La recente pronuncia del Tribunale di Ancona offre significativi spunti interpretativi in materia di accettazione tacita dell’eredità e delle conseguenze derivanti dal mancato adempimento degli obblighi gravanti sul chiamato all’eredità nel possesso dei beni ereditari. La decisione si inserisce nel consolidato orientamento giurisprudenziale che qualifica come atti di accettazione tacita quelle condotte del chiamato che presuppongono necessariamente la volontà di accettare l’eredità e che non potrebbero essere compiute se non nella qualità di erede. Di particolare interesse è l’analisi degli effetti della mancata redazione dell’inventario nei termini prescritti dall’art. 485 c.c., alla luce del più recente orientamento della Suprema Corte in materia di decorrenza del termine trimestrale.
Avv. Cosimo Montinaro – Tel. 0832/1827251 – e-mail segreteria@studiomontinaro.it
INDICE
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI
La controversia trae origine dall’azione promossa da una società di gestione crediti, in qualità di mandataria, nei confronti del curatore dell’eredità giacente di un soggetto deceduto, finalizzata all’accertamento dell’intervenuta accettazione tacita dell’eredità da parte di quest’ultimo rispetto al patrimonio del proprio dante causa. Il de cuius era deceduto lasciando un patrimonio immobiliare costituito da diversi immobili siti nel Comune di Jesi. Il chiamato all’eredità, successivamente deceduto, aveva posto in essere una serie di atti di gestione del patrimonio ereditario, tra cui: la stipula di un contratto di locazione relativo ad uno degli immobili ereditari, l’effettuazione delle volture catastali a proprio nome, l’ottenimento della trascrizione della denuncia di successione e l’intestazione delle utenze. Inoltre, era emerso che lo stesso si trovava nel possesso dei beni ereditari e non aveva provveduto alla redazione dell’inventario nel termine trimestrale previsto dall’art. 485 c.c. La curatela dell’eredità giacente rimaneva contumace nel giudizio.
NORMATIVA E PRECEDENTI
Il quadro normativo di riferimento è costituito principalmente dagli artt. 476 e 485 c.c. in materia di accettazione tacita dell’eredità e di effetti del possesso dei beni ereditari. L’art. 476 c.c. stabilisce che l’accettazione è tacita quando il chiamato compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede. La giurisprudenza ha elaborato nel tempo criteri interpretativi per identificare gli atti che integrano accettazione tacita, richiedendo che essi manifestino in modo inequivoco la volontà di accettare l’eredità e che siano incompatibili con la volontà di rinunciarvi. Di particolare rilievo è il principio secondo cui costituiscono accettazione tacita gli atti di gestione e amministrazione che eccedano l’ordinaria amministrazione o che comunque non siano riconducibili a mere attività conservative. In tema di possesso dei beni ereditari, l’art. 485 c.c. impone al chiamato che si trovi nel possesso dei beni l’obbligo di procedere all’inventario entro tre mesi dall’apertura della successione o dalla notizia della devoluta eredità, stabilendo che in mancanza egli è considerato erede puro e semplice. Sul punto, la Cassazione civile sez. II, 01/06/2023, n.15587 ha precisato che il possesso rilevante ai fini dell’art. 485 c.c. può essere acquisito anche successivamente all’apertura della successione, con conseguente decorrenza del termine per l’inventario dal momento di acquisizione del possesso.
DECISIONE DEL CASO E ANALISI
Il Tribunale di Ancona ha accolto la domanda attrice, dichiarando l’intervenuta accettazione tacita dell’eredità sulla base di una duplice argomentazione. In primo luogo, ha ritenuto che gli atti di gestione posti in essere dal chiamato (locazione dell’immobile, volture catastali, intestazione utenze) fossero incompatibili con la volontà di non accettare l’eredità, in quanto trascendenti la mera conservazione del patrimonio ereditario e implicanti un’attività di amministrazione e godimento dei beni che solo l’erede avrebbe potuto legittimamente compiere. In particolare, la stipula del contratto di locazione è stata qualificata come atto eccedente l’ordinaria amministrazione e presupponente necessariamente la qualità di erede. In secondo luogo, il Tribunale ha rilevato che il chiamato, trovandosi nel possesso dei beni ereditari, non aveva provveduto alla redazione dell’inventario nel termine trimestrale previsto dall’art. 485 c.c., con conseguente sua qualificazione come erede puro e semplice. Sul punto, il giudice ha richiamato il recente orientamento della Suprema Corte che ha chiarito come il termine per l’inventario decorra non necessariamente dall’apertura della successione, ma dal momento di effettiva acquisizione del possesso dei beni ereditari.
ESTRATTO DELLA SENTENZA
“In materia di successioni l’accettazione è tacita quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone la sua concreta ed effettiva volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di porre in essere se non nella qualità di erede e dunque necessita di due condizioni e, cioè, il compimento di un atto che presuppone necessariamente la volontà di accettare e la qualificazione di tale atto, nel senso che ad esso non sia legittimato se non chi abbia la qualità di erede.
A norma dell’art. 476 cc quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede si ritiene ricorra la fattispecie di accettazione tacita, la quale può desumersi dall’esplicazione di un’attività personale del chiamato incompatibile con la volontà di rinunciarvi, ossia con un comportamento tale da presupporre la volontà di accettare l’eredità, secondo una valutazione obiettiva condotta alla stregua del comune modo di agire di una persona normale.