Sentenza Cassazione n. 2438/2024: valore probatorio del CID

Sentenza Cassazione n. 2438/2024: valore probatorio del CID

Cassazione, ordinanza n. 2438 del 25/01/2024

In materia di responsabilità da sinistro stradale, ogni valutazione sulla portata confessoria del modulo di constatazione amichevole d’incidente (cosiddetto C.I.D.) deve ritenersi preclusa dall’esistenza di un’accertata incompatibilità oggettiva tra il fatto come descritto in tale documento e le conseguenze del sinistro come accertate in giudizio; varrà in particolare sottolineare come sia stata fatta salva – nella giurisprudenza della Suprema Corte – la possibilità per il giudice di merito di accertare che la dichiarazione resa nel modulo di contestazione amichevole di incidente sia incompatibile con la dinamica del sinistro, e ciò proprio alla luce dell’entità dei danni riportati dai veicoli, della situazione dei luoghi, ecc. La verifica di tale incompatibilità logica si pone come una sorta di momento antecedente rispetto all’esistenza ed alla valutazione della dichiarazione confessoria contenuta nel CID, fermo, peraltro, restando che essa resterebbe oggetto, comunque, di libera valutazione nei confronti dell’assicuratore, ai sensi dell’art. 2733, terzo comma, cod. civ., e dell’art. 23 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, nonché della sentenza 5 maggio 2006, n. 10311, delle Sezioni Unite della Suprema Corte”.


La Cassazione, con la sentenza n. 2438 del 25 gennaio 2024 (testo integrale in calce), ha affrontato un caso di ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Brescia che aveva confermato la decisione di primo grado di rigettare la domanda di risarcimento danni proposta dalla S.C. Srl nei confronti di A.A. in relazione ad un sinistro stradale.

Un caso emblematico

Al centro della controversia vi era il valore probatorio del modello di constatazione amichevole di incidente (CID) sottoscritto da entrambe le parti coinvolte nel sinistro. La ricorrente sosteneva che il CID doveva essere considerato prova decisiva ai fini dell’accertamento della responsabilità del A.A., mentre la Corte d’Appello aveva ritenuto che le risultanze delle consulenze tecniche d’ufficio espletate in altro giudizio fossero prevalenti.

La pronuncia della Cassazione

La Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello. La Suprema Corte ha chiarito che:

  • Il CID non ha valore di prova legale: la sua presunzione di veridicità può essere superata in caso di accertata incompatibilità oggettiva tra il fatto come descritto nel modulo e le conseguenze del sinistro accertate in giudizio.
  • Le consulenze tecniche d’ufficio espletate in altro giudizio sono ammissibili e valutabili dal giudice civile: la mancata partecipazione del A.A. al giudizio a quo non preclude la valutazione di tali consulenze.

Le implicazioni della sentenza

La sentenza in esame ha importanti implicazioni per tutti i casi in cui si controverte in materia di risarcimento danni da sinistro stradale. Essa chiarisce che il CID non è una prova inoppugnabile e che il giudice può disattenderlo se le risultanze istruttorie del giudizio lo impongono. Inoltre, la sentenza conferma l’ammissibilità e la valutabilità delle consulenze tecniche d’ufficio espletate in altro giudizio, anche in assenza di contraddittorio con le parti del giudizio in corso.

In sintesi

La Cassazione ha riaffermato il principio di non assolutezza del CID, sottolineando l’importanza del vaglio critico del giudice in relazione a tutte le risultanze probatorie acquisite nel corso del giudizio.

Avv. Cosimo Montinaro

(avvocato infortunistica stradale)


Cassazione, Sez. III, Ordinanza n. 2438 del 25/01/2024

Svolgimento del processo

con sentenza resa data 30/10/2020, la Corte d’appello di Brescia ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni proposto dalla S.C. Srl nei confronti A.A. in relazione al sinistro stradale dedotto in giudizio, in occasione del quale, secondo la società attrice, il A.A. avrebbe urtato, con la propria autovettura, quella di proprietà della S.C. Srl in violazione del dovere di precedenza spettante a quest’ultima;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato la correttezza della decisione assunta dal giudice di primo grado nella parte in cui ha ritenuto prevalente, rispetto alla costatazione amichevole di incidente redatta dai protagonisti del sinistro nell’immediatezza del fatto, le risultanze delle consulenze tecniche d’ufficio disposte nel corso del diverso giudizio in precedenza instaurato dalla S.C. Srl, per il medesimo sinistro, nei confronti della compagnia assicuratrice del veicolo del A.A.;

avverso la sentenza d’appello, la S.C. Srl propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione; A.A. resiste con controricorso;

in data 8 marzo 2023 e stata redatta proposta di definizione anticipata del ricorso, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel senso dell’inammissibilità;

a seguito della comunicazione della proposta di definizione anticipata, la ricorrente ha formulato rituale istanza di decisione;

ne e seguita la fissazione dell’odierna adunanza, in vista della quale entrambe le parti hanno depositato memoria;

Motivi della decisione

dev’essere preliminarmente considerato il tenore della proposta di definizione anticipata del ricorso nella specie formulata (dal consigliere

delegato dal Presidente Titolare della Sezione) ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. secondo cui:

“tutti i tre motivi di ricorso investono il modo in cui il giudice di merito ha valutato le prove e ricostruito i fatti; e infatti valutazione riservata al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità lo stabilire se e come sia avvenuto un sinistro; se un testimone sia attendibile; se possa essere proficuo disporre una consulenza d’ufficio; il valore probatorio della documentazione acquisita a processo”;

ritiene il Collegio di non condividere il contenuto della proposta di definizione anticipata, formulata nel senso dell’inammissibilità del ricorso, valendo invece quanto alla sua sorte le considerazioni cosi come di seguito esposte;

con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 2054 c.c. nonché dei principi giurisprudenziali elaborati nell’ambito delle azioni ex artt. 144 e 149 del D. Lgs. 209 del 2005 (art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente escluso il carattere decisivo delle risultanze del modello di constatazione amichevole di incidente munito della sottoscrizione del A.A. (mai dallo stesso contestata nel corso del giudizio), in tal modo pervenendo all’illegittima esclusione dei presupposti per l’applicazione degli artt. 2043 e 2054 c.c. ai fini del riconoscimento della responsabilità del A.A. per il fatto dannoso dedotto in giudizio, senza neppure considerare la prospettata impossibilita di estendere l’efficacia di tale accertamento nei confronti della compagnia assicuratrice del A.A., in ragione del giudicato intervenuto tra l’odierna società ricorrente e la medesima compagnia assicuratrice in relazione al medesimo sinistro;

con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 215 c.p.c. e dell’art. 2702 c.c. (art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente escluso la decisività, rispetto ai contenuti delle consulenze tecniche d’ufficio espletate in altro giudizio, della constatazione amichevole di incidente sottoscritta dalla controparte e quest’ultima mai contestata o disconosciuta, in tal modo escludendo illegittimamente il valore di riconoscimento tacito, di cui all’art. 215 c.p.c., di detta constatazione amichevole di incidente nei confronti del A.A.;

entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono infondati;

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osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, in materia di responsabilità da sinistro stradale, ogni valutazione sulla portata confessoria del modulo di constatazione amichevole d’incidente (cosiddetto C.I.D.) deve ritenersi preclusa dall’esistenza di un’accertata incompatibilità oggettiva tra il fatto come descritto in tale documento e le conseguenze del sinistro come accertate in giudizio (Sez. 3, Sentenza n. 8451 del 27/03/2019, Rv. 653264 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 21161 del 17/09/2013, Rv. 627956 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 15881 del 25/06/2013, Rv. 626890 – 01);

varrà in particolare sottolineare come sia stata fatta salva – nella giurisprudenza di questa Corte – la possibilità per il giudice di merito di accertare che la dichiarazione resa nel modulo di contestazione amichevole di incidente sia incompatibile con la dinamica del sinistro, e ciò proprio alla luce dell’entità dei danni riportati dai veicoli, della situazione dei luoghi, ecc. La verifica di tale incompatibilità logica -secondo questa Corte – si pone come una sorta di momento antecedente rispetto all’esistenza ed alla valutazione della dichiarazione confessoria contenuta nel CID, fermo, peraltro, restando che essa resterebbe oggetto, comunque, di libera valutazione nei confronti dell’assicuratore, ai sensi dell’art. 2733, terzo comma, cod. civ., e dell’art. 23 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, nonché della sentenza 5 maggio 2006, n. 10311, delle Sezioni Unite di questa Corte (cosi, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 15881 del 2013, cit.);

da tali considerazioni discende la conferma della totale irrilevanza della circostanza relativa alla limitazione dell’odierno giudizio al solo A.A. (senza alcun interessamento della compagnia assicuratrice, ormai insensibile all’odierna decisione a seguito dall’intercorsa transazione con la S.C. Srl), dovendo considerarsi, l’accertamento condotto nel corso dell’odierno giudizio, come un fatto ‘logicamente antecedente’ rispetto all’esistenza e alla valutazione della dichiarazione confessoria contenuta nella constatazione amichevole di incidente;

tali considerazioni, peraltro, si inseriscono nel solco del consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, in tema di responsabilità civile da sinistro stradale, la sottoscrizione da parte di entrambi i conducenti della constatazione amichevole d’incidente, come già previsto dall’art. 5 della l. n. 39 del 1977 e ribadito dall’art. 143, comma 2, del D. Lgs. n. 209 del 2005, determina una presunzione, valida fino a prova contraria, del fatto che il sinistro si sia verificato con le modalità ivi indicate, la quale può ovviamente essere superata, salva la necessita che il giudice del merito ne spieghi le ragioni (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 29146 del 06/12/2017, Rv. 647181 – 01);

nessuna violazione dell’art. 116 c.p.c., dunque, può ritenersi consumata nel caso di specie, essendo esclusa l’attribuibilità di alcun valore di prova legale alla costatazione amichevole di incidente non contestata in sede giudiziale;

con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c.); per violazione o falsa applicazione degli artt. 101 e 102 c.p.c. (art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c.), nonché per violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. (art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente attestato l’omessa richiesta, da parte dell’odierna società ricorrente, dell’inutilizzabilità delle due consulenze tecniche d’ufficio svolte in altro giudizio e per aver attribuito, a tali consulenze tecniche, carattere decisivo, ai fini dell’odierna decisione, nonostante l’assenza di contraddittorio con il A.A. in detto giudizio, e per avere, infine, erroneamente proceduto alla valutazione delle prove atipiche rappresentate dalle ridette consulenze tecniche d’ufficio;

il motivo è, nel suo complesso, infondato;

osserva in primo luogo il Collegio come del tutto irrilevante debba ritenersi, ai fini dell’odierna decisione, il passaggio contenuto nella sentenza impugnata là dove viene sottolineato il dato della mancata richiesta, da parte dell’odierna società ricorrente, dell’inutilizzabilità delle consulenze tecniche svolte in altro giudizio; e ciò, da un lato, per l’evidente improprietà del richiamo a una categoria dogmatica (l’inutilizzabilità) sconosciuta al lessico processual-civilistico e, dall’altro, per l’evidente irrilevanza dell’eventuale eccezione di nullità del provvedimento di acquisizione delle consulenze tecniche d’ufficio svolte in altro giudizio (se in tal senso deve interpretarsi il linguaggio processuale dell’odierna società ricorrente), tenuto conto che detto provvedimento istruttorio di acquisizione deve ritenersi pienamente legittimo, costituendo, le richiamate consulenze tecniche d’ufficio, una prova atipica pienamente ammissibile e valutabile dal giudice civile, alla stregua di qualunque altro documento utile ai fini di decisione;

varrà sul punto considerare come, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la categoria dell’inutilizzabilità prevista ex art. 191 c.p.p. in ambito penale non rileva in quello civile, nel quale le prove atipiche sono comunque ammissibili, nonostante siano state assunte in un diverso processo in violazione delle regole a quello esclusivamente applicabili, poiché il contraddittorio e assicurato dalle modalità tipizzate di introduzione della prova nel giudizio. Resta precluso, invece, anche in sede civile, l’accesso alle prove la cui acquisizione concreti una diretta lesione di interessi costituzionalmente garantiti della parte contro la quale esse siano usate (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 8459 del 05/05/2020, Rv. 657825 – 01);

tali conclusioni devono estendersi anche in relazione al punto concernente l’asserita illegittimità della valutazione di una prova assunta in violazione del contraddittorio (attesa la mancata partecipazione del A.A. al giudizio a quo), dovendo al caso di specie ritenersi applicabile quanto statuito dalla giurisprudenza di legittimità in relazione alla valutabilità, in sede di cognizione istruttoria di merito, di un accertamento tecnico preventivo svolto in assenza di una delle parti del giudizio di merito (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 8496 del 24/03/2023, Rv. 667109 – 01), avendo questa Corte riconosciuto come la relazione conclusiva di un accertamento tecnico preventivo, se ritualmente acquisita al giudizio di cognizione, entra a far parte del materiale probatorio regolarmente prodotto e sottoposto al contraddittorio anche se una delle parti del giudizio di merito non ha partecipato al procedimento di istruzione preventiva e, perciò, e liberamente apprezzabile e utilizzabile, quale elemento di prova idoneo a fondare il convincimento del giudice nel raffronto con le altre risultanze istruttorie acquisite, nei confronti di tutte le parti del processo;

ancora una volta deve pertanto affermarsi come nessuna violazione dell’art. 116 c.p.c. possa ritenersi consumata nel caso di specie, essendo esclusa l’attribuibilità di alcun valore di prova legale alla costatazione amichevole di incidente non contestata in sede giudiziale, con la conseguenza che deve ritenersi radicalmente inammissibile la contestata valutazione nel merito dei contenuti delle consulenze tecniche svolte nell’altro e diverso giudizio, trattandosi della mera prospettazione di una rilettura nel merito dei fatti di causa, secondo un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità;

sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso;

la mancata condivisione dell’esito della proposta di definizione anticipata (formulata nel senso dell’inammissibilità del ricorso) comporta l’inapplicabilità del terzo comma dell’art. 380-bis c.p.c. in relazione all’eventuale applicazione del terzo e del quarto comma dell’art. 96 c.p.c.;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;

si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.500,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del

15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione dell’11 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2024.

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