La revoca giudiziale dell’amministratore di condominio rappresenta uno degli strumenti più delicati e controversi previsti dall’ordinamento per garantire una corretta gestione della cosa comune. Si tratta di un istituto che nasce dall’esigenza di tutelare l’interesse collettivo dei condomini quando l’amministratore incorre in gravi irregolarità tali da compromettere irreparabilmente il rapporto fiduciario che deve caratterizzare il mandato gestorio. La normativa vigente prevede specifiche ipotesi in cui il comportamento dell’amministratore può legittimare i condomini a chiedere al giudice la rimozione dal suo incarico.
Tuttavia, non sempre le apparenti violazioni normative configurano automaticamente quella grave irregolarità che giustifica la drastica misura della revoca. La Corte d’Appello di Napoli si è recentemente pronunciata con un importante decreto del 2025 che chiarisce in modo inequivocabile come l’accertamento della sussistenza dei presupposti per la revoca non possa ridursi a una mera verifica formale della violazione delle norme, ma richieda una valutazione sostanziale dell’effettiva colpevolezza dell’amministratore e del nesso causale tra la sua condotta e le irregolarità contestate.
La vicenda giudiziaria esaminata dai giudici napoletani offre importanti spunti di riflessione su una questione centrale nella gestione condominiale: cosa accade quando il ritardo nell’approvazione dei rendiconti condominiali non dipende da negligenza o inerzia dell’amministratore, ma è la diretta conseguenza di una serie ininterrotta di impugnazioni giudiziali promosse proprio dai condomini che poi chiedono la revoca del mandato? In altre parole, può un condomino beneficiare della situazione di stallo amministrativo che egli stesso ha contribuito a creare attraverso una strategia processuale dilatoria?
La decisione della Corte partenopea affronta questa problematica con rigore giuridico, analizzando la natura del rapporto di mandato tra amministratore e condomini, i principi generali in materia di responsabilità contrattuale, e il delicato equilibrio tra la tutela degli interessi collettivi e la protezione dell’amministratore che opera diligentemente nonostante le difficoltà create da alcuni condomini. La pronuncia assume particolare valore anche perché interviene su un caso in cui il giudice di primo grado aveva invece accolto la richiesta di revoca, ritenendo sussistenti le gravi irregolarità previste dalla legge.
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Avv. Cosimo Montinaro – email segreteria@studiomontinaro.it
Indice
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI
La complessa vicenda processuale trae origine da un condominio situato in provincia di Napoli, dove da anni si consumava un aspro conflitto tra l’amministratore in carica e alcuni condomini che contestavano sistematicamente la sua gestione. Il professionista svolgeva l’incarico di amministratore da tempo e gestiva anche altri edifici nella medesima zona, circostanza che assumerà particolare rilevanza nell’economia della vicenda.
Nel corso degli anni, il rapporto tra l’amministratore e alcuni condomini si era progressivamente deteriorato, sfociando in una vera e propria guerra giudiziaria. Due coniugi condomini avevano infatti intrapreso una strategia di sistematica contestazione di ogni delibera assembleare, in particolare di quelle relative all’approvazione dei bilanci consuntivi. A partire dall’anno 2013, ogni singola delibera di approvazione del rendiconto annuale era stata impugnata davanti all’autorità giudiziaria, dando vita a una serie interminabile di contenziosi che avevano paralizzato di fatto la gestione ordinaria del condominio.
La situazione era diventata particolarmente critica quando l’amministratore, dovendo fare i conti con i tempi fisiologici dei vari giudizi in corso, aveva ritardato la presentazione all’assemblea dei rendiconti relativi agli anni 2018, 2019, 2020 e 2021. Tali bilanci erano stati sottoposti all’approvazione dei condomini soltanto nelle assemblee del 6 e 7 luglio 2023, con un evidente e significativo ritardo rispetto al termine di centottanta giorni dalla chiusura di ciascun esercizio previsto dalla legge.
Proprio questi ritardi erano stati posti a fondamento della richiesta di revoca giudiziale dell’amministratore promossa dai due coniugi. Nella loro istanza al Tribunale, i condomini reclamanti avevano lamentato anche altre presunte irregolarità nella gestione condominiale. In particolare, avevano contestato che l’amministratore avesse erroneamente fatto versare una somma di ottomila euro su un conto corrente intestato a un diverso condominio da lui amministrato, anziché sul conto del condominio creditore. Inoltre, avevano denunciato la violazione dell’obbligo di informare tempestivamente l’assemblea dell’esistenza di contenziosi in corso con alcuni condomini.
Il Tribunale di Napoli Nord, con decreto del 5 aprile 2025, aveva accolto la richiesta di revoca, ritenendo sussistenti gravi irregolarità nel comportamento dell’amministratore. In particolare, il giudice di prime cure aveva considerato che il ritardo pluriennale nell’approvazione dei bilanci integrasse di per sé una grave irregolarità prevista espressamente dalla normativa codicistica. Quanto all’errato versamento della somma di ottomila euro, il Tribunale aveva ritenuto che tale circostanza facesse presumere una gestione confusionaria del patrimonio di diversi condomini. Infine, aveva accertato la violazione dell’obbligo di informare l’assemblea delle liti in corso.
Avverso tale decreto, l’amministratore revocato aveva proposto reclamo alla Corte d’Appello di Napoli. Nel suo atto di impugnazione, il professionista aveva articolato diverse doglianze, tutte volte a dimostrare l’infondatezza delle accuse mosse dai condomini. In primo luogo, aveva eccepito un vizio procedurale, lamentando di non essere stato convocato né ascoltato prima dell’emissione del provvedimento di revoca, in violazione delle garanzie procedurali. Nel merito, aveva poi sostenuto con forza che il ritardo nell’approvazione dei bilanci non era imputabile a sua negligenza, ma era la diretta conseguenza della condotta processuale dei condomini reclamanti.
L’amministratore aveva infatti ricostruito dettagliatamente la cronologia dei contenziosi promossi dai due coniugi, dimostrando come ogni singola delibera di approvazione dei bilanci dal 2013 in poi fosse stata sistematicamente impugnata. Tutti questi giudizi si erano conclusi con sentenze favorevoli al condominio e sfavorevoli agli opponenti, ma i tempi processuali avevano inevitabilmente rallentato la gestione contabile. L’amministratore aveva scelto di attendere l’esito definitivo delle varie controversie prima di presentare i nuovi rendiconti, proprio per garantire la continuità della contabilità ed evitare di dover rifare più volte i bilanci a seconda degli esiti giudiziari.
NORMATIVA E PRECEDENTI
Il quadro normativo di riferimento per la revoca dell’amministratore di condominio trova il suo fondamento principale nell’articolo 1129 del codice civile, come modificato dalla riforma del condominio operata con la legge 220 del 2012. Tale disposizione, al comma 11, prevede espressamente che ciascun condomino può ricorrere all’autorità giudiziaria per la revoca dell’amministratore in presenza di determinate circostanze.
La norma stabilisce che l’amministratore può essere revocato in caso di gravi irregolarità, di mancata resa del rendiconto condominiale, oppure quando non viene convocata l’assemblea per l’approvazione del rendiconto entro i termini stabiliti. Il successivo comma 12 dell’articolo 1129 elenca in modo dettagliato alcune ipotesi che costituiscono di per sé gravi irregolarità. Tra queste assume particolare rilevanza, nel caso di specie, il numero 1 che qualifica come grave irregolarità l’“omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto condominiale”.
In stretta connessione con tale previsione si pone l’articolo 1130, comma 1, numero 10, del codice civile, che impone all’amministratore di redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e di convocare l’assemblea per la relativa approvazione entro centottanta giorni dalla chiusura dell’esercizio. Questo termine è tassativo e la sua violazione costituisce un inadempimento delle obbligazioni gravanti sull’amministratore.
La disciplina della revoca si inserisce nel più ampio contesto del rapporto di mandato che lega l’amministratore ai condomini. L’amministratore è infatti qualificato dalla legge come mandatario del condominio e come tale è soggetto agli obblighi previsti dagli articoli 1710 e seguenti del codice civile in materia di mandato. Tra questi obblighi assume particolare rilievo quello di rendere il conto della gestione ai mandanti, che nel caso del condominio si concretizza nell’obbligo di predisporre e sottoporre all’approvazione assembleare il rendiconto annuale.
Per quanto riguarda i principi generali in materia di responsabilità contrattuale, trova applicazione l’articolo 1218 del codice civile, che stabilisce il fondamentale principio secondo cui il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, salvo che provi che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Tale disposizione regola l’onere della prova nei rapporti obbligatori, stabilendo che mentre il creditore deve soltanto provare la fonte del suo diritto e allegare l’inadempimento, spetta al debitore dimostrare di aver correttamente adempiuto o che l’inadempimento non gli è imputabile.
Strettamente connesso al tema della responsabilità è il principio della risoluzione del contratto per inadempimento, disciplinato dall’articolo 1455 del codice civile. Tale norma stabilisce che il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra. In altre parole, solo un inadempimento di gravità tale da compromettere l’equilibrio contrattuale può giustificare lo scioglimento del vincolo negoziale.
La giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito la natura e i limiti del procedimento di revoca giudiziale dell’amministratore. La Corte di Cassazione con la sentenza n. 20957 del 2004 delle Sezioni Unite ha precisato che tale procedimento ha carattere eccezionale e urgente, oltre che sostitutivo della volontà assembleare, ed è ispirato dall’esigenza di assicurare una rapida ed efficace tutela a una corretta gestione dell’amministrazione condominiale.
In particolare, la Suprema Corte ha affermato che il procedimento è finalizzato a fronteggiare il pericolo di grave danno derivante da determinate condotte dell’amministratore. Conseguentemente, la revoca giudiziale rappresenta un rimedio estremo che presuppone la sussistenza di una situazione di particolare gravità. Successivamente, con le sentenze n. 23743 del 2020 e n. 3198 del 2023, la Cassazione ha ulteriormente chiarito che il decreto di revoca,pur essendo adottato in sede di volontaria giurisdizione, assume carattere decisorio quando si pronuncia sulle spese processuali, che diventano quindi oggetto di un autonomo rapporto obbligatorio.
Per quanto concerne i poteri processuali dell’amministratore, la giurisprudenza consolidata ha riconosciuto che l’amministratore può resistere all’impugnazione delle delibere assembleari e può proporre appello contro le relative decisioni sfavorevoli senza necessità di preventiva autorizzazione o successiva ratifica da parte dell’assemblea. Tale principio è stato affermato da Cassazione n. 1451 del 2014, Cassazione n. 7095 del 2017 e Cassazione n. 23550 del 2020, secondo cui l’esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientrano tra le attribuzioni proprie dell’amministratore ai sensi dell’articolo 1131 del codice civile.
DECISIONE DEL CASO E ANALISI
La Corte d’Appello di Napoli ha affrontato la complessa vicenda processuale con un’analisi approfondita che ha portato all’accoglimento del reclamo proposto dall’amministratore e alla conseguente riforma del decreto di primo grado. I giudici napoletani hanno sviluppato un ragionamento articolato che tocca profili di diritto sostanziale e processuale di particolare rilevanza per la materia condominiale.
Il primo aspetto esaminato dalla Corte ha riguardato la contestazione relativa al ritardo nell’approvazione dei bilanci. I giudici hanno innanzitutto richiamato il quadro normativo di riferimento, evidenziando come l’articolo 1129, comma 12, numero 1, del codice civile qualifichi espressamente come grave irregolarità l’omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto condominiale, e come l’articolo 1130, comma 1, numero 10, imponga all’amministratore di redigere e sottoporre all’approvazione il rendiconto entro centottanta giorni dalla chiusura dell’esercizio.
Tuttavia, la Corte ha osservato con acume che tutte le ipotesi di gravi irregolarità previste dal comma 12 dell’articolo 1129 hanno quale ratio comune la compromissione grave del rapporto fiduciario tra condomini e amministratore, derivante da un grave inadempimento delle obbligazioni gravanti su quest’ultimo. Da questa premessa i giudici hanno tratto una conseguenza fondamentale: l’accertamento della sussistenza della grave irregolarità come tipizzata dalla norma non può corrispondere a un’automatica revoca dell’amministratore.
La revoca costituisce infatti il risultato della risoluzione del rapporto di mandato tra amministratore e condomini. Tale risoluzione può avvenire, ai sensi dell’articolo 1455 del codice civile, solo in caso di sussistenza di un inadempimento grave. Posto che per giungere alla risoluzione del rapporto è necessario un inadempimento grave, la Corte ha rilevato che ai sensi dell’articolo 1218 del codice civile deve sussistere la colpa del soggetto inadempiente, il quale è quindi abilitato a dare prova o dell’insussistenza dell’inadempimento, o del fatto che tale inadempimento, pur esistendo, non è a lui imputabile ma deriva da causa estranea.
Applicando questi principi al caso concreto, i giudici hanno ritenuto che l’amministratore avesse fornito una giustificazione più che sufficiente del ritardo nell’approvazione dei bilanci. Era risultato provato che i condomini reclamanti avevano sistematicamente impugnato tutte le delibere di approvazione dei bilanci a partire dal 2013, e che tutti questi giudizi si erano conclusi con il rigetto delle opposizioni. L’amministratore aveva quindi dovuto attendere l’esito dei vari contenziosi per poter assicurare la continuità della contabilità ed evitare di dover rifare i bilanci a seconda degli esiti giudiziari.
La Corte ha inoltre evidenziato un aspetto di particolare rilevanza sotto il profilo dell’equità sostanziale. Ragionando a contrario, se si fosse ritenuto che il ritardo costituisse automaticamente una grave irregolarità, si sarebbe verificato l’inaccettabile paradosso che i coniugi reclamanti avrebbero lucrato un vantaggio ingiustificato dalla circostanza di aver reiteratamente impugnato le delibere precedenti. In altri termini, prima i condomini avevano impugnato le delibere rallentando inevitabilmente la gestione contabile, e poi si erano doluti proprio del ritardo da essi stessi provocato. I giudici hanno ritenuto inammissibile questa strumentalizzazione del sistema processuale.
Conseguentemente, la Corte ha concluso che il comportamento tenuto dall’amministratore non fosse qualificabile come colposo e che quindi il ritardo nell’approvazione dei bilanci non integrasse un grave inadempimento ex articolo 1455 del codice civile, né la grave irregolarità prevista dall’articolo 1129 che giustifica la revoca del mandato.
Il secondo profilo esaminato ha riguardato la contestazione relativa all’errato versamento della somma di ottomila euro su un conto corrente intestato a un diverso condominio. I condomini reclamanti avevano lamentato che a causa dell’errata indicazione dell’IBAN da parte dell’amministratore, tale somma era stata accreditata sul conto sbagliato e non era mai stata riportata nel bilancio del condominio creditore. Secondo i reclamanti, tale circostanza integrerebbe la grave irregolarità prevista dall’articolo 1129, comma 12, numero 4, del codice civile, che riguarda la gestione secondo modalità che possono generare possibilità di confusione patrimoniale tra il condominio e l’amministratore o altri condomini.
