Paternità naturale accertata con test DNA: Corte d’Appello Genova 2024

Paternità naturale accertata con test DNA: Corte d’Appello Genova 2024

Una recente sentenza della Corte d’Appello di Genova ha affrontato un caso di dichiarazione giudiziale di paternità naturale, confermando l’accertamento effettuato in primo grado sulla base di un test del DNA. La vicenda solleva interessanti questioni in merito ai presupposti e alle prove necessarie per l’esperimento dell’azione ex art. 269 c.c. In particolare, è lecito chiedersi: l’accertamento della maternità costituisce davvero un prerequisito indispensabile per poter richiedere la dichiarazione giudiziale di paternità? E quale valore probatorio può essere attribuito al test genetico in simili controversie?

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Per una comprensione completa della vicenda giudiziaria, ti invitiamo a proseguire con la lettura del testo completo.

INDICE

  1. ESPOSIZIONE DEI FATTI
  2. NORMATIVA E PRECEDENTI
  3. DECISIONE DEL CASO E ANALISI
  4. ESTRATTO DELLA SENTENZA

ESPOSIZIONE DEI FATTI

La controversia trae origine dall’azione di dichiarazione giudiziale di paternità promossa da un uomo nei confronti delle figlie ed eredi del suo presunto padre naturale, deceduto alcuni anni prima. L’attore sosteneva di essere frutto di una relazione extraconiugale intrattenuta dal defunto con una donna tra il 1963 e il 1970, asserendo di essere stato riconosciuto alla nascita dalla sola madre ma mai dal padre biologico.

Quest’ultimo, pur non avendolo formalmente riconosciuto né provveduto al suo mantenimento, si sarebbe poi avvicinato al figlio a partire dai suoi 16 anni, instaurando con lui una relazione affettiva. L’attore affermava inoltre che la sua vera paternità fosse nota nell’ambiente familiare e sociale.

Le convenute, figlie legittime ed eredi del presunto padre, si sono costituite in giudizio contestando integralmente la domanda attorea e chiedendone il rigetto per mancanza dei presupposti di legge.

Il Tribunale di Savona, dopo aver disposto una consulenza tecnica d’ufficio consistente in accertamenti genetici, ha accolto la domanda dichiarando la paternità naturale del defunto nei confronti dell’attore. La CTU ha infatti accertato una probabilità di paternità biologica superiore al 99,99%.

Le convenute hanno impugnato la sentenza di primo grado davanti alla Corte d’Appello di Genova, lamentando la violazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. Con l’unico motivo di gravame, hanno sostenuto che l’attore, per poter ottenere la dichiarazione di paternità, avrebbe dovuto preliminarmente provare di essere figlio della donna indicata come madre naturale. In assenza di tale prova, secondo le appellanti, la CTU genetica disposta dal Tribunale sarebbe stata inammissibile in quanto esplorativa.

NORMATIVA E PRECEDENTI

La dichiarazione giudiziale di paternità e maternità è disciplinata dall’art. 269 del codice civile, il quale stabilisce che:

La paternità e la maternità possono essere giudizialmente dichiarate nei casi in cui il riconoscimento è ammesso. La prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo. La maternità è dimostrata provando la identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre. La sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre e il preteso padre all’epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità

La norma, come interpretata dalla giurisprudenza, consente un’ampia libertà probatoria nell’accertamento della filiazione naturale, ammettendo ogni mezzo di prova idoneo a dimostrare il rapporto di genitorialità.

In particolare, la Corte di Cassazione ha più volte affermato che la consulenza tecnica d’ufficio consistente in indagini ematologiche e test del DNA rappresenta lo strumento più idoneo e affidabile per l’attribuzione della paternità. Secondo la Suprema Corte, in questo ambito la CTU “assurge al rango di fonte oggettiva di prova“, configurandosi come mezzo di accertamento di situazioni di fatto rilevabili solo attraverso specifiche cognizioni tecniche (Cass. civ. sez. I, 03/07/2018, n.17392).

Quanto al valore probatorio del test del DNA, la giurisprudenza ha chiarito che, pur non costituendo una prova legale, esso fornisce risultati di elevatissima attendibilità, tali da far ritenere accertata la paternità con un grado di probabilità prossimo alla certezza quando la probabilità statistica superi il 99,99% (Cass. civ. sez. I, 30/05/2013, n.13606).

Per quanto concerne il rapporto tra accertamento della maternità e della paternità, non risultano precedenti che impongano la previa dimostrazione della maternità quale presupposto per l’azione ex art. 269 c.c. Al contrario, la giurisprudenza ha ammesso la possibilità di dichiarare giudizialmente la paternità anche in casi di parto anonimo o di incertezza sull’identità della madre (Cass. civ. sez. I, 22/12/2016, n.26767).

In tema di onere della prova e principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c., la Cassazione ha chiarito che la contestazione, per essere efficace, deve essere specifica e circostanziata. Non sono sufficienti contestazioni generiche o meramente formali, dovendo la parte prendere posizione in modo analitico sui fatti allegati dalla controparte (Cass. civ., sez. VI, 23/03/2022, n.9439).

Infine, riguardo all’esecuzione di accertamenti genetici su resti mortali, la giurisprudenza ha escluso la necessità del consenso dei familiari, ritenendo prevalente l’interesse all’accertamento della verità in materia di status (Cass. civ. sez. I, 15/05/2019, n.13000).

DECISIONE DEL CASO E ANALISI

La Corte d’Appello di Genova ha rigettato l’impugnazione, confermando integralmente la sentenza di primo grado che aveva dichiarato la paternità naturale sulla base del test del DNA.

I giudici di secondo grado hanno in primo luogo evidenziato come l’istruttoria tecnica espletata nel giudizio di prime cure abbia accertato, con un livello di probabilità prossimo alla certezza, che l’attore è figlio del presunto padre. Tale accertamento, in assenza di specifiche doglianze delle appellanti sul punto, è stato ritenuto ormai definitivamente acquisito al processo.

La Corte ha poi affrontato la questione centrale sollevata con l’unico motivo di appello, ovvero la presunta necessità di provare preliminarmente la maternità naturale quale presupposto per l’azione di dichiarazione giudiziale di paternità.

Sul punto, i giudici hanno rilevato che tale interpretazione dell’art. 269 c.c. non trova alcun riscontro nel dato normativo. La disposizione, infatti, non impone affatto a chi agisca per l’accertamento della paternità di dimostrare preventivamente l’identità della propria madre. Il quarto comma dell’articolo, contrariamente a quanto sostenuto dalle appellanti, si limita a fornire una precisazione di carattere probatorio relativa al solo accertamento della maternità.

La Corte ha evidenziato come l’art. 269 c.c. introduca una chiara distinzione tra accertamento della paternità e della maternità, disciplinandoli separatamente. Ciò emerge sia dall’impiego della congiunzione “e” nel secondo comma, sia dal fatto che il terzo comma è dedicato esclusivamente alla regolamentazione della prova della maternità, mentre il quarto comma introduce una limitazione probatoria per la sola dimostrazione della paternità.

I giudici hanno quindi concluso che ben può essere accertato il rapporto di paternità anche a prescindere dal previo accertamento dell’identità della madre, risultando irrilevante ai fini della paternità biologica se l’attore sia o meno figlio della donna indicata come madre naturale.

Nel caso di specie, peraltro, la Corte ha rilevato che l’attore aveva dedotto di essere stato riconosciuto alla nascita dalla madre, circostanza non specificamente contestata dalle convenute nel giudizio di primo grado. Sul punto, richiamando la giurisprudenza di legittimità, i giudici hanno ribadito che la contestazione, per essere efficace, deve essere specifica e circostanziata, non essendo sufficienti formule di stile o contestazioni generiche.

La Corte ha quindi ritenuto pienamente condivisibile l’operato del Tribunale, che ha correttamente disposto la CTU genetica e fondato su di essa l’accertamento della paternità, a prescindere dalla preventiva dimostrazione della maternità.

In conclusione, i giudici d’appello hanno respinto il gravame, giudicando l’impugnazione fondata su un’interpretazione dell’art. 269 c.c. del tutto arbitraria e priva di riscontri normativi e giurisprudenziali. Per tali ragioni, oltre a confermare la sentenza impugnata, la Corte ha condannato le appellanti al pagamento delle spese processuali e di una somma ex art. 96, comma 3, c.p.c. per responsabilità aggravata.

La decisione in esame appare condivisibile e in linea con l’orientamento prevalente in materia. Essa ribadisce l’importanza della prova genetica nell’accertamento della filiazione naturale e chiarisce opportunamente che la dimostrazione della maternità non costituisce un presupposto necessario per l’azione ex art. 269 c.c., fugando possibili dubbi interpretativi sulla norma.

ESTRATTO DELLA SENTENZA

“L’appello è infondato e deve essere rigettato, per le seguenti ragioni. In primo luogo, si evidenzia che l’istruttoria tecnica espletata nel procedimento di prime cure ha accertato, con un livello di probabilità prossimo alla certezza, che [l’attore] è figlio di [il presunto padre]. Tale accertamento, in difetto di doglianze specifiche delle appellanti, deve ritenersi ormai definitivamente acquisito al presente processo e il relativo capo della sentenza impugnata deve dirsi passato in giudicato. […] In definitiva, appare pienamente condivisibile l’osservazione svolta dal Tribunale di Savona a pag. 2 della sentenza impugnata, ossia che ‘[…] ben può il rapporto di paternità tra l’attore ed il defunto Sig. [presunto padre] essere accertato anche a prescindere dal previo accertamento in ordine all’identità della madre dell’attore medesimo – come peraltro è puntualmente e pacificamente avvenuto nel caso di specie mediante gli accertamenti peritali devoluti al CTU -, dovendosi a tal fine ritenere irrilevante la questione relativa al se il Sig. [attore] sia o meno il figlio naturale della Sig.ra [presunta madre] (egli potrebbe infatti, in ipotesi, essere figlio di altra donna e nondimeno essere egualmente figlio del defunto Sig. [presunto padre])’. Pertanto, l’appello proposto da [le appellanti] è infondato e deve essere rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo in base al D.M. n. 147/22. Inoltre, appare meritevole di accoglimento la richiesta dell’appellato di condanna delle controparti ai sensi dell’art. 96, c. 3 c.p.c., in quanto le appellanti, con il loro unico motivo di appello, hanno instaurato un’impugnazione unicamente fondata su un’interpretazione dell’art. 269 c.c. del tutto arbitraria, disancorata dalla formulazione letterale della norma e priva di qualsiasi riscontro giurisprudenziale, a fronte della prova sostanzialmente certa del fatto che [l’attore] è figlio di [il presunto padre].”

(Corte d’Appello di Genova, sentenza n. 876/2024)

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