Cosa si intende per “ambiente lavorativo stressogeno”: l’orientamento della Cassazione Civile, Sentenza 2024

Cosa si intende per “ambiente lavorativo stressogeno“: l’orientamento della Cassazione Civile, Sentenza 2024

La tutela della salute e della dignità dei lavoratori rappresenta una priorità imprescindibile per un contesto lavorativo sano. Eppure, le condotte vessatorie e gli ambienti tossici rimangono una realtà diffusa. Ma quando si configura esattamente un “ambiente lavorativo stressogeno“? La recente sentenza della Corte di Cassazione (2024) offre importanti chiarimenti su questo spinoso tema, ridefinendo i confini tra condotte lecite ed illecite del datore di lavoro. La questione è cruciale: un ambiente di lavoro stressante può davvero compromettere il benessere psico-fisico del lavoratore, configurando una vera e propria violazione dei suoi diritti fondamentali? Scopriamo gli orientamenti più recenti della Cassazione su questo complesso dilemma giuridico.

INDICE

ESPOSIZIONE DEI FATTI

Il caso trae origine da un contenzioso risalente al 2005, quando una lavoratrice, la signora A.A., subì un provvedimento di trasferimento per “incompatibilità ambientale” presso un altro istituto scolastico dove prestava servizio. Tale trasferimento fu successivamente annullato dal Tribunale di Forlì con la sentenza n. 132/2008, che evidenziò come il Ministero dell’Istruzione non avesse fornito adeguata giustificazione per il suddetto provvedimento.

Dopo questa prima vittoria giudiziaria, la signora A.A. intentò una nuova causa civile nei confronti del Ministero, al fine di ottenere il risarcimento del danno per le presunte vessazioni e condotte persecutorie subite nell’ambiente di lavoro da parte di colleghi e superiori gerarchici. Secondo la lavoratrice, tali comportamenti ostili e discriminatori avrebbero causato gravi ripercussioni sulla sua salute psico-fisica e sulla sua dignità personale.

NORMATIVA E PRECEDENTI

La normativa di riferimento è costituita principalmente dall’art. 2087 del Codice Civile, che impone al datore di lavoro l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori. Questo articolo va letto in combinato disposto con gli artt. 32 e 35 della Costituzione, che tutelano rispettivamente il diritto alla salute e il lavoro in condizioni dignitose.

Numerose convenzioni internazionali, come quelle dell’ONU, dell’OIL e della CEDU, ribadiscono l’importanza di garantire ai lavoratori un ambiente salubre e privo di discriminazioni. Anche la normativa UE e le pronunce della Corte di Giustizia UE e della Corte EDU hanno contribuito a delineare il perimetro dei diritti dei lavoratori.

La giurisprudenza della Cassazione ha elaborato nel tempo dei principi guida sui temi del mobbing e dello straining, configurando due fattispecie distinte ma accomunate dalla violazione dell’art. 2087 c.c.

Il mobbing si realizza quando ricorrono due elementi: l’elemento oggettivo, costituito da una pluralità di comportamenti persecutori e l’elemento soggettivo dell’intento persecutorio nei confronti della vittima (Cass. 21/05/2018, n. 12437). Lo straining, invece, può configurarsi anche in assenza della molteplicità di azioni, qualora vi siano comunque comportamenti scientemente attuati per generare stress nel dipendente (Cass. 10/07/2018, n. 18164).

Più di recente, la Cassazione ha ampliato ulteriormente la nozione di “ambiente lavorativo stressogeno“, inquadrandola come fatto ingiusto idoneo a ledere il diritto fondamentale alla salute del lavoratore, a prescindere dall’accertamento di un intento persecutorio e dalla natura isolata o reiterata delle singole condotte datoriali (Cass. 7/02/2023, n. 3692).

DECISIONE DEL CASO E ANALISI

Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Bologna aveva rigettato il ricorso della signora A.A., ritenendo generiche le allegazioni sulle condotte persecutorie dei colleghi e dei superiori gerarchici, e ravvisando un concorso di colpa della stessa lavoratrice nel deterioramento dei rapporti professionali.

La Corte di Cassazione ha invece accolto il ricorso della signora A.A., censurando la sentenza della Corte d’Appello sotto diversi profili.

In primo luogo, la Suprema Corte ha stigmatizzato l’errore dei giudici di merito nell’aver imputato anche alla lavoratrice le difficoltà relazionali, senza considerare che un “ambiente lavorativo stressogeno” può configurarsi come fatto ingiusto, suscettibile di compromettere la salute psico-fisica del dipendente a prescindere dall’accertamento di un disegno persecutorio unitario.

Inoltre, la Cassazione ha rilevato che la Corte d’Appello non ha adeguatamente valutato e approfondito le risultanze della sentenza n. 132/2008 del Tribunale di Forlì, limitandosi a prendere atto dell’annullamento del trasferimento per incompatibilità ambientale, senza esaminarne le argomentazioni nel contesto complessivo della vicenda.

Anche la considerazione dell’avvenuto annullamento di due sanzioni disciplinari irrogate alla signora A.A. è stata giudicata insufficiente e fuorviante, non essendo stata contestualizzata nell’ambito della condotta complessiva del datore di lavoro.

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Per una comprensione completa della vicenda giudiziaria, ti invitiamo a proseguire con la lettura dell’estratto della sentenza.

ESTRATTO DELLA SENTENZA

*”…5. Per consolidato orientamento di questa Corte la nozione di mobbing (come quella di straining) è una nozione di tipo medico – legale, che non ha autonoma rilevanza ai fini giuridici e serve soltanto per identificare comportamenti che si pongono in contrasto con l’art. 2087 cod. civ. e con la normativa in materia di tutela della salute negli ambienti di lavoro (Cass. 19 febbraio 2016, n. 3291; Cass. n. 32257/2019).

Secondo gli orientamenti maturati presso questa Corte, è configurabile il mobbing lavorativo ove ricorra l’elemento obiettivo, integrato da una pluralità continuata di comportamenti pregiudizievoli per la persona interni al rapporto di lavoro e quello soggettivo dell’intendimento persecutorio nei confronti della vittima (Cass. 21 maggio 2018, n. 12437; Cass. 10 novembre 2017, n. 26684 ), a prescindere dalla illegittimità intrinseca di ciascun comportamento, in quanto la concreta connotazione intenzionale colora in senso illecito anche condotte altrimenti astrattamente legittime, il tutto secondo un assetto giuridico pianamente inquadrabile nell’ambito civilistico, ove si consideri che la determinazione intenzionale di un danno alla persona del lavoratore da parte del datore di lavoro o di chi per lui è in re ipsa ragione di violazione dell’art. 2087 cod. civ. e quindi di responsabilità contrattuale, anche con i maggiori effetti di cui all’art. 1225 cod. civ. per il caso di dolo; è configurabile lo straining, quando vi siano comportamenti stressogeni scientemente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manchi la pluralità delle azioni vessatorie (Cass. 10 luglio 2018, n. 18164).

In materia di tutela della salute nell’ambiente di lavoro, questa Corte ha inoltre chiarito che un “ambiente lavorativo stressogeno” è configurabile come fatto ingiusto, suscettibile di condurre anche al riesame di tutte le altre condotte datoriali allegate come vessatorie, ancorché apparentemente lecite o solo episodiche, in quanto la tutela del diritto fondamentale della persona del lavoratore trova fonte direttamente nella lettura, costituzionalmente orientata, dell’art. 2087 cod. civ. (vedi, tra le altre: Cass. 7 febbraio 2023 n. 3692 e nello stesso senso: Cass. nn. 33639/2022, 33428/2022, 31514/2022).

Si è inoltre affermato che per l’applicazione dell’art. 2087 cod. civ. si deve fare riferimento alla normativa internazionale (soprattutto Convenzioni ONU, OIL e CEDU) e UE e, quindi, alle pronunce delle due Corti europee centrali (CGUE e Corte EDU) e che tale applicazione è caratterizzata dalla necessità di operare un bilanciamento tra il diritto al lavoro e alla salute del dipendente (art. 4 e 32 Cost.) e la libertà di iniziativa economica del datore di lavoro privato (art. 41 Cost.) ovvero per il dato di lavoro pubblico le esigenze organizzative e i limiti di spesa. L’elemento di base di questa operazione è rappresentato dalla adozione come definizione di salute non è quella di “semplice assenza dello stato di malattia o di infermità”, ma quella di “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale” originariamente contenuta nel Preambolo della Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità OMS (oppure World Health Organization, WHO, entrata in vigore il 7 aprile 1948), cui si riferiscono tutte le Carte internazionali in materia – a partire dalla importante Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità – e che è stata espressamente riprodotta nell’art. 2, comma 1, lettera o) del D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81.

6. La sentenza impugnata non è conforme a tali principi, in quanto ha ritenuto le difficoltà relazionali siano imputabili anche alla A.A., senza considerare che l’ “ambiente lavorativo stressogeno” è configurabile come fatto ingiusto, suscettibile di condurre anche al riesame di tutte le altre condotte datoriali allegate come vessatorie pur se non necessariamente viene accertato l’ intento persecutorio che unifica tutte le condotte denunciate (come richiesto solo per il mobbing) ancorché apparentemente lecite o solo episodiche; inoltre, senza operare una precisa e completa ricostruzione del fatto, ha dato atto dell’annullamento del trasferimento della A.A. per incompatibilità ambientale (che, ad avviso della Corte d’appello, risulterebbe dalla sentenza n. 132/2008 del Tribunale di Forlì, richiamata senza alcun chiarimento della relativa della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni ivi svolte e senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame) e dell’annullamento di due sanzioni disciplinari irrogate alla medesima, senza esaminare tali condotte nel contesto complessivo della condotta datoriale…”*

(Corte di cassazione civile, sentenza n. 15957 del 7 giugno 2024)

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