La responsabilità medica in ambito chirurgico rappresenta uno dei temi più delicati e complessi del diritto civile, soprattutto quando emergono complicanze intraoperatorie che, pur essendo note e prevedibili, non vengono gestite secondo le buone pratiche cliniche. La sentenza del Tribunale di Castrovillari che qui si esamina affronta una vicenda di particolare rilevanza per tutti coloro che si sottopongono a interventi chirurgici, anche relativamente routinari come una colecistectomia in videolaparoscopia.
La questione centrale riguarda non tanto il verificarsi della complicanza in sé, quanto piuttosto le scelte terapeutiche successive adottate dall’équipe medica una volta rilevata la lesione iatrogena. Il caso offre spunti di riflessione fondamentali sul dovere del chirurgo di gestire immediatamente le complicanze insorte durante l’intervento, senza delegare ad altre sedi o altre professionalità la soluzione di un problema che avrebbe richiesto un trattamento chirurgico immediato.
La vicenda processuale trae origine da un intervento di videolaparocolecistectomia eseguito presso una struttura ospedaliera pubblica, durante il quale si è verificata una lesione del dotto epatico di destra. Nonostante la complicanza fosse stata riconosciuta e descritta nel referto operatorio, essa non è stata affrontata in sede chirurgica ma è stata affidata a una soluzione endoscopica successiva, scelta che si è rivelata inadeguata e ha comportato ulteriori complicanze per la paziente.
Il Tribunale calabrese, con una motivazione particolarmente accurata e supportata da un approfondito accertamento tecnico, ha riconosciuto la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria convenuta, condannandola al risarcimento dei danni biologici permanenti e temporanei subiti dalla paziente.
Indice
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI
La vicenda clinica oggetto della pronuncia giudiziale ha avuto inizio quando una paziente si è rivolta a una struttura ospedaliera pubblica per sottoporsi a un intervento di videolaparocolecistectomia, tecnica chirurgica ormai consolidata per il trattamento della calcolosi della colecisti. L’intervento, eseguito nell’autunno del 2012, rientra tra quelli considerati di routine nella pratica chirurgica moderna, caratterizzati da una tecnica mini-invasiva che consente un recupero più rapido rispetto alla chirurgia tradizionale a cielo aperto.
Durante l’esecuzione dell’intervento, tuttavia, si è verificata una complicanza intraoperatoria consistita nella lesione iatrogena del dotto epatico di destra, una delle vie biliari principali. Tale complicanza, pur essendo nota, prevedibile e persino specificata nel consenso informato sottoscritto dalla paziente, richiede una gestione immediata e appropriata secondo i protocolli e le linee guida della chirurgia bilio-pancreatica. La lesione delle vie biliari durante una colecistectomia videolaparoscopica rappresenta infatti una delle complicanze più temute, proprio perché può determinare conseguenze gravi se non trattata tempestivamente e correttamente.
Il dato più significativo della vicenda è rappresentato dalla scelta gestionale operata dall’équipe chirurgica. La lesione è stata riconosciuta e descritta nel referto operatorio, ma non è stata affrontata in sede chirurgica durante lo stesso intervento. I sanitari hanno invece optato per una soluzione che delegava ad altra sede, ad altre professionalità e ad altra metodologia, specificamente quella endoscopica, la risposta terapeutica. In sostanza, è stata lasciata beante la lesione della via biliare con l’aspettativa che un successivo trattamento endoscopico potesse risolvere il problema.
Tale decisione si è rivelata inadeguata. La paziente è stata dimessa dall’ospedale ma ha dovuto affrontare nei mesi successivi una serie di complicanze gravi che hanno richiesto ulteriori ricoveri e interventi. Tra le complicanze si sono manifestate colangiti, ovvero infezioni delle vie biliari, microascessi epatici evidenziati attraverso risonanza magnetica, e stenosi del dotto epatico. Tali eventi hanno esposto la donna a rischi significativi per la sua salute, prolungando notevolmente i tempi di guarigione e richiedendo interventi sempre più complessi.
Solo dopo essere stata trasferita presso un centro di alta specialità in chirurgia epato-biliare, la paziente ha potuto ricevere il trattamento adeguato. Inizialmente è stato necessario un drenaggio trans-parieto-epatico per controllare le complicanze settiche. Successivamente, a distanza di oltre due anni dall’intervento iniziale, è stato eseguito un complesso intervento chirurgico di derivazione bilio-digestiva, consistente in un’anastomosi manuale latero-laterale tra il dotto epatico destro e un’ansa digiunale. Solo con questo ultimo intervento, eseguito nel 2014, la paziente ha finalmente ottenuto la risoluzione del problema originario.
La donna ha quindi intrapreso un’azione legale nei confronti della struttura sanitaria presso la quale era stato eseguito il primo intervento, chiedendo il risarcimento di tutti i danni subiti.
NORMATIVA E PRECEDENTI
Il quadro normativo di riferimento della controversia si fonda sui principi generali della responsabilità contrattuale nell’ambito delle prestazioni sanitarie. La giurisprudenza consolidata ha da tempo qualificato il rapporto tra paziente e struttura sanitaria come un vero e proprio contratto atipico a prestazioni corrispettive, che sorge dal cosiddetto contatto sociale anche di mero fatto.
In applicazione di tale qualificazione giuridica, la responsabilità della struttura sanitaria viene ricondotta all’articolo 1218 del codice civile, che disciplina l’inadempimento delle obbligazioni. Tale responsabilità può conseguire sia all’inadempimento delle obbligazioni direttamente a carico della struttura, come quelle relative all’organizzazione dei servizi e all’apprestamento delle attrezzature necessarie, sia all’inadempimento della prestazione medico-professionale svolta direttamente dal sanitario quale ausiliario necessario della struttura, in virtù del richiamo contenuto nell’articolo 1228 del codice civile.
Quest’ultima disposizione prevede infatti che il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si vale dell’opera di terzi risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro. Ne consegue che la struttura sanitaria risponde dell’operato dei medici di cui si avvale per svolgere la propria attività, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e a nulla rilevando la specifica natura del rapporto struttura-medico. La giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito che è sufficiente un collegamento tra la prestazione effettuata dal sanitario e l’organizzazione aziendale della struttura.
Per quanto concerne la ripartizione dell’onere probatorio, occorre fare riferimento ai principi enunciati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la fondamentale sentenza numero 577 del 2008. Secondo tale orientamento, il paziente che agisce per il risarcimento del danno è tenuto a provare l’esistenza del contratto o del contatto sociale con la struttura sanitaria, nonché l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento chirurgico. Deve inoltre dimostrare il nesso di causalità tra l’azione o l’omissione dei sanitari e il danno subito, secondo il criterio del più probabile che non, ispirato alla regola della normalità causale.
Il paziente può invece limitarsi ad allegare, senza provare, l’inadempimento dei sanitari, purché si tratti di un inadempimento qualificato, ossia astrattamente efficiente alla produzione del danno. Spetta viceversa alla struttura sanitaria o al medico, che intenda liberarsi dall’obbligazione risarcitoria, l’onere di provare di aver correttamente adempiuto alle proprie obbligazioni, ovvero che gli esiti dannosi siano derivati da un evento imprevisto o imprevedibile, non imputabile o non riconducibile alla condotta sanitaria.
La Corte di Cassazione ha ulteriormente precisato, con successive pronunce, che la causa incognita resta a carico del danneggiato relativamente all’evento dannoso, mentre resta a carico del danneggiante relativamente alla possibilità di adempiere. Tale ripartizione costituisce precipitato logico dell’articolo 2967 del codice civile: la causalità relativa all’evento e al danno è fatto costitutivo del diritto, mentre la causalità relativa all’impossibilità di adempiere o alla diligenza nell’adempimento è fatto estintivo del diritto. Di conseguenza, se il danneggiato dimostra che la patologia è riconducibile a un dato intervento chirurgico, grava sulla struttura sanitaria l’onere di provare che l’intervento ha determinato la patologia per una causa imprevedibile e inevitabile, la quale ha reso impossibile l’esecuzione esperta dell’intervento medesimo.
Particolarmente rilevante per il caso in esame è la disciplina della responsabilità medica ratione temporis applicabile. La sentenza richiama espressamente la pronuncia della Corte di Cassazione numero 28994 del 2019, con la quale è stato chiarito che per i fatti avvenuti prima dell’entrata in vigore della legge numero 24 del 2017, cosiddetta legge Gelli-Bianco, continua ad applicarsi il regime della responsabilità contrattuale derivante da contatto sociale. Le disposizioni introdotte dalla legge del 2017, che hanno modificato il quadro normativo qualificando come extracontrattuale la responsabilità del singolo sanitario, non hanno efficacia retroattiva e non si applicano ai procedimenti già in corso relativi a fatti verificatisi in epoca precedente.
Il Tribunale ha inoltre richiamato il principio del judex peritus peritorum, secondo cui il giudice di merito non è vincolato alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, ma può disattenderne le argomentazioni quando ritenga di avere acquisito, attraverso studi o ricerche personali ovvero mediante l’esame diretto della documentazione, elementi per giungere a conclusioni diverse.
DECISIONE DEL CASO E ANALISI
Il Tribunale di Castrovillari, dopo aver preliminarmente dichiarato la contumacia di uno dei convenuti che non si era costituito in giudizio nonostante la regolare notifica dell’atto di citazione, è entrato nel merito della controversia accogliendo la domanda risarcitoria proposta dalla paziente nei limiti indicati nella motivazione.
La decisione si fonda in via determinante sulle conclusioni del collegio peritale nominato nell’ambito del procedimento di accertamento tecnico preventivo, le cui risultanze sono state ritenute pienamente utilizzabili nel giudizio di merito. Il Tribunale ha infatti confermato che l’elaborato peritale, essendo stato depositato nel fascicolo del procedimento cautelare e successivamente acquisito agli atti del giudizio ordinario, poteva e doveva essere utilizzato per valutare la sussistenza della responsabilità medica, senza necessità di alcuna rinnovazione o integrazione dello stesso.
