La recente pronuncia della Corte Costituzionale segna un punto di svolta fondamentale nella disciplina dell’adozione internazionale in Italia, affrontando un tema di straordinaria rilevanza sia per i diritti delle persone singole sia per la tutela dell’interesse del minore.
Il Tribunale per i minorenni di Firenze ha sollevato questioni di legittimità costituzionale riguardanti la normativa che disciplina l’accesso all’adozione internazionale, in particolare gli articoli della legge sull’adozione che finora hanno precluso alle persone non coniugate di presentare domanda per essere dichiarate idonee ad adottare un minore straniero.
La Consulta è stata chiamata a verificare se questa limitazione sia compatibile con il quadro costituzionale italiano e con la tutela dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Al centro del dibattito giuridico si colloca la necessità di bilanciare interessi contrapposti: da un lato, il diritto all’autodeterminazione e alla vita privata delle persone singole che aspirano alla genitorialità adottiva; dall’altro, l’esigenza primaria di tutelare il minore garantendogli un ambiente familiare stabile e armonioso.
La sentenza analizza con particolare attenzione l’evoluzione della disciplina dell’adozione nel nostro ordinamento e il riconoscimento giuridico della pluralità di modelli familiari, mettendo in discussione l’attuale impianto normativo che riserva l’adozione internazionale esclusivamente alle coppie unite in matrimonio.
La pronuncia si inserisce in un contesto di progressivo mutamento delle sensibilità sociali e giuridiche riguardo al concetto di famiglia e alla genitorialità, affrontando questioni che toccano aspetti fondamentali della persona umana e del suo diritto a realizzarsi anche attraverso l’esperienza genitoriale.
La Corte ha dunque valutato se l’esclusione delle persone singole dall’accesso all’adozione internazionale rappresenti una limitazione proporzionata e necessaria in una società democratica, o se invece configuri una ingerenza ingiustificata nella sfera privata dell’individuo, non conforme ai principi costituzionali e convenzionali.
Tale valutazione ha tenuto conto sia del contesto giuridico attuale, compresi i cambiamenti introdotti con la riforma della filiazione che ha unificato lo status dei figli, sia della stessa normativa sull’adozione che già riconosce in alcune ipotesi specifiche l’idoneità delle persone singole a garantire un ambiente adeguato al minore.
AVV. COSIMO MONTINARO – e-mail segreteria@studiomontinaro.it
Indice
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI
La vicenda sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale trae origine dal ricorso presentato da una persona non coniugata che aveva manifestato la propria disponibilità ad adottare un minore straniero.
Il procedimento giudiziario ha seguito un percorso articolato e significativo che merita di essere analizzato nei suoi passaggi fondamentali. In data 5 febbraio 2019, la ricorrente aveva depositato presso il Tribunale per i minorenni di Firenze una dichiarazione di disponibilità all’adozione internazionale, chiedendo contestualmente l’emissione del decreto di idoneità necessario per procedere con l’iter adottivo.
Tuttavia, la normativa vigente, in particolare l’articolo 29-bis, comma 1, della legge n. 184 del 1983, limitava tale possibilità esclusivamente alle coppie unite in matrimonio, escludendo di fatto le persone singole dall’accesso alla procedura di adozione internazionale.
Di fronte a questo ostacolo normativo, il procedimento ha subito un’importante evoluzione quando il Tribunale per i minorenni di Firenze, con ordinanza del 26 novembre 2020, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della disposizione citata, ritenendola in contrasto con l’articolo 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 252 del 2021, ha dichiarato inammissibile tale questione per carenze nella motivazione circa la non manifesta infondatezza, senza tuttavia entrare nel merito della compatibilità costituzionale della norma.
Successivamente, in data 17 marzo 2022, la ricorrente ha riassunto il procedimento dinanzi al Tribunale per i minorenni, che ha svolto un’approfondita indagine psico-socio-familiare sulla candidata.
L’esito di tale indagine è stato particolarmente significativo: la ricorrente è risultata pienamente idonea ad adottare, sia sotto il profilo della consapevolezza del progetto adottivo, sia per quanto concerne le caratteristiche personologiche e psicologiche, dimostrando di possedere le qualità necessarie per accogliere un minore e garantirgli un ambiente familiare adeguato.
Nonostante questa valutazione positiva, il Tribunale si trovava nell’impossibilità giuridica di procedere con la dichiarazione di idoneità a causa del dettato normativo che escludeva le persone non coniugate.
È a questo punto che il giudice fiorentino ha deciso di sollevare nuovamente la questione di legittimità costituzionale, questa volta arricchendo il quadro dei parametri costituzionali violati ed estendendo il dubbio di costituzionalità anche all’articolo 30, comma 1, della stessa legge.
Il Tribunale ha infatti ravvisato un possibile contrasto non solo con l’articolo 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’articolo 8 CEDU, ma anche con l’articolo 2 della Costituzione, che tutela i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità.
Questa seconda ordinanza di rimessione, registrata al n. 139 del registro ordinanze 2024, ha evidenziato come le norme censurate rappresentassero un effettivo impedimento alla valutazione di idoneità adottiva delle persone non coniugate, nonostante queste potessero dimostrare, come nel caso della ricorrente, di possedere tutte le qualità necessarie per garantire al minore un ambiente stabile e armonioso.
NORMATIVA E PRECEDENTI
Il quadro normativo all’interno del quale si colloca la questione di legittimità costituzionale è caratterizzato da una progressiva evoluzione storica della disciplina dell’adozione, che si è sviluppata in parallelo con i mutamenti della concezione giuridica della famiglia e dei rapporti di filiazione.
La normativa di riferimento è rappresentata principalmente dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, significativamente intitolata “Diritto del minore ad una famiglia” a seguito delle modifiche introdotte con la legge n. 149 del 2001, che ne ha enfatizzato la centralità dell’interesse del minore.
L’articolo 29-bis, comma 1, della legge n. 184 del 1983, oggetto principale della censura di incostituzionalità, prevede che “le persone residenti in Italia, che si trovano nelle condizioni prescritte dall’articolo 6 e che intendono adottare un minore straniero residente all’estero, presentano dichiarazione di disponibilità al tribunale per i minorenni del distretto in cui hanno la residenza e chiedono che lo stesso dichiari la loro idoneità all’adozione“.
Il richiamato articolo 6, al comma 1, stabilisce che “l’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni“, escludendo così le persone non coniugate dalla possibilità di adottare.
Questa limitazione si inserisce in un contesto normativo che ha visto succedersi diversi interventi legislativi: dalla legge n. 431 del 1967, che introdusse l’adozione speciale riservata alle coppie coniugate, alla riforma organica dell’adozione del 1983, fino alle modifiche apportate dalla legge n. 476 del 1998, che ha ratificato la Convenzione de L’Aja sulla protezione dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale.
Significativamente, lo stesso legislatore ha riconosciuto in alcuni casi specifici l’idoneità della persona singola ad adottare, come nelle ipotesi previste dall’articolo 44 della legge n. 184/1983, che disciplina l’adozione in casi particolari, permettendo anche alla persona non coniugata di accedere a questa forma di adozione in determinate situazioni.
Inoltre, l’articolo 25, commi 4 e 5, della stessa legge consente l’adozione piena da parte di uno solo dei coniugi in caso di morte o incapacità dell’altro coniuge durante l’affidamento preadottivo, o in caso di separazione intervenuta durante lo stesso.
Sul piano internazionale, rilevante importanza assumono la Convenzione di Strasburgo del 1967 sull’adozione dei minori, che al suo articolo 6 prevede la possibilità per gli Stati di consentire l’adozione anche alle persone singole, e la Convenzione de L’Aja del 1993, che include tra i potenziali adottanti anche le persone singole (articolo 2). L’Italia, pur avendo ratificato entrambe le Convenzioni, non si è avvalsa della facoltà di estendere l’adozione piena alle persone non coniugate.
Per quanto riguarda i precedenti giurisprudenziali, la Corte Costituzionale si è già pronunciata sul tema con la sentenza n. 183 del 1994, nella quale ha riconosciuto che i principi costituzionali “non vincolano l’adozione dei minori al criterio dell’imitatio naturae in guisa da non consentire l’adozione da parte di un singolo se non nei casi eccezionali in cui è oggi prevista dalla legge n. 184 del 1983“.
In quella sede, la Corte aveva escluso che i richiamati principi costituzionali impedissero di ravvisare nell’adozione da parte di persone singole una possibile “soluzione in concreto più conveniente all’interesse del minore“.
Più recentemente, con le sentenze n. 79 del 2022 e n. 183 del 2023, la Corte Costituzionale ha dato atto “del significato pregnante della rete famigliare che si costruisce nel tempo intorno a un minore“, riconoscendo l’importanza delle relazioni affettive che si sviluppano al di là del tradizionale modello familiare.
DECISIONE DEL CASO E ANALISI
La Corte Costituzionale ha accolto le questioni sollevate, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’articolo 29-bis, comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184, nella parte in cui, facendo rinvio all’articolo 6, non include le persone singole residenti in Italia fra coloro che possono presentare dichiarazione di disponibilità a adottare un minore straniero residente all’estero e chiedere al tribunale per i minorenni del distretto in cui hanno la residenza che lo stesso dichiari la loro idoneità all’adozione.
Questa decisione rappresenta una svolta storica nel diritto di famiglia italiano, ampliando in modo significativo la platea dei potenziali adottanti e riconoscendo pienamente il diritto delle persone singole di accedere all’adozione internazionale.
Nell’analisi della questione, la Corte ha rilevato che la disciplina censurata si riverbera sul diritto alla vita privata, inteso come libertà di autodeterminazione, che si declina, nel contesto in esame, quale interesse a poter realizzare la propria aspirazione alla genitorialità, rendendosi disponibile all’adozione di un minore straniero.
Questo specifico interesse, secondo la Corte, si coniuga anche con una finalità di solidarietà sociale, in quanto rivolge le aspirazioni alla genitorialità a bambini o a ragazzi che già esistono e necessitano di protezione.
La Consulta ha evidenziato che se scopo dell’adozione internazionale è quello di accogliere in Italia minori stranieri abbandonati, residenti all’estero, assicurando loro un ambiente stabile e armonioso, l’insuperabile divieto per le persone singole di accedere a tale adozione non risponde a una esigenza sociale pressante e configura – nell’attuale contesto giuridico-sociale – una interferenza non necessaria in una società democratica.
La Corte ha articolato la sua decisione intorno a diversi punti fondamentali. In primo luogo, ha rilevato che il divieto – nell’assetto giuridico presente – non è più funzionale all’esigenza di assicurare al minore le più ampie tutele giuridiche associate allo status filiationis.
A seguito della riforma della filiazione introdotta nel 2012-2013, si configura infatti un unico status filiationis (articolo 315 del codice civile), il che non rende più necessario correlare tale status alla coppia di genitori uniti in matrimonio per poter assicurare all’adottato la più ampia protezione giuridica.
In secondo luogo, la Corte ha sottolineato che l’aprioristica esclusione delle persone singole dalla genitorialità adottiva non è un mezzo idoneo a garantire al minore un ambiente stabile e armonioso. Lo stesso legislatore ha infatti riconosciuto, in diverse disposizioni della legge n. 184 del 1983, che la persona singola è, in astratto, idonea ad assicurare un ambiente stabile e armonioso al minore, finanche in contesti non privi di criticità o rispetto a minori che richiedono un particolare impegno.
La decisione si basa anche sul riconoscimento che il modello della famiglia monoparentale trova spazio nella Costituzione e che, nel contesto della disciplina dell’adozione, il miglior interesse del minore è direttamente preservato dalla verifica giudiziale concernente la concreta idoneità dell’adottante.
La Corte ha evidenziato l’importanza del sostegno che può essere offerto anche dalla rete familiare di riferimento, della quale può tenere conto il giudice in sede di vaglio sull’idoneità in concreto del richiedente a adottare.
Infine, la Consulta ha affermato che l’esigenza di assicurare all’adottato la presenza di entrambe le figure genitoriali non viene perseguita con un mezzo idoneo e proporzionato attraverso l’esclusione delle persone singole.
Tale esigenza può giustificare una indicazione di preferenza per l’adozione da parte di una coppia di coniugi, ma non supporta la scelta di convertire tale modello di famiglia in una aprioristica esclusione delle persone singole dalla platea degli adottanti.
La decisione si conclude con l’affermazione che i limiti frapposti all’autodeterminazione orientata alla genitorialità “non possono consistere in un divieto assoluto a meno che lo stesso non sia l’unico mezzo per tutelare altri interessi di rango costituzionale”.
Alla luce del complesso degli interessi implicati e dello stesso scopo dell’istituto dell’adozione internazionale, la scelta operata dal legislatore risulta non necessaria in una società democratica, in quanto non conforme al principio di proporzionalità, e determina la lesione della vita privata e dell’autodeterminazione orientata a una genitorialità ispirata al principio di solidarietà.
ESTRATTO DELLA SENTENZA
“Per le ragioni esposte, sono fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate, in riferimento agli artt. 2 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU, dell’art. 29-bis, comma 1, della legge n. 184 del 1983, nella parte in cui, facendo rinvio all’art. 6, non include le persone singole residenti in Italia fra coloro che possono presentare dichiarazione di disponibilità a adottare un minore straniero residente all’estero e chiedere al tribunale per i minorenni del distretto in cui hanno la residenza che lo stesso dichiari la loro idoneità all’adozione. Rimane, dunque, ferma l’applicabilità alla persona singola delle restanti previsioni di cui all’art. 6 della legge n. 184 del 1983. In particolare, l’adottante persona singola deve rispondere agli altri requisiti, non incompatibili con il suo stato libero, che attengono all’età e al suo «essere affettivamente idone[o] e capac[e] di educare, istruire e mantenere i minori che intend[a] adottare» (comma 2 del citato art. 6). Al minore adottato dalla persona singola sarà riconosciuto l’unico stato di figlio, di cui all’art. 315 cod. civ., al quale implicitamente rimanda l’art. 27 della legge n. 184 del 1983, a sua volta richiamato dall’art. 35, comma 1, della medesima legge.”
(Corte Costituzionale n. 33/2025)