L’interdizione è residuale rispetto all’amministrazione di sostegno (Tribunale Lecce, sentenza n. 1831/2022)

L’interdizione è residuale rispetto all’amministrazione di sostegno

Tribunale di Lecce, sentenza n. 1831/2022:

MOTIVI DELLA DECISIONE

Com’è noto, il Tribunale può desumere anche soltanto dall’esame del soggetto interdicendo gli elementi di convincimento sufficienti ai fini della relativa pronuncia costituendo tale esame il mezzo più importante di indagine in tema di interdizione. […]

Nessun dubbio dunque in ordine alla serietà e gravità delle patologie da cui è affetta la convenuta, tali da conclamarne manifestamente la di lei totale incapacità di intendere e di volere.

Si deve dunque verificare se nel caso concreto tanto è sufficiente a giustificare l’invocata pronunzia d’interdizione, atteso il carattere esclusivamente residuale che, per orientamento giurisprudenziale pressoché consolidato, va attribuito a detto istituto.

Del resto, dopo l’introduzione dell’amministrazione di sostegno, anche il giudice delle leggi (v. sentenza 9.12.2005 n.440 della Corte Costituzionale), nel tracciare una sorta di regolamento di confini tra le varie misure apprestate dal nostro ordinamento a tutela di soggetti incapaci, ha affermato che “la complessiva disciplina inserita dalla legge n. 6 del 2004 sulle preesistenti norme del codice civile affida al giudice il compito di individuare l’istituto che, da un lato, garantisca all’incapace la tutela più adeguata alla fattispecie e, dall’altro, limiti nella minore misura possibile la sua capacità; e consente, ove la scelta cada sull’amministrazione di sostegno, che l’ambito dei poteri dell’amministratore sia puntualmente correlato alle caratteristiche del caso concreto”. Per concludere: “Solo se non ravvisi interventi di sostegno idonei ad assicurare all’incapace siffatta protezione, il giudice può ricorrere alle ben più invasive misure dell’inabilitazione o dell’interdizione”.

La Suprema Corte, poi, con ripetute pronunce (cfr. Cass.,nn.13584/2006; 25366/2006; 9628/2009; 17421/2009; 4866/2010) ha posto l’accento sul carattere elastico dell’amministrazione di sostegno, avendo inteso predisporre il legislatore con essa uno strumento suscettibile di essere “modellato a misura delle esigenze del caso concreto”, sottolineando che la distinzione tra la nuova misura e quelle previgenti dell’interdizione e dell’inabilitazione, non può essere condotta sulla base del profilo quantitativo, ossia con riguardo al maggiore o minor grado di infermità, bensì sotto il profilo funzionale.

Anche in presenza di patologie particolarmente gravi, può essere sufficiente dunque il ricorso all’amministrazione di sostegno, perché – si ripete – unicamente la specificità e le esigenze del caso concreto devono informare la scelta del giudice tra i tre istituti di cui innanzi, “con l’avvertenza che quello della interdizione ha comunque carattere residuale,intendendo il legislatore riservarlo, in considerazione della gravità degli effetti che da esso derivano, a quelle ipotesi in cui nessuna efficacia protettiva sortirebbe una diversa misura”.

Assume perciò rilievo preminente nella scelta, da rinnovare di volta in volta, “il tipo di attività che deve essere compiuta in nome del beneficiario della protezione. Ad un’attività minima, estremamente semplice, e tale da non rischiare di pregiudicare gli interessi del soggetto – vuoi per la scarsa consistenza del patrimonio disponibile, vuoi per la semplicità delle operazioni da svolgere (attinenti, ad esempio, alla gestione ordinaria del reddito da pensione), e per l’attitudine del soggetto protetto a non porre in discussione i risultati dell’attività di sostegno nei suoi confronti – e, in definitiva, ad una ipotesi in cui non risulti necessaria una limitazione generale della capacità del soggetto, corrisponderà l’amministrazione di sostegno, che si fa preferire non solo sul piano pratico, in considerazione dei costi meno elevati e delle procedure più snelle, ma altresì su quello etico – sociale, per il maggior rispetto della dignità dell’individuo che … essa sottende, in contrapposizione alle più invasive misure dell’inabilitazione e dell’interdizione, che attribuiscono uno status di incapacità, concernente, nel primo caso, i soli atti di straordinaria amministrazione, ed estesa, per l’interdizione, anche a quelli di amministrazione ordinaria. Detto status non è, invece, riconoscibile in capo al beneficiario dell’amministrazione di sostegno, al quale viene comunque assicurata la possibilità di compiere, ove ne sia in grado, quelle attività nelle quali si estrinseca la c.d. contrattualità minima, attraverso il riconoscimento allo stesso, a norma dell’art. 409 comma 2 c.c., della possibilità di compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana” (così Cass., n. 9628/2009).

Ancora da ultimo (Cass., n.22332 del 26.10.2011) è stato ribadito che “il criterio fondamentale che deve guidare la scelta del giudice va individuato…con riguardo alla maggiore capacità di tale strumento di adeguarsi alle esigenze del soggetto carente di autonomia, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della procedura applicativa”. Senza escludere però che “come ulteriore criterio…il giudice può considerare anche la gravità e la durata della malattia, ovvero la natura e la durata dell’impedimento, nonché tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie”.

Tanto premesso, va dato atto che trattandosi nel caso in esame di un soggetto anche se in giovane età, del tutto privo di autonomia, non solo incapace di provvedere ai propri interessi, ma neanche in grado di compiere da solo i normali atti della vita quotidiana (lavarsi, nutrirsi, riposare, muoversi ecc. ecc.) e che la natura e lo stato della malattia non consentono ragionevolmente prognosi di futuri miglioramenti, l’adozione di una misura diversa da quella richiesta, oltre a non apparire giustificata riguardo agli effetti, non venendo in rilievo evidentemente nella specie la scelta di una forma di tutela che “limiti nella minore misura possibile la capacità del soggetto”, rischierebbe di lasciare il convenuto privo di adeguata protezione.

E’ necessaria nella specie, infatti, una tutela piena e assoluta, estesa ad ogni aspetto della vita quotidiana dell’incapace, con particolare riguardo alla cura della persona ed al soddisfacimento adeguato delle minime esigenze vitali (nutrimento, pulizia ecc.ecc.), nonché al controllo ed all’osservanza delle terapie mediche necessarie e soprattutto alla prestazione dei relativi consensi.

Protezione questa che l’amministrazione di sostegno di certo non è idonea a garantire, tanto più che “in nessun caso i poteri dell’amministratore possono coincidere integralmente con quelli del tutore o curatore”. […]

Avv. Cosimo Montinaro

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