Quando è possibile chiedere la revisione dell’assegno divorzile?

Quando è possibile chiedere la revisione dell’assegno divorzile?

Cassazione Civile, Sez. VI, ordinanza 08/11/2022, n. 32847

la revisione dell’assegno divorzile di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 9, postula l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti. In particolare, in sede di revisione, il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto e ad adeguare l’importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertata

Avv. Cosimo Montinaro


Estratto della sentenza

Motivi della decisione

5. Il primo motivo (violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, L. div., artt. 112, 113 e 116 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè, in via subordinata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) lamenta l’erroneità della decisione impugnata per aver omesso l’effettiva comparazione delle condizioni in cui si sono venute realmente a trovare le parti al momento della domanda di revisione.

5.1. Secondo la tesi del ricorrente, il vero ed unico elemento che avrebbe fondato il rigetto della domanda di revisione sarebbe stata la disponibilità, da parte del medesimo A.A., della somma percepita in occasione della cessazione dei suoi incarichi professionali, pari a Euro 1.800.000,00. Tuttavia, a giudizio del ricorrente, la corte di merito avrebbe omesso ogni indagine circa la ragione per cui detta somma fu liquidata al A.A., nonchè sul tempo decorso dal suo incasso e sulla verifica se essa fosse ancora disponibile al momento della domanda, nonostante egli abbia fornito evidenze di segno contrario nel corso del giudizio.

5.2. Ad avviso del ricorrente sarebbe altresì stato viziato, ad avviso del ricorrente, anche il giudizio prognostico sulle potenzialità personali e professionali dei coniugi, che si sarebbe risolto in mere considerazioni di stile. In particolare, il ricorrente censura il passaggio in cui, per il A.A. l’età raggiunta di 63 anni viene prospettata come compatibile con una condizione di capacità lavorativa utilmente ancora impiegabile, mentre per la B.B., alla stessa età di 63 anni, viene aprioristicamente esclusa ogni sua utile collocazione.

5.3. Il ricorrente contesta altresì la quantificazione in concreto del contributo di mantenimento effettuata dalla corte di merito, adducendo che questo avrebbe dovuto essere parametrato all’impegno familiare in concreto profuso dalla B.B., là dove nel caso di specie sarebbe stato completamente omesso detto accertamento e la relativa prova di cui era onerata la B.B. e che la stessa non ha fornito nè nel giudizio di revisione, nè in sede di separazione personale, nè in sede divorzile, essendo stati entrambi questi ultimi procedimenti fondati sulla verifica del consenso espresso dalle parti alle condizioni ivi previste. Si tratterebbe, in altre parole, di un importo che potrebbe giustificarsi solo alla luce di severi sacrifici dell’ex coniuge in costanza di convivenza matrimoniale: sacrifici che devono essere sostenuti da evidenze probatorie se non imponenti, quantomeno lineari precise ed univoche, non mere considerazioni generiche ed astratte, senza alcun riferimento al caso concreto e comunque prive del benchè minimo riscontro.

6. La censura è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c..

6.1. Costituisce principio giurisprudenziale consolidato che la revisione dell’assegno divorzile di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 9, postula l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti. In particolare, in sede di revisione, il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto e ad adeguare l’importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertata (cfr. Cass. n. 10133/2007; id. n. 787/2017; id. n. 11177/2019; id. 766/2022). 6.2.Ciò posto la corte territoriale ha deciso conformemente a tali principi e nel concreto ha ritenuto di ravvisare le dedotte e provate circostanze sopravvenute per ridurre l’assegno divorzile a carico del A.A. all’esito dell’esame e raffronto delle situazioni patrimoniali delle parti alla stregua del nuovo quadro economico ed alla luce della natura articolata dell’assegno divorzile come da ultimo riconosciuta dalla Corte (cfr. Cass. Sez. Un. 18287/2018).

6.3. In tale contesto, e come sopra precisato, il giudice, diversamente da quanto ipotizzato dal ricorrente, non è investito di una nuova valutazione dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile, essendo gli stessi già stati valutati nel giudizio di scioglimento del matrimonio, concentrandosi l’apprezzamento giudiziale esclusivamente sulla sussistenza delle circostanze sopravvenute che giustifichino la revisione di quanto disposto in quella sede.

6.4. Sono quindi inammissibili le censure del ricorrente aventi ad oggetto la valutazione del ruolo della Santelli durante il matrimonio ovvero quella sull’età delle parti in relazione alla diversa prospettiva lavorativa, per essere entrambe le valutazioni assorbite nella statuizione assunta con la sentenza di divorzio del tribunale di Macerata n. 148/20913.

7. Il secondo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, L. div., artt. 99, 112, 113, 115 e 116 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè, in via subordinata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) lamenta l’erroneità della decisione impugnata per aver escluso che la relazione tra la B.B. e il nuovo compagno con cui convive more uxorio costituisca una famiglia di fatto rilevante ai fini dell’esclusione del contributo divorzile, senza indicare alcun elemento concreto emerso nel giudizio a cui ancorare il relativo convincimento, al contrario omettendo di escutere testi, pur debitamente ammessi su richiesta del A.A., che avrebbero potuto riferire in merito.

7.1. La censura è inammissibile per diversi ordini di ragione.

7.2. L’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione, nonchè sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno, in relazione alla sua componente compensative (Cass. 6855/2015, id. 2466/2016; 4649/2017; 2732/2018; id.406/2019; id. 5974/2019; Cass. Sez. Un. 32198/20021).

7.3. La corte territoriale ha statuito in conformità a questo principio giurisprudenziale, evidenziando la mancanza di un stabile modello di vita in comune fra la B.B. ed il C.C., per essere la relazione non configurabile come famiglia di fatto, con la conseguente superfluità delle prove testimoniali articolate dal ricorrente.

7.4. Ebbene, la censura non propone seri elementi per mutare il consolidata orientamento giurisprudenziale ed è pertanto inammissibile ex art. 360 bis c.p.c..

7.5. La censura è altresì inammissibile perchè attinge la valutazione del giudice del merito sulle istanze istruttorie, motivata dal richiamo all’enunciato canone interpretativo, senza illustrare perchè i trascritti capitoli di prova testimoniale avrebbero giustificato una conclusione diversa alla luce di quel medesimo principio di diritto. 8. Il ricorso è dunque inammissibile.

9. Nulla va disposto sulle spese essendo la B.B. rimasta intimata.

10. Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

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