La Corte di Cassazione, con un’importante pronuncia in materia di responsabilità civile per incidenti stradali, ha affrontato un caso riguardante l’investimento di un pedone su una strada priva di marciapiede, stabilendo principi fondamentali sull’applicazione dell’art. 1227 del Codice Civile in relazione al concorso di colpa della vittima. La sentenza evidenzia la necessità di una motivazione adeguata e logica quando si accerta un concorso di responsabilità, censurando l’illogicità dell’affermazione secondo cui percorrere una strada a senso unico priva di marciapiede rappresenterebbe una violazione delle ordinarie norme prudenziali tale da giustificare una corresponsabilità paritaria del pedone nel sinistro.
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Indice
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
ESPOSIZIONE DEI FATTI
Il caso origina da un sinistro stradale avvenuto nel 2009 in un comune italiano, quando un pedone, mentre percorreva a piedi una via, fu investito da un autoveicolo rimasto sconosciuto che lo colpì da tergo con lo specchietto laterale sinistro. Il danneggiato, a seguito dell’incidente, conveniva in giudizio davanti al Giudice di Pace di Nola Assicurazioni Generali Spa, nella qualità di impresa designata per il Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti. Il procedimento di primo grado si concludeva con una sentenza che riconosceva al pedone un risarcimento parziale, attribuendogli una corresponsabilità nella causazione del sinistro per aver proceduto dando le spalle ai veicoli in circolazione.
Più specificamente, il Giudice di Pace di Nola, con sentenza del 2012, condannava la compagnia assicurativa al pagamento di Euro 2.099,92 in favore dell’attore, riducendo l’importo originariamente richiesto in considerazione del concorso colposo attribuito al pedone. Il giudice di prime cure, pur nell’impossibilità di stabilire con precisione l’incidenza delle singole colpe nella causazione dell’evento dannoso, riconosceva “il concorso di colpa nella misura del 50% a carico del conducente il veicolo rimasto ignoto”, attribuendo implicitamente una corrispondente percentuale di responsabilità anche al pedone. Questa decisione si fondava essenzialmente sulla considerazione che il danneggiato avesse tenuto una condotta imprudente, procedendo con le spalle rivolte ai veicoli in circolazione.
Non soddisfatto dell’esito del giudizio di primo grado, il pedone proponeva appello al Tribunale di Nola, contestando specificamente l’attribuzione del concorso di colpa e richiedendo una diversa valutazione della propria condotta in relazione alla dinamica dell’incidente. Il Tribunale, con sentenza del 2021, rigettava tuttavia l’appello, confermando integralmente la decisione del Giudice di Pace e gravando l’appellante delle spese del grado di giudizio in favore della compagnia assicurativa costituita. Nella pronuncia d’appello, il giudice di secondo grado precisava che la valutazione del concorso colposo operata dal primo giudice era avvenuta in applicazione dell’art. 1227 del Codice Civile e non dell’art. 2054, comma secondo, del medesimo codice, e confermava la corresponsabilità in misura paritaria a carico del pedone “per essersi posto in marcia lungo una strada a senso unico e priva di marciapiede volgendo le spalle alle vetture che sopraggiungevano da tergo“.
NORMATIVA E PRECEDENTI
La sentenza della Cassazione si inquadra in un preciso contesto normativo e giurisprudenziale, facendo riferimento principalmente a due disposizioni fondamentali del Codice Civile: l’art. 1227, che disciplina il concorso del fatto colposo del creditore nella causazione del danno, e l’art. 2054, che regola la responsabilità per la circolazione dei veicoli. Il rapporto tra queste due norme rappresenta un tema classico della giurisprudenza in materia di sinistri stradali, soprattutto quando è coinvolto un pedone.
L’articolo 1227, comma primo, del Codice Civile prevede che “Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate“. Come chiarito dalla Corte di Cassazione, questa disposizione contiene una regola di causalità giuridica specifica che dà rilievo alle concause e incide sia sull’an, riducendo la responsabilità del debitore, sia sul quantum del risarcimento. La corretta applicazione di tale norma richiede un doppio scrutinio comparativo delle condotte colpose e dell’entità delle conseguenze derivate da quella ascrivibile al creditore.
L’articolo 2054 del Codice Civile, invece, disciplina la responsabilità per i danni causati dalla circolazione di veicoli, stabilendo al primo comma una presunzione di colpa a carico del conducente per i danni prodotti a persone o cose e prevedendo al secondo comma una presunzione di pari responsabilità in caso di scontro tra veicoli. La giurisprudenza ha costantemente affermato che la presunzione di colpa a carico del conducente non esclude la possibilità di accertare un concorso colposo del danneggiato, ai sensi dell’art. 1227 cod. civ., ma tale accertamento deve essere condotto con particolare attenzione alle circostanze concrete del caso.
La Suprema Corte, nella sentenza in esame, richiama diversi precedenti giurisprudenziali che hanno delineato i principi applicabili in materia di valutazione del concorso di colpa nei sinistri stradali. In particolare, viene richiamata la sentenza n. 842 del 17 gennaio 2020 della Terza Sezione, che ha affermato come la presunzione di colpa a carico del conducente investitore non precluda l’indagine sull’imprudenza e pericolosità della condotta del pedone investito, pur precisando che tale statuizione era stata resa in una vicenda in cui era emerso un “anomalo comportamento del pedone – seduto di notte su strada non illuminata“.
Di particolare rilevanza è anche il riferimento alla recente pronuncia n. 2433 del 25 gennaio 2024, sempre della Terza Sezione, che ha ribadito come in materia di responsabilità da sinistri stradali, in caso di investimento di un pedone, la lettura combinata dell’art. 2054 cod. civ. – che pone la regola secondo cui la prevenzione è prevalentemente a carico del conducente del veicolo investitore – e dell’art. 1227 cod. civ. esiga da parte del giudice di merito uno specifico accertamento delle rispettive colpe in relazione alla particolarità del caso concreto.
DECISIONE DEL CASO E ANALISI
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5594 del 3 marzo 2025, ha accolto il ricorso del pedone, censurando la sentenza impugnata sotto due profili fondamentali: la carenza di motivazione e l’illogicità della stessa. I giudici di legittimità hanno esaminato in modo approfondito il primo motivo di ricorso, con cui il ricorrente denunciava la violazione degli artt. 115 e 132, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ., lamentando che il Tribunale avesse ritenuto il concorso colposo a suo carico sulla base di una motivazione apparente ed illogica.
In primo luogo, la Suprema Corte ha rilevato che la sentenza impugnata presentava un difetto di motivazione in relazione all’applicazione dell’art. 1227 cod. civ., poiché dalla motivazione non era percepibile il fondamento della decisione che aveva portato alla conferma dell’uguale apporto concausale a carico del pedone. Il Tribunale, infatti, si era limitato ad enunciare la colpa del pedone nella misura del 50%, condividendo la valutazione effettuata in primo grado in ordine al contegno tenuto dal pedone, senza procedere alla necessaria comparazione delle condotte colpose e delle entità delle conseguenze.
La Cassazione ha chiarito che l’applicazione dell’art. 1227 cod. civ. impone al giudice di comparare la colpa della vittima con quella dell’offensore, valutando quale tra le due sia stata più grave in riferimento all’altra e quale abbia apportato il contributo causale prevalente rispetto all’avverarsi del danno. Tale valutazione deve essere condotta in via ipotetica e con giudizio controfattuale, ipotizzando quale danno si sarebbe verificato se solo uno dei due soggetti coinvolti avesse tenuto la condotta alternativa corretta, e ripetendo poi l’operazione a parti invertite.
In secondo luogo, la Corte ha rilevato l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata, in quanto il Tribunale aveva ravvisato una corresponsabilità del 50% in capo al pedone per il solo fatto di aver percorso una strada a senso unico e priva di marciapiede volgendo le spalle alle vetture che sopraggiungevano da tergo, ritenendo che tali caratteristiche della strada “avrebbero dovuto sconsigliarne l’utilizzo da parte del pedone, secondo le ordinarie norme prudenziali“. Questa affermazione è stata giudicata dalla Cassazione come “del tutto apodittica e contraria ad ogni logica“, tale da rendere la pur esistente motivazione “sostanzialmente apparente“.
La Suprema Corte ha quindi accolto il primo motivo di ricorso, dichiarando assorbiti i restanti motivi, e ha cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa al Tribunale di Nola, in persona di diverso magistrato, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità. Il giudice del rinvio dovrà procedere a una nuova valutazione delle rispettive condotte colpose, tenendo conto dei principi enunciati dalla Cassazione e procedendo a una adeguata motivazione che renda percepibile il fondamento della decisione.
ESTRATTO DELLA SENTENZA
“La sentenza oggetto di impugnazione si espone ad un primo rilievo critico, poiché, nell’applicazione dell’art. 1227 cod. civ., dalla motivazione non è percepibile il fondamento della decisione, che ha portato alla conferma dell’uguale apporto concausale a carico del pedone. […] La sentenza impugnata, pertanto, si espone ad un secondo rilievo critico, afferente al piano della illogicità della motivazione, poiché nella specie la motivazione poggia su affermazioni illogiche e meramente assertive, in quanto il Tribunale ha ravvisato in capo al pedone una corresponsabilità del 50%, evidenziando che lo stesso si era posto in marcia lungo una strada a senso unico e priva di marciapiede volgendo le spalle alle vetture che sopraggiungevano e ritenendo che tali caratteristiche della strada “avrebbero dovuto sconsigliarne l’utilizzo da parte del pedone, secondo le ordinarie norme prudenziali”, affermazione, questa, del tutto apodittica e contraria ad ogni logica, così da rendere la pur esistente motivazione sostanzialmente apparente.”
(Corte di Cassazione, n. 5594/2025)