Prestazioni sanitarie erogate senza convenzione: il caso della RSSA di Castri. Sentenza Corte d’Appello di Lecce 2024

Prestazioni sanitarie erogate senza convenzione: il caso della RSSA di Castri. Sentenza Corte d’Appello di Lecce n. 51/2024

Nel complesso panorama della sanità pubblica, può accadere che strutture socio-assistenziali operino in una zona grigia, prive di una formale convenzione, eppure in grado di offrire cure e assistenza preziose a pazienti fragili. È il caso della Residenza Sanitaria Assistenziale (RSSA) di Castri, in provincia di Lecce, oggetto di una recente sentenza della Corte d’Appello leccese (n. 51/2024). L’interrogativo al centro del contenzioso è quanto mai spinoso: può una struttura pretendere il pagamento delle prestazioni erogate in assenza di un regolare contratto con l’ente pubblico? Una questione delicata, che chiama in causa l’equilibrio tra contenimento della spesa sanitaria e tutela del diritto dei pazienti.

INDICE

  1. ESPOSIZIONE DEI FATTI
  2. NORMATIVA E PRECEDENTI
  3. DECISIONE DEL CASO E ANALISI
  4. MASSIMA RISOLUTIVA DELLA SENTENZA
  5. IMPLICAZIONI PRATICHE

ESPOSIZIONE DEI FATTI

La vicenda prende le mosse dalla gestione di una Residenza Sanitaria Assistenziale (RSSA) sita in Castrì di Lecce, inizialmente affidata ad una cooperativa in regime di convenzione con la locale Azienda Sanitaria Locale (ASL). Nel 2009, tuttavia, in seguito ad uno sfratto per morosità, la struttura venne liberata.

All’atto dell’esecuzione dello sfratto, erano presenti nella residenza numerosi pazienti, i cui familiari decisero di non abbandonare la struttura. Una nuova cooperativa, appena costituita, subentrò quindi nella gestione della RSSA, dapprima con un’autorizzazione provvisoria e successivamente in via definitiva da parte del Comune di competenza.

Nei mesi seguenti, la nuova gestione fatturò le prestazioni sanitarie e assistenziali erogate alla ASL, richiedendone il pagamento. Tuttavia, con una comunicazione del maggio 2010, l’ente negò la possibilità di addebitare le somme richieste, in assenza di una regolare convenzione contrattuale.

Malgrado i ripetuti tentativi della cooperativa di definire la posizione dei degenti presso la ASL, quest’ultima non provvide al loro trasferimento in altre strutture convenzionate. Esaurite le vie stragiudiziali, la cooperativa citò quindi in giudizio l’ente pubblico, invocando il pagamento di un indennizzo ex art. 2041 c.c. (indebito arricchimento) per le prestazioni erogate in favore dei pazienti rimasti nella struttura.

NORMATIVA E PRECEDENTI

La questione ruota attorno all’applicazione dell’art. 2041 c.c. in materia di indebito arricchimento, secondo cui “chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno  di  un’altra persona è tenuto,  nei  limiti  dell’arricchimento,  a  indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale“. La norma funge da rimedio residuale, al ricorrere di determinati presupposti: l’arricchimento di un soggetto, il correlato depauperamento dell’altro, nonché l’assenza di una causa giustificativa.

Rileva, altresì, l’art. 8-bis del D.lgs. 502/1992, che subordina l’erogazione di prestazioni sanitarie alla stipula di apposite convenzioni con le strutture accreditate. Tale principio è ribadito dall’art. 3 della L.R. Puglia 12/2010, che vieta la remunerazione di attività non ricomprese entro i tetti di spesa.

Particolare rilievo assumono, infine, le sentenze della Corte di Cassazione n. 5237/2013 e n. 22321/2021, secondo cui le prestazioni rese da una struttura accreditata, benché privi di regolare convenzione, sono suscettibili di indennizzo ex art. 2041 c.c., purché l’ente sanitario abbia consapevolmente ricevuto l’utilità della prestazione.

DECISIONE DEL CASO E ANALISI

Nella sentenza in esame, la Corte d’Appello di Lecce ha parzialmente riformato la decisione di primo grado, accogliendo in parte le doglianze della cooperativa ricorrente.

Innanzitutto, viene respinta l’eccezione della ASL fondata sulla pretesa violazione dell’art. 8-bis del D.Lgs. 502/1992 e della L.R. 12/2010, in quanto le peculiari circostanze del caso rendevano necessario il ricorso all’azione ex art. 2041 c.c.

In particolare, fin dal luglio 2009, la ASL era stata resa edotta della situazione dei 12 pazienti rimasti nella struttura. Tuttavia, nonostante avesse riconosciuto il subentro della nuova gestione, non adottò alcun provvedimento finalizzato al trasferimento degli ospiti.

Per il periodo compreso tra il 22 luglio 2009 e il 6 aprile 2010, la Corte ha quindi confermato la sussistenza dei presupposti dell’azione di indebito arricchimento, condannando la ASL al pagamento di un indennizzo pari a € 86.339,80, in luogo dei soli € 47.097,80 inizialmente riconosciuti.

Diversamente, per il successivo periodo dal 7 aprile 2010 fino alle dimissioni degli undici degenti, il diritto all’indennizzo è stato negato. La motivazione risiede nel rifiuto opposto dalla ASL con la nota del 17 maggio 2010, che ha fatto venire meno il presupposto dell’assenza di una causa giustificativa. Da quella data, dunque, l’ente ha espressamente contestato il procrastinarsi dell’arricchimento.

MASSIMA RISOLUTIVA DELLA SENTENZA

“Va rimarcato sul punto che solo con la racc. a.r. del 04.05.10 la cooperativa “XXXX” ha chiesto formalmente il pagamento delle quote spettanti alla ASL. Le fatture però sono state contestate con la nota del 17.5.10, con cui la ASL giustificava il rifiuto del pagamento affermando che lo stesso non fosse dovuto in assenza di espressa convenzione contrattuale.

E’ appena il caso di precisare che l’azione residuale ex art. 2041 c.c. si basa sul principio secondo cui non è ammesso un vantaggio patrimoniale a favore di un soggetto ed in danno di altri senza che sia sorretto da una causa di giustificazione.

Nella fattispecie in esame pertanto, pur persistendo il depauperamento dell’appellante, deve rilevarsi come, a far tempo dalla predetta nota del 17.5.10, sia venuto meno il necessario presupposto dell’assenza di giustificazione, avendo la ASL giustificato il rifiuto delle prestazioni alla stessa addebitate.” (CORTE D’APPELLO DI LECCE, SENTENZA N. 51/2024)

IMPLICAZIONI PRATICHE

Il provvedimento in esame offre importanti spunti di riflessione sulle dinamiche che possono instaurarsi tra strutture sociosanitarie e pubbliche amministrazioni. L’indennizzo riconosciuto per il periodo antecedente al formale rifiuto della ASL sottolinea l’esigenza di tutelare gli operatori che, seppur privi di regolare convenzione, operano per garantire l’assistenza di pazienti fragili. Al contempo, la decisione delimita con nettezza il perimetro entro cui tale forma di ristoro può essere riconosciuta, preservando l’obbligo di stipulare regolari accordi convenzionali.

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Avv. Cosimo Montinaro

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