Morte del neonato: il Tribunale di Lecce esclude il danno tanatologico (sentenza n. 1628/2022)

Risarcimento danno tanatologico o da morte (Tribunale Lecce, sentenza n. 1628/2022)

Nel caso sottoposto al vaglio del Tribunale di Lecce, veniva avanzata domanda risarcitoria per il decesso di una neonata avvento, tredici giorni dopo il parto, presso l’Ospedale “F. Ferrari” di Casarano.

Il Tribunale di Lecce, con sentenza n. 1628/2022, pubblicata il 01.06.2022, rigettava, tra l’altro, la domanda di risarcimento danno da morte o tanatologico avanzata dagli attori ritenendo evidente che, nel caso di specie, la minore deceduta fosse stata del tutto incosciente e inconsapevole dal momento della nascita al momento del decesso, verificatosi pochi giorni dopo il parto, così da non aver potuto subire alcun patimento interiore”.

Estratto sentenza Tribunale di Lecce n. 1628/2022, pubblicata il 01.06.2022

[…] danno tanatologico

In materia di danno non patrimoniale, in caso di morte cagionata da un illecito, nel periodo di tempo interposto tra la lesione e la morte ricorre il danno biologico terminale, cioè il danno biologico “stricto sensu” (ovvero danno al bene “salute”), al quale, nell’unitarietà del “genus” del danno non patrimoniale, può aggiungersi un danno morale peculiare improntato alla fattispecie (“danno morale terminale”), ovvero il danno da percezione, concretizzabile sia nella sofferenza fisica derivante dalle lesioni, sia nella sofferenza psicologica (agonia) derivante dall’avvertita imminenza dell'”exitus”, se nel tempo che si dispiega tra la lesione ed il decesso la persona si trovi in una condizione di “lucidità agonica”, in quanto in grado di percepire la sua situazione ed in particolare l’imminenza della morte, essendo quindi irrilevante, a fini risarcitori, in tale ipotesi, il lasso di tempo intercorso tra la lesione personale ed il decesso” (Cass. n. 23153/2019); ancora, “in tema di danno non patrimoniale risarcibile in caso di morte causata da un illecito, il danno morale terminale e quello biologico terminale si distinguono, in quanto il primo (danno da lucida agonia o danno catastrofale o catastrofico) consiste nel pregiudizio subìto dalla vittima in ragione della sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l’ineluttabile approssimarsi della propria fine ed è risarcibile a prescindere dall’apprezzabilità dell’intervallo di tempo intercorso tra le lesioni e il decesso, rilevando soltanto l’intensità della sofferenza medesima; mentre il secondo, quale pregiudizio alla salute che, anche se temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, sussiste, per il tempo della permanenza in vita, a prescindere dalla percezione cosciente della gravissima lesione dell’integrità personale della vittima nella fase terminale della stessa, ma richiede, ai fini della risarcibilità, che tra le lesioni colpose e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo. Dai pregiudizi risarcibili “iure hereditatis” si differenzia radicalmente il danno da perdita del rapporto parentale che spetta “iure proprio” ai congiunti per la lesione della relazione parentale che li legava al defunto e che è risarcibile se sia provata l’effettività e la consistenza di tale relazione, ma non anche il rapporto di convivenza, non assurgendo quest’ultimo a connotato minimo di relativa esistenza” (Cass. n. 21837/2019).

Ancora più di recente, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 5448/2020, ha avuto modo di argomentare che “le espressioni “danno biologico terminale”, “danno tanatologico”, “danno catastrofale” non corrispondono ad alcuna categoria giuridica, ma possono avere al massimo un valore descrittivo, e cioè possono essere utilizzate come “mera sintesi descrittiva” (conf. Cass. 18056/2019 e Cass. S.U. 15350/2015) e che vada, inoltre, ribadita l’irrilevanza della qualificazione dell’obbligo risarcitorio quale sanzione civilistica per il reato, atteso la progressiva autonomia della disciplina della responsabilità civile dalla responsabilità penale e la “obliterazione della funzione sanzionatoria e di deterrenza… e l’affermarsi della funzione reintegratoria e riparatoria (oltrechè consolatoria)” (Cass. S.U. 15350/2015).

Secondo i giudici di legittimità, la perdita della vita, di per sè non risarcibile quale danno subito in proprio dalla persona deceduta in caso di decesso immediato o dopo pochissimo tempo dalle lesioni riportate (Cass. S.U. 15350/2015, v. anche Cass. 14940/2016), va risarcita, nel caso di decesso avvenuto dopo un apprezzabile lasso di tempo dalle lesioni (ipotesi in questione), sotto il duplice profilo del danno biologico c.d. terminale e del danno morale terminale.

Nell’unitarietà del “genus” del danno non patrimoniale, tuttavia, può talora aggiungersi a siffatto “danno biologico terminale” anche un peculiare danno morale, ovvero il danno consistente nella sofferenza provocata dalla consapevolezza di dovere morire (c.d. “danno morale terminale” o “danno da lucida agonia” o “danno catastrofale o catastrofico”).

Conclusivamente, per la citata pronuncia, “detto “danno morale terminale”, si risolve nella “paura di dover morire, provata da chi abbia patito lesioni personali e si renda conto che esse saranno letali” ed è un danno non patrimoniale risarcibile soltanto se la vittima sia stata in grado di comprendere che la propria fine era imminente, sicchè, in difetto di tale consapevolezza, non è nemmeno concepibile l’esistenza del danno in questione, a nulla rilevando che la morte sia stata effettivamente causata dalle lesioni (conf. Cass. 13547/2014); in tal caso, infatti, il danno risarcibile è rappresentato non dalla perdita delle attività cui la vittima si sarebbe dedicata se fosse rimasta sana, ma da una sensazione dolorosa, sicchè, al contrario del danno alla salute, l’esistenza stessa del pregiudizio in esame presuppone che la vittima sia cosciente, atteso che se la vittima non è consapevole della fine imminente non è nemmeno concepibile che possa prefigurarsela ed addolorarsi per essa” (Cass. n. 5448/2020).

Appare evidente che, nel caso di specie, essendo la minore del tutto incosciente e inconsapevole dal momento della nascita al momento del decesso, verificatosi pochi giorni dopo il parto, non abbia subito alcun patimento interiore, così come teorizzato dalle summenzionate pronunce, sicché tale voce di danno non può essere liquidata […]

Avv. Cosimo Montinaro

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