Mesotelioma pleurico da esposizione professionale ad amianto: il Tribunale di Taranto condanna Ferrovie dello Stato al risarcimento dei danni (Tribunale di Taranto, sentenza 2024)

Una recente sentenza del Tribunale di Taranto ha riacceso i riflettori sulla delicata questione delle malattie professionali legate all’esposizione all’amianto. Il caso in esame riguarda un ex dipendente delle Ferrovie dello Stato deceduto a causa di un mesotelioma pleurico, patologia tumorale strettamente correlata all’inalazione di fibre di amianto. La decisione del giudice solleva interrogativi cruciali: quali sono i limiti della responsabilità del datore di lavoro nella tutela della salute dei dipendenti? E come si quantifica il danno subito dai familiari per la perdita di un congiunto a causa di una malattia professionale?

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Per una comprensione completa della vicenda giudiziaria, ti invitiamo a proseguire con la lettura del testo completo.

INDICE

ESPOSIZIONE DEI FATTI

Il caso in esame riguarda un ex dipendente delle Ferrovie dello Stato, che aveva lavorato per l’azienda dal 1954 al 1994, svolgendo mansioni di cantoniere, operaio addetto all’armamento, operaio specializzato all’armamento, operaio qualificato, tecnico e primo tecnico di manutenzione. Durante la sua attività lavorativa, l’uomo era stato esposto a varie sostanze nocive, tra cui l’amianto, presente in diverse forme e componenti nell’ambiente ferroviario dell’epoca.

Nel dicembre 2012, al lavoratore venne diagnosticato un mesotelioma pleurico, una grave forma tumorale strettamente correlata all’esposizione all’amianto. Nonostante i trattamenti chemioterapici, le condizioni dell’uomo peggiorarono progressivamente fino al decesso, avvenuto nel luglio 2015.

I familiari del defunto – la moglie, due figli e quattro nipoti – hanno quindi intentato causa contro le Ferrovie dello Stato, sostenendo che la morte del loro congiunto fosse direttamente riconducibile all’esposizione professionale all’amianto e chiedendo il risarcimento dei danni subiti per la perdita del rapporto parentale.

Le testimonianze raccolte durante il processo hanno confermato che il lavoratore, nell’arco della sua carriera, era stato effettivamente esposto a polveri di amianto in vari contesti: nella manutenzione di binari e traverse, nell’accesso a depositi locomotive e officine, nel contatto con materiali isolanti e frenanti contenenti la sostanza nociva. È emerso inoltre che l’azienda non aveva fornito adeguati dispositivi di protezione individuale né informato i dipendenti sui rischi specifici legati all’amianto.

NORMATIVA E PRECEDENTI

La sentenza del Tribunale di Taranto si inserisce in un consolidato filone giurisprudenziale relativo alle malattie professionali da amianto. Il giudice ha richiamato diversi precedenti della Corte di Cassazione che hanno delineato i principi fondamentali in materia:

  1. La responsabilità del datore di lavoro per la mancata adozione di misure idonee a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori discende sia da norme specifiche che dalla norma generale di cui all’art. 2087 del Codice Civile.
  2. Tale responsabilità non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, ma sanziona l’omessa predisposizione di tutte quelle misure e cautele necessarie a preservare la salute del lavoratore, tenuto conto della concreta realtà aziendale e delle conoscenze scientifiche dell’epoca.
  3. Per stabilire il nesso causale tra l’esposizione professionale e l’insorgenza della patologia, è sufficiente un elevato grado di probabilità, senza che sia necessaria una certezza assoluta.
  4. Nel caso di concorrenza tra fattori professionali ed extraprofessionali, vige il principio di equivalenza causale: basta che la causa lavorativa abbia avuto un ruolo anche non prevalente nel determinismo della patologia.

Il giudice ha inoltre richiamato la normativa storica in materia di tutela dei lavoratori dall’esposizione a polveri e sostanze nocive, evidenziando come già dagli anni ’40 e ’50 del secolo scorso esistessero obblighi precisi per i datori di lavoro in tal senso. In particolare, sono stati citati:

  • Il R.D. 18 giugno 1899 n. 230 (Regolamento generale per la prevenzione degli infortuni)
  • Il R.D. n. 530 del 1927 (Regolamento generale sulla igiene del lavoro)
  • L’art. 2087 del Codice Civile del 1942
  • La L. 12 aprile 1943 n. 455 sull’assicurazione obbligatoria contro silicosi e asbestosi
  • Il D.P.R. 19 marzo 1956 n. 303 sulle norme generali per l’igiene del lavoro

Questa stratificazione normativa dimostra come la pericolosità dell’amianto e la necessità di tutelare i lavoratori fossero note da tempo, ben prima del periodo in cui il dipendente in questione ha prestato servizio.

DECISIONE DEL CASO E ANALISI

Il Tribunale di Taranto ha accolto le richieste dei familiari, condannando le Ferrovie dello Stato al risarcimento dei danni. La decisione si è basata su diversi elementi chiave:

  1. È stata accertata l’effettiva esposizione del lavoratore all’amianto durante la sua attività lavorativa, sulla base delle testimonianze e della documentazione prodotta.
  2. È stata riconosciuta la responsabilità del datore di lavoro per non aver adottato adeguate misure di protezione e prevenzione, nonostante la pericolosità dell’amianto fosse già nota all’epoca.
  3. È stato ritenuto sussistente il nesso causale tra l’esposizione professionale e l’insorgenza del mesotelioma, sulla base di un elevato grado di probabilità scientifica.
  4. È stato quantificato il danno non patrimoniale subito dai familiari per la perdita del rapporto parentale, utilizzando i criteri delle cd. “tabelle milanesi” aggiornate.

Il giudice ha evidenziato come, nel caso del mesotelioma, anche esposizioni di breve durata o di bassa intensità possano essere sufficienti a innescare il processo patologico, con un periodo di latenza che può arrivare a 40-50 anni. Questo aspetto è fondamentale per comprendere la peculiarità di questa patologia e la difficoltà nel suo inquadramento medico-legale.

La sentenza ha inoltre sottolineato l’importanza della suscettibilità individuale nel determinismo del mesotelioma, spiegando così perché solo una piccola percentuale dei lavoratori esposti sviluppi effettivamente la malattia.

Per quanto riguarda la quantificazione del danno, il Tribunale ha applicato i criteri delle recenti “tabelle milanesi“, che tengono conto di vari fattori come l’età della vittima, l’età del familiare superstite, il grado di parentela, la convivenza e l’intensità del legame affettivo. Questo ha portato a riconoscere importi differenziati per ciascun familiare:

  • 262.470 euro per la moglie (somma da dividere tra i suoi due eredi)
  • 205.265 euro per un figlio
  • 211.995 euro per l’altro figlio
  • 67.215,20 euro per ciascuno dei quattro nipoti

ESTRATTO DELLA SENTENZA

“Ritenuto che gli elementi di valutazione innanzi esposti inducano a ritenere che, con alto grado di probabilità, il decesso di sia da ricondurre a patologia contratta a causa della mancata osservanza da parte del datore di lavoro delle cautele idonee a scongiurare o quanto meno a ridurre il rischio di inalazione di polveri (in particolare fibre di amianto) durante l’espletamento dell’attività lavorativa, posto che quanto eccepito dalla convenuta in ordine alla possibilità che un analogo fattore di rischio ambientale extralavorativo sussistesse nel luogo di residenza del lavoratore è rimasto al livello di generica enunciazione, senza adeguata dimostrazione; […]

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