Il Tribunale di Lecce, con una recente pronuncia del 2025, ha stabilito un importante principio in materia di usucapione di beni immobili appartenenti allo Stato. La sentenza emessa dal Giudice Dott. Mario Cigna affronta il caso di due attori che hanno richiesto il riconoscimento dell’acquisto per usucapione di un appartamento situato a Taranto, formalmente appartenente allo Stato italiano. Il caso risulta particolarmente significativo poiché chiarisce che l’usucapione può operare anche nei confronti di beni appartenenti al patrimonio dello Stato, quando sussistano tutti i requisiti previsti dalla legge.
La vicenda processuale ha preso avvio con una domanda di usucapione relativa ad un immobile che, in seguito alla morte della proprietaria originaria e alla mancata accettazione dell’eredità da parte del chiamato testamentario, era stato acquisito dallo Stato ex art. 586 c.c.. Gli attori hanno dimostrato che il loro padre aveva iniziato a possedere l’immobile sin dal 1982, comportandosi come proprietario: provvedendo alla manutenzione ordinaria e straordinaria, stipulando contratti di locazione e percependo i relativi canoni. Alla morte del padre, avvenuta nel 1999, e successivamente alla morte della madre, avvenuta nel 2017, gli attori hanno continuato a possedere l’immobile in modo esclusivo, pacifico, pubblico e ininterrotto.
Il Tribunale ha accolto la domanda, riconoscendo che il possesso ultraventennale, caratterizzato da comportamenti rivelatori di un’indiscussa signoria di fatto sul bene, ha determinato l’acquisto della proprietà per usucapione, nonostante la formale titolarità dello Stato.
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Indice
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI
La controversia giudiziaria ha avuto origine da una domanda di usucapione presentata da due attori nei confronti dello Stato italiano. Il caso riguarda un appartamento ubicato al quinto piano di uno stabile sito in Taranto.
A sostegno della loro domanda, gli attori hanno dedotto che l’immobile in questione era originariamente appartenuto ad una persona deceduta senza coniuge e figli, la quale lo aveva devoluto in via testamentaria a suo cugino. Quest’ultimo, tuttavia, non aveva mai accettato l’eredità devolutagli né aveva mai posseduto l’immobile. In tale contesto, il padre degli odierni attori, che era stato chiamato all’eredità della defunta proprietaria per beni diversi da quello oggetto di giudizio, aveva iniziato a possedere l’appartamento sin dall’anno 1982, comportandosi come vero e proprio proprietario (uti dominus).
Il possesso era stato caratterizzato da pacificità, pubblicità e continuità, elementi essenziali per la configurazione dell’usucapione. In particolare, il padre degli attori aveva provveduto alla manutenzione ordinaria e straordinaria dell’immobile, come dimostrato dalle fatture relative al rifacimento dell’impianto idrico della cucina e del bagno. Inoltre, ultimati i lavori di ristrutturazione, aveva stipulato una serie di contratti di locazione dell’immobile con diversi conduttori, percependo i relativi canoni e comportandosi a tutti gli effetti come il legittimo proprietario, occupandosi anche del pagamento degli oneri condominiali tipicamente gravanti sul proprietario dell’immobile.
Alla morte del padre, avvenuta nel 1999, gli attori, in qualità di eredi legittimi insieme alla madre, hanno continuato a possedere l’immobile già posseduto dal defunto genitore, stipulando nuovi contratti di locazione, occupandosi del pagamento delle imposte gravanti sull’immobile e proseguendo con gli interventi di manutenzione straordinaria, come la sostituzione della caldaia a metano nel 2015. Anche dopo la morte della madre, avvenuta nel 2017, gli attori sono rimasti nel possesso dell’immobile, esercitando tutte le prerogative tipiche della proprietà.
NORMATIVA E PRECEDENTI
Il caso in esame coinvolge importanti norme del codice civile e consolidati orientamenti giurisprudenziali in materia di usucapione e successione dello Stato. L’articolo 586 del codice civile stabilisce che, in mancanza di altri successibili, l’eredità è devoluta allo Stato. Questa norma si applica non solo quando non esistono parenti entro il sesto grado, ma anche quando i chiamati all’eredità non esercitano il diritto di accettazione entro il termine di prescrizione.
L’articolo 480 del codice civile prevede infatti che il diritto di accettare l’eredità si prescrive in dieci anni dall’apertura della successione. Trascorso questo termine senza che l’eredità sia stata accettata, i beni ereditari vengono acquisiti automaticamente dallo Stato (ope legis), con effetto retroattivo. Nel caso in esame, dall’apertura della successione, avvenuta il 17 gennaio 1981, il chiamato testamentario non ha mai dichiarato la volontà di accettare l’eredità né ha compiuto atti che presupponessero tale accettazione, tanto che l’immobile risulta ancora oggi catastalmente intestato alla defunta.
Per quanto riguarda l’usucapione, l’articolo 1158 del codice civile stabilisce che la proprietà dei beni immobili e gli altri diritti reali di godimento si acquistano per usucapione in virtù del possesso continuato per venti anni. L’articolo 1146 del codice civile, comma 1, prevede che il possesso continua nell’erede con effetto dall’apertura della successione, consentendo così di considerare unitario il periodo di possesso esercitato dal de cuius e quello successivamente esercitato dai suoi eredi.
La giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che l’usucapione può operare anche nei confronti dei beni appartenenti allo Stato, quando sussistano tutti i requisiti previsti dalla legge. In particolare, la Cassazione ha chiarito che, ai fini dell’usucapione ordinaria di un bene immobile, è richiesto un possesso continuo, pacifico, pubblico, non interrotto e non equivoco dello stesso, accompagnato dall’animo di tenere la cosa come propria, che si protragga per oltre venti anni, cui corrisponda per la stessa durata la completa inerzia del proprietario.
Un altro aspetto rilevante del caso concerne la legittimazione passiva dell’amministrazione convenuta. L’articolo 57 del d.lgs. n. 300/1999 ha previsto l’istituzione delle agenzie fiscali, tra cui l’Agenzia del Demanio, trasferendo ad esse i relativi rapporti giuridici, poteri e competenze precedentemente in capo ai vari dipartimenti ministeriali. A partire dal 1° gennaio 2001, pertanto, si è verificata una successione a titolo particolare delle agenzie fiscali nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento delle relative attribuzioni.
DECISIONE DEL CASO E ANALISI
Il Tribunale di Lecce ha preliminarmente affrontato le eccezioni sollevate dai convenuti, rigettandole entrambe. In primo luogo, ha respinto l’eccezione di carenza di legittimazione passiva dell’Agenzia del Demanio, rilevando che, in base all’articolo 57 del d.lgs. n. 300/1999 e al successivo decreto ministeriale n. 1390/2000, dal 1° gennaio 2001 la legittimazione ad causam nei procedimenti riguardanti i beni dello Stato spetta esclusivamente all’Agenzia del Demanio, quale ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico e autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, organizzativa contabile e finanziaria.
In secondo luogo, il Tribunale ha rigettato l’eccezione di difetto di legittimazione passiva fondata sull’asserita mancanza del presupposto previsto dall’articolo 586 c.c. per l’acquisto del bene da parte dello Stato, cioè la “mancanza di altri successibili“. A questo proposito, il giudice ha chiarito che alla mancanza di successibili è parificabile l’inutile decorso del termine decennale per accettare l’eredità, decorso il quale si verifica ope legis l’acquisto automatico e retroattivo in capo allo Stato italiano dei beni relitti. Nel caso specifico, essendo trascorso un termine ben superiore a quello di prescrizione decennale previsto all’articolo 480 c.c., senza che il chiamato testamentario o eventuali ulteriori chiamati avessero accettato l’eredità, l’immobile era stato legittimamente acquisito dallo Stato.
Entrando nel merito della domanda di usucapione, il Tribunale ha valutato le prove documentali prodotte dagli attori, ritenendole idonee a dimostrare tutti gli elementi costitutivi dell’usucapione ordinaria. In particolare, è emerso che il padre degli attori aveva iniziato a possedere l’immobile sin dal 1982 in modo pubblico, pacifico, continuativo e con animus possidendi, come dimostrato dalle fatture relative ai lavori di ristrutturazione, dai contratti di locazione stipulati e dal pagamento degli oneri condominiali. Alla sua morte, gli attori avevano continuato tale possesso, stipulando nuovi contratti di locazione, pagando le imposte sull’immobile e provvedendo alla sua manutenzione.
Un aspetto particolarmente rilevante della decisione riguarda l’applicazione dell’articolo 1146, comma 1, c.c., secondo cui il possesso continua nell’erede con effetto dall’apertura della successione. Il Tribunale ha evidenziato che la successione mortis causa non determina di per sé il mutamento del possesso in mera detenzione, ma comporta che il possesso continui in capo agli eredi con le stesse caratteristiche originarie. Questo principio ha permesso di configurare un unico possesso ultraventennale, iniziato dal padre degli attori nel 1982 e validamente continuato dagli eredi fino al momento della decisione.
Il Tribunale ha quindi accertato che il possesso era stato caratterizzato da tutti i requisiti necessari per l’usucapione: continuità, pacificità, pubblicità, non interruzione e animus possidendi, protrattosi per un periodo ben superiore ai venti anni richiesti dalla legge. La pronuncia ha così confermato che l’usucapione può operare anche nei confronti dello Stato, quando sussistano tutti gli elementi costitutivi previsti dalla normativa civilistica.