Assegno di mantenimento: quando si può chiedere la restituzione?

Assegno di mantenimento: quando si può chiedere la restituzione?

Cosa succede se si scopre che l’assegno di mantenimento non era dovuto? La Cassazione, con la sua ordinanza n. 4715 del 22 febbraio 2024 (testo integrale in calce), ha fatto chiarezza sulla questione della ripetibilità delle somme versate.

Cassazione, Sez. I, Ordinanza, 22/02/2024, n. 4715

In tema di assegno di mantenimento separativo e divorzile, ove si accerti nel corso del giudizio – nella sentenza di primo o secondo grado – l’insussistenza “ab origine”, in capo all’avente diritto, dei presupposti per il versamento del contributo, ancorché riconosciuto in sede presidenziale o dal giudice istruttore in sede di conferma o modifica, opera la regola generale della “condictio indebiti” che può essere derogata, con conseguente applicazione del principio di irripetibilità, esclusivamente nelle seguenti due ipotesi: ove si escluda la debenza del contributo, in virtù di una diversa valutazione con effetto “ex tunc” delle sole condizioni economiche dell’obbligato già esistenti al tempo della pronuncia, ed ove si proceda soltanto ad una rimodulazione al ribasso, di una misura originaria idonea a soddisfare esclusivamente i bisogni essenziali del richiedente, sempre che la modifica avvenga nell’ambito di somme modeste, che si presume siano destinate ragionevolmente al consumo da un coniuge, od ex coniuge, in condizioni di debolezza economica.


La sentenza della Cassazione affronta una questione cruciale nel contesto del diritto di famiglia, concentrandosi sugli aspetti legati agli assegni di mantenimento separativo e divorzile. La massima stabilisce una regola chiara: se nel corso del processo, sia a livello di primo che di secondo grado, emerge che i presupposti per il versamento dell’assegno di mantenimento non sono mai esistiti “ab origine”, si applica la “condictio indebiti”. Questo principio legale consente il recupero delle somme versate indebitamente e non consente una restituzione solo in circostanze specifiche.

Ecco i punti salienti:

  • Regola generale: in caso di insussistenza “ab origine” dei presupposti per il versamento dell’assegno di mantenimento, il beneficiario è tenuto a restituire le somme indebitamente percepite. Questo principio si basa sulla “condictio indebiti”, ossia la regola generale che disciplina la restituzione di quanto non dovuto.
  • Eccezioni: la regola generale della “condictio indebiti” può essere derogata in due casi specifici:
    • Valutazione ex tunc delle condizioni economiche dell’obbligato: se l’esclusione del diritto al mantenimento avviene in virtù di una diversa valutazione retroattiva delle sole condizioni economiche dell’obbligato già esistenti al tempo della pronuncia, il principio di irripetibilità può trovare applicazione.
    • Riduzione di somme modeste per soddisfare bisogni essenziali: se si procede ad una rimodulazione al ribasso di una misura originaria idonea a soddisfare solo i bisogni essenziali del richiedente, e la modifica avviene nell’ambito di somme modeste che si presume siano destinate ragionevolmente al consumo, il principio di irripetibilità può trovare applicazione.

Cosa significa per te?

  • Se hai ricevuto un assegno di mantenimento che non ti spettava, potresti essere tenuto a restituirlo.
  • Ci sono due eccezioni a questa regola: se l’obbligato era in condizioni economiche tali da non poter versare l’assegno, oppure se le somme versate erano modeste e servivano a soddisfare i tuoi bisogni essenziali.
  • Prima di fare qualsiasi cosa, consulta lo Studio legale dell’Avv. Cosimo Montinaro per capire se nel tuo caso è possibile chiedere la restituzione dell’assegno di mantenimento.

Avv. Cosimo Montinaro

(avvocato diritto di famiglia)


Svolgimento del processo

Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 2163-2021, emessa, in data 17.02.2021, dichiarò la separazione personale dei coniugi B.B.Ca e A.A., che avevano contratto matrimonio civile in P in data (Omissis); inoltre, dispose l’affidamento del figlio minore C.C., nato il (Omissis), in via condivisa ad entrambi i genitori con collocamento prevalente presso la madre, regolamentando il diritto di visita paterno con previsione del pernotto e ripartizione dei periodi di vacanza; assegnò la casa familiare a B.B.Ca; pose a carico di A.A., con decorrenza dalla data di pubblicazione della sentenza, l’obbligo di contribuire al mantenimento del figlio minore mediante versamento alla madre, dell’importo mensile di Euro 2.000,00, da rivalutarsi annualmente secondo gli indici Istat, oltre al pagamento del 80% delle spese straordinarie secondo il Protocollo della Corte d’Appello di Milano sottoscritto il 14-11-2017, come meglio individuate nella stessa sentenza; pose a carico di A.A. con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza di primo grado l’assegno di mantenimento in favore della moglie di Euro 650,00 mensili, oltre ISTAT.

Il gravame proposto da A.A., chiedendo l’integrale riforma della prima decisione, è stato respinto dalla Corte di appello di Milano con la sentenza n.3662-2022, pubblicata il 21-11-2022.

A.A. ha proposto ricorso con cinque mezzi illustrati con memoria ed ha chiesto la cassazione della sentenza impugnata. B.B.Ca ha replicato con controricorso e memoria.

È stata disposta la trattazione camerale.

Motivi della decisione

2.1. – Con il primo motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 111, comma 6, della Costituzione e dell’art. 132, comma 2 n. 4 c.p.c., in relazione ai capi della decisione in cui “respinge l’appello”, conferma (“ferma la sentenza nel resto”) la sentenza di primo grado in ordine al mantenimento del coniuge beneficiario e revoca tale obbligo soltanto “con decorrenza dalla data di deposito della presente sentenza” di appello.

La sentenza d’appello ha confermato la pronuncia di primo grado con riguardo all’onere imposto all’attuale ricorrente di un assegno per il mantenimento dell’allora moglie, disponendo la sua revoca – in ragione di una espressa rinuncia da parte della qui resistente e di una correlativa accettazione da parte dell’esponente – solamente a partire dal deposito della decisone del giudice di secondo grado.

Sostiene il ricorrente che non è stato motivato il provvedimento di rigetto della domanda di revoca dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge beneficiario a partire dal 28 gennaio 2020 (data di richiesta di modifica avanzata nel giudizio di separazione di primo grado, in sub-procedimento cautelare), così come richiesto dall’appellante.

Aggiunge che la circostanza che la beneficiaria avesse rinunciato al contributo e l’appellante avesse accettato la rinuncia (come da dichiarazioni rese in sede d’udienza), in ragione della quale la Corte territoriale si era determinata a revocare l’assegno di mantenimento dalla data di deposito della sentenza, non era stata ben valutata: in particolare, deduce che l’accettazione della rinuncia effettuata dalla beneficiaria all’assegno non poteva comportare, di per sé, anche la rinuncia alla domanda relativa all’accertamento della non debenza – per mancanza dei presupposti – dell’assegno di mantenimento per il periodo antecedente a questa espressione di volontà (con caducazione pure della conseguente istanza di restituzione delle somme già corrisposte in eccesso).

Deduce, quindi, che la rinuncia della beneficiaria al mantenimento nel corso del giudizio di secondo grado, come formulata nel caso di specie, era ontologicamente diversa dalla domanda svolta da esso A.A. con l’atto di appello: la prima era infatti un quid sopravvenuto che non riguardava la sentenza di primo grado impugnata, ma aveva unicamente una proiezione verso il futuro, mentre la seconda, per contro, è una richiesta di accertamento sul passato, il periodo interessante la sentenza di primo grado.

2.2. – Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.p.c. e degli artt. 31, 32, 34, 36 e 40 c.p.c., in relazione ai capi della decisione in cui “respinge l’appello” e conferma la sentenza di primo grado (“ferma la sentenza nel resto”) in ordine alla restituzione degli importi versati in eccedenza a titolo di mantenimento.

A parere del ricorrente, la Corte d’Appello erra palesemente anche laddove, nella parte motiva della propria sentenza, considera inammissibili le “domande di restituzione degli importi versati” avanzata dall’appellante in sede di impugnazione della sentenza resa dal Tribunale, statuizione poi ricompresa nel complessivo dispositivo di rigetto dell’appello.

Sostiene che la domanda restitutoria era pienamente ammissibile e proponibile, come – a suo parere – recentemente confermato dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 32914-2022.

2.3. – I motivi primo e secondo, da trattare congiuntamente perché strettamente avvinti, sono fondati e vanno accolti.

Invero, la rinuncia alla domanda di assegno di mantenimento previsto per la separazione, formulata nel corso del giudizio di appello, ove riferita e valutata per il futuro, non poteva pregiudicare la domanda di revoca avanzata da A.A. con l’atto di appello anche per il periodo pregresso, con decorrenza dal 28 gennaio 2020 (data di richiesta di modifica avanzata nel giudizio di separazione in primo grado, in sub procedimento cautelare) contestando la sussistenza dei presupposti dell’assegno, senza che sul punto si sia formato alcun giudicato atteso l’appello proposto e il carattere temporaneo del provvedimento adottato nel sub procedimento, poi confermato nella sentenza di primo grado oggetto di specifico gravame sul punto.

A fronte di ciò la statuizione risulta priva di specifica motivazione e non può ritenersi implicita perché manca un esame critico degli elementi di fatto fondanti la decisione sul punto.

Quanto al secondo motivo va rammentato che “In tema di assegno di mantenimento separativo e divorzile, ove si accerti nel corso del giudizio – nella sentenza di primo o secondo grado – l’insussistenza “ab origine”, in capo all’avente diritto, dei presupposti per il versamento del contributo, ancorché riconosciuto in sede presidenziale o dal giudice istruttore in sede di conferma o modifica, opera la regola generale della “condictio indebiti” che può essere derogata, con conseguente applicazione del principio di irripetibilità, esclusivamente nelle seguenti due ipotesi: ove si escluda la debenza del contributo, in virtù di una diversa valutazione con effetto “ex tunc” delle sole condizioni economiche dell’obbligato già esistenti al tempo della pronuncia, ed ove si proceda soltanto ad una rimodulazione al ribasso, di una misura originaria idonea a soddisfare esclusivamente i bisogni essenziali del richiedente, sempre che la modifica avvenga nell’ambito di somme modeste, che si presume siano destinate ragionevolmente al consumo da un coniuge, od ex coniuge, in condizioni di debolezza economica. ” (Cass. Sez. U. n. 32914-2022).

3.1. – Con il terzo motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 111, comma 6, della Costituzione della Repubblica e dell’art. 132, comma 2 n. 4 c.p.c. in relazione ai capi della decisione in cui “respinge l’appello”, conferma (“ferma la sentenza nel resto”) la sentenza di primo grado in ordine al collocamento paritetico del minore.

A parere del ricorrente, la Corte d’Appello, in punto collocamento paritetico, del minore erra gravemente a più livelli.

3.2. – Con il quarto motivo si deduce la violazione e-o falsa applicazione degli artt. 2, 3, 29 e 30 della Costituzione della Repubblica, art. 8 CEDU e art. 337 ter, commi 1 e 2, c.c. in relazione ai capi della decisione in cui “respinge l’appello”, conferma (“ferma la sentenza nel resto”) la sentenza di primo grado in ordine al collocamento paritetico del minore.

A parere del ricorrente, la conferma immotivata delle statuizioni rese in primo grado (descritta nel motivo che precede), porta con sé, oltretutto, la violazione di ulteriori norme di natura sostanziale.

3.3. – I motivi terzo e quarto, da trattare congiuntamente perché strettamente avvinti giacché concernono la disciplina del diritto di visita del minore, sono inammissibili per carenza di interesse.

È decisivo osservare che la questione risulta sottoposta al giudice del divorzio, come è incontestato tra le parti e si evince dal ricorso (fol. 9), ove è chiarito che il vincolo matrimoniale è cessato a seguito di pronuncia di sentenza divorzile non definitiva e che il giudizio prosegue per le statuizioni accessorie, anche relative al figlio, tanto più che la statuizione richiesta mai potrebbe avere effetto per il passato ed efficacia retroattiva.

4.1. – Con il quinto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2 n. 4 c.p.c., in relazione ai capi della decisione in cui “respinge l’appello” e conferma la sentenza di primo grado (“ferma la sentenza nel resto”) in ordine all’obbligo di mantenimento nei confronti del figlio.

La sentenza è nulla per violazione dell’art. 132, comma 2 n. 4 c.p.c. in quanto non contiene la “concisa esposizione delle ragioni in fatto e in diritto della decisione” o, meglio, contiene solo una parvenza di motivazione che ha portato la Corte a confermare la sentenza di primo grado.

A parere del ricorrente, non si rinviene, però, nessuna, davvero nessuna, spiegazione sull’utilizzo dei superiori criteri per la definizione dell’assegno perequativo nella vicenda di cui al giudizio.

4.2. – Il quinto motivo, che concerne la commisurazione dell’assegno di mantenimento previsto in favore del figlio, è inammissibile.

La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente e, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost. (Cass. n. 13248-2020).

È stato, in particolare, precisato che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. n. 22232-2016), oppure allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105-2017) oppure, ancora, nell’ipotesi in cui le argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass. n. 20112-2009).

4.3. – Nel caso di specie non vi è luogo a motivazione apparente perché la Corte territoriale ha proceduto alla puntuale disamina delle condizioni economiche e reddituali delle parti ed ha confermato la prima decisione, tenendo conto delle esigenze del minore, del tenore di vita da lui goduto e della valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore, mentre la censura si risolve in una inammissibile richiesta di rivalutazione del merito.

5. – In conclusione, sono accolti i motivi primo e secondo, inammissibili i restanti; la sentenza va cassata nei limiti dei motivi accolti e la causa va rinviata alla Corte di appello di Milano in diversa composizione per il riesame e per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

P.Q.M.

– Accoglie i motivi di ricorso primo e secondo, inammissibili gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Milano in diversa composizione anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità;

– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.Conclusione

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 15 febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2024.

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