Muore due giorni dopo il sinistro stradale: il danno biologico terminale va risarcito?

Muore due giorni dopo il sinistro stradale: il danno biologico terminale va risarcito?

La morte di una persona in un incidente stradale è sempre una tragedia devastante per i suoi cari. Ma cosa succederebbe se la vittima non morisse immediatamente, bensì sopravvivesse per qualche giorno prima di spirare? In questi casi, oltre al dolore per la perdita, i familiari potrebbero avere diritto a un ulteriore risarcimento, noto come “danno biologico terminale“. Di cosa si tratta esattamente? E quali sono i presupposti per ottenerne il riconoscimento?

La giurisprudenza, in particolare una pronuncia della Corte di Cassazione del 2020, ha offerto importanti indicazioni su questa delicata questione. In base a tali orientamenti, gli eredi della vittima potrebbero vedersi riconosciuto un ristoro non solo per il dolore della perdita, ma anche per la sofferenza fisica e psicologica provata dalla persona cara negli ultimi istanti di vita. Tuttavia, perché questo sia possibile, devono essere soddisfatti specifici requisiti, legati alla durata della sopravvivenza e alle condizioni mentali del defunto.

Scopriamo, quindi, quali sono i presupposti e i criteri per il riconoscimento di questo particolare tipo di danno non patrimoniale. E analizziamo come esso si inserisca all’interno del più ampio quadro del risarcimento in caso di morte per incidente stradale, tra norme da applicare e pronunce giurisprudenziali di riferimento. Solo così potremo comprendere appieno le implicazioni pratiche di questa importante evoluzione del diritto.

Indice

  1. Esposizione dei fatti di causa
  2. Normativa e precedenti giurisprudenziali applicati
  3. Decisione del caso e analisi della sentenza
  4. Massima risolutiva della sentenza
  5. Implicazioni pratiche della sentenza

Esposizione dei fatti di causa

Il caso in esame riguarda un grave incidente stradale avvenuto ad Agrigento il 3 dicembre 2004, in cui un giovane di 16 anni, R.M., a bordo di un ciclomotore, è stato travolto da un’autovettura Opel Astra guidata da C.A.G. Nell’impatto, R.M. e la passeggera Av.Ma. sono stati sbalzati a diversi metri di distanza. R.M. è stato immediatamente soccorso e ricoverato in terapia intensiva presso l’Ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento, ma è purtroppo deceduto la mattina del 5 dicembre 2004, due giorni dopo l’incidente.

Normativa e precedenti giurisprudenziali applicati

La vicenda è stata oggetto di un procedimento giudiziario civile, avviato dai familiari di R.M. per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali causati dal sinistro. In particolare, è stata invocata l’applicazione della presunzione di corresponsabilità prevista dall’art. 2054, comma 2, del Codice Civile, secondo cui “nel caso di scontro fra veicoli, si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli”.

Inoltre, i ricorrenti hanno chiesto il risarcimento del danno biologico terminale, ovvero quel particolare pregiudizio non patrimoniale derivante dalla consapevolezza della vittima circa la propria imminente morte. La Corte di Cassazione ha fornito una precisa definizione di tale voce di danno, affermando che essa si compone di due elementi:

  1. Il danno biologico stricto sensu, ovvero il danno alla salute patito dalla vittima durante il periodo che intercorre tra le lesioni e il decesso.
  2. Il danno morale terminale, relativo alla sofferenza psicologica derivante dall’avvertita imminenza dell’exitus, qualora la vittima abbia mantenuto la consapevolezza della propria sorte e della morte imminente.

A tal proposito, la Suprema Corte ha chiarito che, perché il danno biologico terminale sia risarcibile, è necessario che il decesso non avvenga “immediatamente o dopo brevissimo tempo” dalle lesioni personali. Soltanto in questo caso, infatti, la vittima avrà avuto il tempo di percepire la propria condizione e la prossimità della morte, maturando così un autonomo pregiudizio non patrimoniale.

A tal proposito, la Corte di Cassazione ha affermato, in numerose pronunce (tra le quali Cass. 23/10/2018 n. 26727 e Cass. 11/11/2019 n. 28989), che “in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente è costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente”. Pertanto, “ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità iure haereditatis di tale pregiudizio, in ragione – nel primo caso – dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo – della mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo“.

Decisione del caso e analisi della sentenza

La Corte d’Appello di Milano, pur riconoscendo una corresponsabilità del 30% in capo al conducente dell’autovettura C.A.G., ha escluso la risarcibilità del danno biologico terminale poiché, secondo il giudice, R.M. non era sopravvissuto per un “apprezzabile lasso di tempo dopo l’evento lesivo, essendo deceduto soltanto due giorni dopo l’incidente.

Tuttavia, questa decisione è stata in parte riformata dalla Corte di Cassazione, la quale ha accolto il sesto motivo di ricorso presentato dai familiari di R.M. Secondo i giudici di legittimità, infatti, la Corte d’Appello è partita da un “assunto errato“, poiché il decesso di R.M. non era avvenuto “immediatamente o dopo brevissimo tempo” dalle lesioni, ma bensì due giorni dopo l’incidente.

Massima risolutiva della sentenza

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