Assegno divorzile: finalità assistenziale, perequativa e compensativa (C.d.A. Roma, n. 1776/2020)

Assegno divorzile: finalità assistenziale, perequativa e compensativa (C.d.A. Roma, n. 1776/2020)

La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza 12 marzo 2020, n. 1776, sulla scorta delle recenti pronunce della Suprema Corte in tema di assegno divorzile (Corte di Cassazione, Sez. I, n. 9533/19), ha statuito che, in sede di calcolo dell’assegno divorzile, il Giudice, in prima battuta, “procede alla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti e, qualora risulti l’inadeguatezza dei mezzi del richiedente o, comunque, l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, ne accerta le cause in base ai parametri dell’art. 5 c. VI, prima parte, L. 898/70, appurando se quella sperequazione sia o meno conseguenza del contributo fornito dal medesimo istante alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali, in relazione all’età e alla durata del matrimonio, quindi quantifica l’assegno parametrandolo non al pregresso tenore di vita familiare, né al parametro della autosufficienza economica, bensì in misura tale da assicurare, all’avente diritto, un livello reddituale adeguato al contributo sopra richiamato”.

il fatto

Il Tribunale pronunciava lo scioglimento di un matrimonio civile ponendo a carico del marito l’obbligo di versare mensilmente all’ex moglie un assegno divorzile pari a € 400,00, oltre rivalutazione ISTAT. Il Tribunale osservava che:

  • la convivenza coniugale era durata soli due anni;
  • le parti avevano contratto matrimonio in età matura (68 e 55 anni);
  • si trattava del secondo matrimonio per la moglie la quale dal primo aveva avuto due figli adulti ed economicamente indipendenti;
  • la moglie percepiva un assegno di invalidità,
  • il marito era pensionato e aveva un reddito mensile netto di circa euro 1.350,00;
  • il marito viveva nella ex casa coniugale, della quale aveva ceduto la nuda proprietà dopo la separazione mantenendone l’usufrutto.

Per tali ragioni, il Tribunale aveva ritenuto che le condizioni di salute e di età della moglie fossero tali da integrare il requisito della impossibilità oggettiva di procurarsi autonomamente i mezzi adeguati a garantirle una vita dignitosa così determinando l’assegno divorzile nella misura di € 400,00 mensili.

La moglie proponeva appello.

Il Collegio osserva che:

L’art. 5 c. VI della L. 898/70 stabilisce il diritto della parte che non abbia mezzi adeguati, ovvero non possa procurarseli per ragioni oggettive, a percepire un assegno divorzile dall’ex coniuge. La nozione di adeguatezza dei mezzi ha subito un’evoluzione: dopo un periodo ove il parametro di riferimento è stato quello del mantenimento del tenore di vita goduto in costanza del vincolo, con due arresti giurisprudenziali (Corte di Cassazione, Sez. I n. 11504/17 e S.U. n. 18287/18) i caratteri dell’assegno in questione sono stati ridefiniti e precisati tenendo conto del “criterio dell’indipendenza economica (intrinsecamente inerente alla nozione di adeguatezza dei mezzi), che è stato inteso quale possibilità di condurre una vita considerata dignitosa alla luce delle indicazioni provenienti dalla coscienza collettiva in un dato momento storico; funzione, che, ai fini dell’attribuzione e della quantificazione dell’assegno divorzile, si deve tenere conto primariamente di quella assistenziale e, a determinate condizioni, anche di quella compensativo-perequativa cui tale assegno assolve”.

Come ulteriormente esplicitato dalla giurisprudenza (Sez. I, n. 21234/19) nel valutare l’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge che ne faccia istanza, o l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, si deve tener conto, impiegando i criteri di cui all’art. 5, comma VI, della l. n. 898 del 1970: “dell’impossibilità di vivere autonomamente e dignitosamente da parte di quest’ultimo,· della necessità di compensarlo per il particolare contributo, che comprovi di avere fornito, alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge nel corso della vita matrimoniale, senza che abbiano rilievo, da soli, lo squilibrio economico tra le parti e l’alto livello reddituale dell’altro ex coniuge, tenuto conto che la differenza reddituale è coessenziale alla ricostruzione del tenore di vita matrimoniale, tuttavia risulta oggi irrilevante ai fini della determinazione dell’assegno, e l’entità del reddito dell’altro ex coniuge non giustifica, di per sé, la corresponsione di un assegno in proporzione delle sue sostanze”.

Nella pluralità di voci che contribuiscono a definire l’assegno di cui all’art. 5 c. 5 della L. 898 del 1970, con la riaffermata funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, si combinano: “l’inadeguatezza dei mezzi della parte richiedente e la sua impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive”.

Ciò allo scopo di tutelare non la protrazione del godimento del tenore di vita avuto in costanza di matrimonio, bensì (in ragione della nuova situazione determinatasi tra le parti all’esito della cessazione del vincolo) per attribuire un livello di reddito adeguato al ruolo ed al contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della donna e di quello personale degli ex coniugi, in particolare tenendo conto: “delle aspettative professionali sacrificate, in relazione alla durata del matrimonio,· all’età dell’avente diritto”.

Escluso che l’assegno sia dovuto per perpetuare il tenore di vita goduto in costanza del matrimonio, l’accertamento dello squilibrio economico patrimoniale tra i coniugi opera come antefatto fattuale necessario per l’applicazione dei parametri di cui all’art. 5, comma VI, prima parte, della L. n. 898 del 1970, in ragione della finalità composita (assistenziale, perequativa e compensativa) di tale assegno (Cassazione, Sezione I, Ordinanza n. 1882 del 23/01/2019).

Al fine di quantificare l’assegno divorzile, il Giudice: “procede alla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti; · se risulti l’inadeguatezza dei mezzi del richiedente o, comunque, l’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, ne verifica le cause in base ai parametri dell’art. 5 c. VI, prima parte, L. 898/70, in particolare appurando se quella sperequazione sia o meno conseguenza del contributo fornito dallo stesso richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali, in relazione all’età e alla durata del matrimonio;· quantifica l’assegno correlandolo non al pregresso tenore di vita familiare, né al parametro della autosufficienza economica, bensì in misura tale da garantire all’avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo sopra richiamato (Corte di cassazione, Sez. I, n. 11178/19)”.

L’onere di provare la sussistenza delle condizioni che legittimano l’attribuzione e la quantificazione dell’assegno grava sul coniuge istante, il quale dovrà documentare compiutamente i propri redditi e la propria capacità o incapacità di procurarsene, l’eventuale ricerca di occupazione, la propria capacità di spesa, al fine di permettere al giudice di giungere ad una valutazione il più possibile accurata.

Infine, è stato precisato che il Giudice d’appello, nel rispetto del principio di disponibilità e di quello generale della domanda, è tenuto a considerare anche l’evoluzione delle condizioni delle parti verificatasi nelle more del giudizio, così come emerge dagli atti di causa (Corte di Cassazione, Sez. I, n. 9533/19).

Avv. Cosimo Montinaro

(avvocato diritto di famiglia)

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