell’orientamento consolidato della Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza numero 577 del 2008, che ha chiarito definitivamente la natura contrattuale del rapporto tra paziente e ospedale, superando l’orientamento precedente che qualificava tale responsabilità come extracontrattuale. Secondo questo principio, ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, l’accettazione di un paziente in ospedale comporta la conclusione di un contratto atipico di spedalità che impone alla struttura sanitaria specifici obblighi di protezione, che vanno oltre la semplice prestazione medica e si estendono all’intera organizzazione dei servizi sanitari offerti.
La struttura ospedaliera risponde pertanto ai sensi dell’articolo 1218 del Codice Civile per l’inadempimento degli obblighi contrattuali direttamente riferibili alla sua organizzazione, come la mancanza di protocolli diagnostici adeguati, carenze nell’organizzazione dei servizi, insufficiente coordinamento tra i diversi specialisti, nonché ai sensi dell’articolo 1228 del Codice Civile per i fatti ascrivibili ai sanitari operanti al suo interno, anche quando questi non siano alle dirette dipendenze della struttura ma operino in regime di convenzione o appalto. Questa impostazione è stata successivamente confermata e rafforzata dalla Legge Gelli-Bianco numero 24 del 2017, che all’articolo 7 ha espressamente ribadito la natura contrattuale della responsabilità delle strutture sanitarie, introducendo anche specifiche disposizioni in materia di sicurezza delle cure e gestione del rischio clinico.
Il regime probatorio derivante da tale qualificazione giuridica comporta che il danneggiato deve provare esclusivamente l’esistenza del rapporto contrattuale (che si configura automaticamente con l’accettazione del paziente), allegare dettagliatamente l’inadempimento della struttura specificando le condotte omissive o commissive ritenute negligenti, e dimostrare il nesso di causalità tra tale inadempimento e il danno subito, applicando il criterio del “più probabile che non“ consolidato dalla giurisprudenza della Suprema Corte. Spetta invece alla struttura sanitaria dimostrare l’esatto adempimento della prestazione contrattuale o l’impossibilità della stessa derivante da causa non imputabile, onere che nel caso di errori diagnostici si traduce nella dimostrazione che l’iter diagnostico seguito era conforme alle linee guida e alle leges artis vigenti al momento dei fatti.