Cessione crediti: Gazzetta Ufficiale non prova tutto, decreto ingiuntivo revocato – Milano 2024
Nel 2024, il Tribunale di Milano si è pronunciato su un caso che solleva importanti questioni in materia di cessione di crediti in blocco e onere probatorio. La controversia mette in luce le sfide che le società cessionarie affrontano nel dimostrare la titolarità dei crediti acquisiti attraverso operazioni di cessione massiva. Quali sono i requisiti probatori richiesti per far valere un credito ceduto in blocco? E come si bilanciano le esigenze di efficienza delle operazioni di cessione con i diritti di difesa dei debitori ceduti? La sentenza offre spunti di riflessione cruciali per operatori del settore e professionisti legali.
INDICE
ESPOSIZIONE DEI FATTI
La vicenda giudiziaria trae origine da un ricorso per decreto ingiuntivo presentato da una società finanziaria (d’ora in avanti “società opposta“) nei confronti di due soggetti, un debitore principale e un coobbligato. La società opposta chiedeva l’ingiunzione di pagamento, in solido, della somma di € 17.733,25, oltre interessi di mora al tasso legale dalla data della domanda fino all’effettivo soddisfo.
A fondamento della propria richiesta, la società ricorrente produceva documentazione attestante:
- La stipula di un contratto di finanziamento per un prestito personale tra una società originaria creditrice e il debitore principale, con assunzione delle obbligazioni anche da parte del coobbligato;
- La cessione pro soluto del credito dalla società originaria creditrice ad una prima società cessionaria, come risultante da un estratto della Gazzetta Ufficiale;
- La successiva cessione pro soluto del credito dalla prima società cessionaria alla società opposta, in forza di un atto del 1° novembre 2021;
- La notifica dell’intervenuta cessione del credito ai debitori, con contestuale intimazione di pagamento, effettuata a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento;
- La maturazione di un saldo debitore in linea capitale di € 17.733,25, come risultante da un estratto conto con certificazione ex art. 50 T.U.B.
Sulla base di tale documentazione, il Tribunale di Milano emetteva decreto ingiuntivo in data 20 dicembre 2022, pubblicato il 5 gennaio 2023, ingiungendo ai debitori il pagamento della somma richiesta, oltre interessi e spese di procedura.
Avverso tale decreto ingiuntivo, entrambi i soggetti ingiunti proponevano opposizione, sollevando diverse eccezioni:
- In via preliminare, eccepivano il difetto di legittimazione attiva in capo alla società opposta per mancanza di prova della titolarità del credito, contestando che non fosse stata dimostrata l’inclusione del credito azionato nelle cessioni in blocco successive;
- Nel merito, il coobbligato disconosceva le firme apposte sulle copie del contratto di finanziamento, in particolare quelle relative all’accettazione delle condizioni generali di contratto e alla clausola sul trattamento dei dati;
- Entrambi gli opponenti eccepivano l’invalidità del contratto per mancata indicazione di luogo e data di stipulazione;
- Veniva inoltre sollevata l’eccezione di decadenza ex art. 1957 c.c., sostenendo che la società opposta avesse agito oltre il termine di sei mesi previsto dalla norma.
Si costituiva in giudizio la società opposta, contestando l’opposizione e deducendo:
- La sufficienza, ai sensi dell’art. 58 T.U.B., della produzione dell’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale per dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario;
- La pacificità dell’inclusione del credito nella cessione in blocco, in quanto non specificamente contestata dagli opponenti;
- La regolarità della notifica delle comunicazioni di cessione e diffida ad adempiere, idonee ad interrompere la prescrizione;
- L’inammissibilità del disconoscimento delle firme, in quanto formulato in maniera generica;
- L’irrilevanza della mancata indicazione di data e luogo di stipulazione del contratto ai fini della sua validità;
- L’inapplicabilità dell’art. 1957 c.c. al caso di specie, trattandosi di coobbligazione e non di fideiussione.
Il giudizio proseguiva con lo svolgimento della fase istruttoria e la concessione dei termini per il deposito delle memorie ex art. 183 c.p.c., giungendo infine alla decisione con sentenza.
NORMATIVA E PRECEDENTI
La controversia in esame coinvolge diversi istituti e norme del diritto civile e bancario, in particolare in materia di cessione del credito, onere della prova e tutela del consumatore. È opportuno quindi analizzare il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento.
In primo luogo, la fattispecie si inquadra nell’ambito della disciplina della cessione dei crediti in blocco, regolata dall’art. 58 del d.lgs. n. 385 del 1993 (Testo Unico Bancario). Tale norma prevede una procedura semplificata per la cessione di rapporti giuridici individuabili in blocco, stabilendo in particolare:
- L’obbligo per la banca cessionaria di dare notizia dell’avvenuta cessione mediante iscrizione nel registro delle imprese e pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (comma 2);
- L’efficacia della cessione nei confronti dei debitori ceduti dal momento della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, in deroga all’art. 1264 c.c. (comma 4).
L’interpretazione di questa norma è stata oggetto di un’evoluzione giurisprudenziale significativa. In passato, si riteneva che la pubblicazione dell’avviso di cessione in Gazzetta Ufficiale fosse sufficiente a provare la titolarità del credito in capo al cessionario. Tuttavia, la più recente giurisprudenza di legittimità ha adottato un orientamento più rigoroso.
In particolare, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24798 del 5 novembre 2020, ha stabilito che “la parte che agisca affermandosi successore a titolo particolare del creditore originario, in virtù di un’operazione di cessione in blocco secondo la speciale disciplina di cui all’art. 58 del d.lgs. n. 385 del 1993, abbia anche l’onere di dimostrare l’inclusione del credito medesimo in detta operazione, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale, salvo che il resistente non l’abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta“.
Questa posizione è stata ulteriormente chiarita dalla Cassazione con l’ordinanza n. 5617 del 28 febbraio 2020, dove si è precisato che gli adempimenti pubblicitari previsti dall’art. 58 TUB “rivestono carattere sostitutivo rispetto alla sola notificazione della cessione al debitore ceduto o alla sua accettazione, di cui alla norma dell’art. 1264 cod. civ. […] Gli stessi, quindi, si pongono su un piano, quello degli adempimenti pubblicitari, nettamente distinto rispetto alla prova del fatto costitutivo della titolarità del credito“.
In sostanza, la Suprema Corte ha chiarito che la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ha la sola funzione di rendere opponibile la cessione ai debitori ceduti, impedendo pagamenti liberatori nelle mani del cedente, ma non costituisce di per sé prova dell’inclusione di uno specifico credito nell’operazione di cessione.
Questo orientamento si inserisce nel più ampio contesto dei principi in materia di onere della prova nel processo civile, disciplinati dall’art. 2697 c.c. Secondo tale norma, chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Nel caso di specie, ciò si traduce nell’onere per il cessionario di dimostrare non solo l’avvenuta cessione in blocco, ma anche l’effettiva inclusione del singolo credito azionato in tale operazione.
Un altro aspetto rilevante della vicenda riguarda la disciplina del foro del consumatore, prevista dall’art. 66-bis del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del Consumo). Tale norma stabilisce l’inderogabilità del foro del luogo di residenza o domicilio del consumatore. Tuttavia, la giurisprudenza ha chiarito che tale inderogabilità opera solo a favore del consumatore, il quale può comunque rinunciarvi. In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 12541 del 20 aprile 2022, affermando che il foro del consumatore “è derogabile da parte del consumatore, anche unilateralmente, con l’introduzione della domanda innanzi al giudice territorialmente competente, ai sensi degli artt. 18, 19 e 20 cod. proc. civ., oppure in forza di una clausola contrattuale, in quanto la competenza prevista dal codice del consumo è inderogabile unicamente ad opera del professionista“.
Infine, è opportuno menzionare la disciplina relativa all’opposizione a decreto ingiuntivo, regolata dagli artt. 645 e ss. c.p.c. La giurisprudenza consolidata (ex multis, Cass., 17 novembre 2003, n. 17371) ha chiarito che tale opposizione dà luogo a un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il creditore opposto conserva la posizione sostanziale di attore, gravato dell’onere di provare il proprio credito.
Questo quadro normativo e giurisprudenziale costituisce la base sulla quale il Tribunale di Milano ha fondato la propria decisione nel caso in esame.
DECISIONE DEL CASO E ANALISI
Il Tribunale di Milano, nella sentenza in esame, ha accolto l’opposizione proposta dai debitori, revocando il decreto ingiuntivo precedentemente emesso. La decisione si basa principalmente sull’accertamento della mancata prova, da parte della società opposta, della titolarità del credito azionato.
In primo luogo, il Tribunale ha affrontato la questione pregiudiziale dell’incompetenza territoriale sollevata d’ufficio in relazione alla posizione del coobbligato, qualificato come consumatore residente in un Comune diverso da Milano. Il giudice ha ritenuto che, nonostante la norma sul foro del consumatore (art. 66-bis del Codice del Consumo) preveda l’inderogabilità della competenza territoriale, tale inderogabilità operi solo a favore del consumatore. Nel caso di specie, le dichiarazioni rese dal difensore del coobbligato, che manifestavano la preferenza per la trattazione unitaria delle opposizioni presso il Tribunale di Milano, sono state interpretate come una deroga all’art. 66-bis, consentendo così la prosecuzione del giudizio.
Entrando nel merito della controversia, il Tribunale ha richiamato i principi espressi dalla recente giurisprudenza di legittimità in materia di onere della prova nelle cessioni di crediti in blocco. In particolare, ha evidenziato come la mera produzione dell’avviso di cessione pubblicato in Gazzetta Ufficiale non sia sufficiente a dimostrare l’inclusione del singolo credito nell’operazione di cessione.
Applicando questi principi al caso concreto, il giudice ha rilevato che la società opposta non ha fornito prova idonea a dimostrare l’inclusione del credito azionato tra quelli oggetto delle due cessioni in blocco che si sono susseguite. In particolare:
- Per quanto riguarda la prima cessione (dalla società originaria creditrice alla prima cessionaria), la società opposta non ha prodotto il contratto di cessione. Inoltre, l’avviso pubblicato in Gazzetta Ufficiale, pur menzionando la società cedente, non conteneva elementi sufficientemente dettagliati per individuare con precisione i crediti oggetto di cessione. La società opposta non ha prodotto documentazione idonea ad attestare che il credito in questione rispondesse effettivamente alle caratteristiche e ai criteri elencati nell’avviso.
- Relativamente alla seconda cessione (dalla prima cessionaria alla società opposta), il Tribunale ha rilevato che il contratto di cessione prodotto era privo di elementi specifici che consentissero di individuare il credito oggetto della causa. Analogamente, l’avviso pubblicato in Gazzetta Ufficiale conteneva solo un elenco di criteri per l’identificazione dei crediti ceduti, senza che la società opposta dimostrasse che il credito in questione rispondesse a tutti i criteri indicati.
- Il Tribunale ha anche esaminato un documento denominato “elenco nominativi cessione” prodotto dalla società opposta, ritenendolo tuttavia inidoneo a fornire adeguata prova dell’inclusione del credito nella cessione, in quanto privo di sottoscrizioni, date e specifici elementi identificativi circa la sua paternità.
Sulla base di queste considerazioni, il giudice ha concluso che la società convenuta opposta non ha provato il trasferimento in proprio favore del credito originariamente vantato dalla società creditrice iniziale nei confronti degli opponenti.
Questa decisione mette in luce l’importanza di una rigorosa verifica della documentazione prodotta nelle cause relative a cessioni di crediti in blocco. Il Tribunale di Milano ha applicato in maniera stringente i principi elaborati dalla Cassazione, richiedendo una prova specifica e dettagliata dell’inclusione del singolo credito nell’operazione di cessione.
La sentenza in esame rappresenta un importante precedente che potrebbe avere significative ripercussioni nel settore delle cessioni di crediti in blocco, in particolare per quanto riguarda le strategie processuali delle società cessionarie. Queste ultime dovranno prestare particolare attenzione alla completezza e specificità della documentazione prodotta in giudizio, non potendo più fare affidamento sulla mera pubblicazione dell’avviso di cessione in Gazzetta Ufficiale.
In conclusione, la sentenza del Tribunale di Milano si inserisce in un filone giurisprudenziale che mira a bilanciare le esigenze di efficienza delle operazioni di cessione in blocco con la tutela dei diritti dei debitori ceduti, richiedendo un livello di prova più elevato alle società cessionarie che intendano far valere in giudizio i crediti acquisiti.
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ESTRATTO DELLA SENTENZA
“Ebbene, nel caso di specie, la società ha agito allegando la propria qualità di cessionaria della società la quale, a sua volta, si era resa cessionaria del credito originariamente vantato dalla nei confronti di e in virtù del contratto di finanziamento stipulato tra le parti (prodotto nel giudizio monitorio come documento n. 3).