Sinistri stradali: solo la condotta abnorme dell’utente della strada esclude la responsabilità del custode ex art. 2051 c.c.

Il Tribunale di Lecce, con sentenza n. 770/2021 del 17.03.2021, dopo aver ripercorso la disciplina normativa di cui all’art. 2051 c.c., ha statuito che, in tema di sinistri stradali, solo la condotta abnorme dell’utente della strada può valere ad escludere la responsabilità del custode. Nello specifico, quando il custode eccepisce la colpa della vittima, l’esclusione della responsabilità ex art. 2051 c.c. esige una duplice indagine (la colposità e la non prevedibilità della condotta del danneggiato), non essendo all’uopo sufficiente il solo accertamento di una condotta distratta, imprudente e negligente della vittima che, al più, può costituire un concorso causale colposo ai sensi dell’art. 1227 cod. civ.. Il fatto, quindi, che al sinistro abbia contribuito la condotta colposa del guidatore non integra il c.d. caso fortuito che scrimina il custode della cosa. Per tali ragioni, in caso di danno da insidia stradale, la valutazione del comportamento del danneggiato è di imprescindibile rilevanza, essendo il Giudice tenuto sempre a valutare l’incidenza del comportamento imprudente della vittima nel dinamismo causale del danno “fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale” (Cass. civ. 24215/2019).

Avv. Cosimo Montinaro

ESTRATTO DELLA SENTENZA

Ai sensi dell’art. 2051 del cod. civ., “il custode è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.

La responsabilità in questione si fonda quindi sul potere di custodia.

Potere che si estrinseca, a sua volta, in: potere di controllo sulla cosa; potere di modificare la situazione di pericolo insita nella cosa o connessa al suo dinamismo; potere di escludere qualunque terzo dall’ingerenza sulla cosa nel momento in cui si è verificato il danno (cfr. Cass., n.7403/2007). Tutto ciò in coerenza con la funzione della norma che, evidentemente, è quella di imputare la responsabilità a chi si trova di fatto nelle condizioni di controllare meglio i rischi inerenti alla cosa.

L’art. 2051 non si riferisce infatti alla custodia nel significato contrattuale del termine; si riferisce, invece, all’ effettivo potere fisico in forza del quale si ha il governo e l’uso della cosa (cfr. Cass., n.1859/2000).

La giurisprudenza dominante, sottolineando la differenza tra la presunzione di colpa, prevista dal legislatore nelle norme di cui agli artt. 2047, 2048, 2050 e 2054 cod. civ. e la presunzione di responsabilità prevista dal 2051, ha precisato, altresì, come alla fattispecie tipizzata dalla norma in esame sia estraneo il comportamento del custode (nel senso che, se la cosa cagiona danno a terzi, il custode diligente risponde allo stesso modo del custode negligente) integrando essa un’ipotesi di responsabilità oggettiva per la cui configurazione è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato (cfr. Cass., n.4279/2008; n.2563/2007; n.2686/2005, n.6753/2004).

Si è puntualizzato così che occorre parlare di “rischio” da custodia più che di “colpa” e, di conseguenza, di presunzione di responsabilità anziché di presunzione di colpa. D’altro canto – è stato osservato – il dato letterale della norma fa riferimento al danno “cagionato dalle cose” e non da una condotta (colpevole o no) del custode: ”la responsabilità si fonda sul mero rapporto di custodia e solo tale stato di fatto e non l’obbligo di custodia può assumere rilievo nella fattispecie” (Cass., n. 4279/2008). Muovendo da tale assunto e cioè che la responsabilità ex art. 2051 cod. civ., in base all’esplicito dato normativo si fonda sulla mera relazione di custodia, con l’unico limite del fortuito: “salvo che il custode provi il caso fortuito” (locuzione questa comprensiva, com’è noto, della famosa triade costituita dal fatto del terzo, dalla forza maggiore e dal fatto dello stesso danneggiato), si è pervenuti alla conclusione che – afferendo il fortuito alle modalità di causazione del danno – ai fini della prova liberatoria, ciò che assume rilevanza è “il profilo causale dell’evento”, nel senso che diventa imprescindibile accertare se quest’ultimo possa essere ricondotto “non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’oggettiva imprevedibilità e della inevitabilità, idoneo ad interrompere il rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo”: il fortuito appunto (cfr. Cass., n.15429/2004; n.15383/2006).

Si è più in particolare affermato che “In tema di danno cagionato da cose in custodia è indispensabile, per l’affermazione di responsabilità del custode, che sia accertata la sussistenza di un nesso di causalità tra la cosa ed il danno patito dal terzo, dovendo a tal fine ricorrere la duplice condizione che il fatto costituisca un antecedente logico necessario dell’evento nel senso che quest’ultimo rientri tra le conseguenze normali ed ordinarie di esso e che l’antecedente medesimo non sia poi neutralizzato sul piano causale dalla sopravvenienza di circostanze da sole idonee a determinare l’evento” (cfr. Cass., n.27168/2006). Con l’ulteriore precisazione che: “In un sistema in cui il nesso causale tra il fatto e l’evento svolge un ruolo centrale, diventa fondamentale accertare se l’evento eziologicamente derivi in tutto o in parte dal comportamento dello stesso danneggiato valutandone, quindi l’eventuale apporto causale” (cfr. Cass., n.4279/2008) Innegabile dunque la differenza con le prove liberatorie di cui agli artt. 2047, 2048, 2050 e 2054 cod. civ. nelle quali assume rilievo, invece, il comportamento del responsabile. Ciò non vuol dire però che l’art. 2051 esoneri “il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione potenzialmente lesiva posseduta dalla cosa” (cfr. Cass., n. 2705/2002).

E difatti non è configurabile tale responsabilità quando la cosa, di per sé non strutturalmente pericolosa, risulti soltanto il luogo dell’evento, ossia mera occasione del fatto dannoso; in definitiva, il mezzo attraverso il quale si è verificato il danno, provocato da una causa estranea alla cosa ed idonea ad interrompere il collegamento causale. Riguardo, poi, alla responsabilità del proprietario e/o custode di pubbliche strade, come nel caso in esame, va soggiunto l’ulteriore consolidato principio per il quale l’ente proprietario e/o gestore di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse in modo immanente non solo alla struttura della sede stradale transitabile, ma anche alle pertinenze della strada stessa: “la custodia esercitata dal proprietario o gestore della strada non è limitata alla sola carreggiata, ma si estende anche agli elementi accessori o pertinenze, ivi comprese eventuali barriere laterali con funzione di contenimento e protezione della sede stradale” (Cassaz., n. 9547/2015).

Occorre inoltre precisare, in relazione a tale ultimo obbligo, previsto dall’art. 2 del D.M. 18 febbraio 1992 n. 223, che la Suprema Corte ha escluso che esso riguardi solo le strade di nuova costruzione, realizzate successivamente all’anno 1992, non ritenendo ragionevole ipotizzare che per le strade preesistenti il soggetto tenuto alla custodia e controllo possa tranquillamente disinteressarsi della sicurezza degli utenti della strada, ed ha, di conseguenza, specificato che la colpa può consistere, sia nella violazione di norme prescrittive (colpa specifica), sia nella violazione di regole di comune prudenza (colpa generica) per cui il formale rispetto della prima non vale ad escludere la sussistenza della seconda. In pratica, la circostanza che per una determinata strada il richiamato D.M. n.223/1992 non imponga in astratto l’adozione di misure di sicurezza, non esime l’ente preposto, sempre e comunque, ai sensi dell’art. 14 CdS, dalla valutazione in concreto del rischio per la sicurezza degli utenti che quella strada possa costituire (Cassaz., ord. n.10916/2017; Ord. n.5726/2019; sent. n.24178/2018; sent.n.5726/2020)

In punto di onere della prova e nesso causale, poi, se, come già detto, al danneggiato spetta esclusivamente provare (anche con presunzioni) l’evento dannoso e l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e il danno e, di contro, al custode per andare esente da responsabilità, spetta provare l’esistenza del cd. fortuito, che può concretarsi nella stessa condotta incauta della vittima, ulteriore principio è quello per il quale la condotta della vittima può escludere la responsabilità del custode solo “ove sia colposa ed imprevedibile” (cfr. Cassaz., n25837/2017).

L’idoneità ad interrompere il nesso di causalità può essere, cioè, riconosciuta soltanto in presenza di un fattore estraneo avente i caratteri dell’imprevedibilità ed eccezionalità; in altri termini, quando la condotta della vittima, “rivelandosi come autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile, risulti dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell’evento lesivo” (cfr. Cassaz., 18317/2015). Di conseguenza, l’esclusione della responsabilità del custode, quando questi eccepisca la colpa della vittima, come nella specie, esige una duplice indagine (la colposità e la non prevedibilità della condotta del danneggiato), non essendo all’uopo sufficiente il solo accertamento di una condotta distratta, imprudente e negligente della vittima che può costituire al più un concorso causale colposo ai sensi dell’art. 1227 cod. civ. (Cass. civ. 4035/2021; Cass. n. 25837/2017) da graduare sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull’evento dannoso (Cass. n. 27724/2018; Cass. civ. 30755/2017).

Il fatto che al sinistro abbia contribuito la condotta colposa del guidatore non integra il fortuito che scrimina il custode della cosa: il comportamento del danneggiato può assumere incidenza causale tale da interrompere il nesso eziologico tra la cosa ed il danno “quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale” (cfr. Cassaz., n.9315/2019). Solo la condotta abnorme dell’utente della strada esclude la responsabilità del custode tenuto alla manutenzione ed alla verifica e controllo delle condizioni di scurezza della stessa. Senza che ciò peraltro significhi che la colpa della vittima, ove non risulti idonea ad integrare il caso fortuito, “non possa rivestire rilevanza ai fini risarcitori; ma ciò deve avvenire sotto il diverso profilo dell’accertamento del concorso colposo del danneggiato, valutabile ai sensi dell’art .1227 c.c. sia nel senso di una possibile riduzione del risarcimento, secondo la gravità della colpa del danneggiato e le conseguenze che ne sono derivate (ex art 1227 c.c. comma 1)”. (Cassaz., ord. n.26527/2020).

Ecco perché in caso di danno da insidia stradale “la valutazione del comportamento del danneggiato è di imprescindibile rilevanza” (Cassaz. n.15859/2015), essendo il giudice tenuto a valutare l’incidenza del comportamento imprudente della vittima nel dinamismo causale del danno “fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale” (Cass., sent. n. 24215/2019).

(testo integrale su richiesta)

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