L’aumento dell’assegno per il figlio maggiorenne può essere chiesto anche nel giudizio d’appello (Cass., n. 19077/2020)

In materia di assegno di mantenimento per il figlio, poichè si verte in tema di conservazione del contenuto reale del credito fatto valere con la domanda originaria, deve ammettersi la possibilità, per il genitore istante, di chiedere un adeguamento del relativo ammontare, alla stregua della svalutazione monetaria o del sopravvento di altre circostanze, verificatesi nelle more del giudizio, in particolare relative alle mutate condizioni economiche dell’obbligato ovvero alle accresciute esigenze del figlio. Ne deriva che la proposizione, in primo grado o in appello, di simili istanze o eccezioni non ricade sotto il divieto di “ius novorum”, né con riguardo al giudizio di primo grado, né con riguardo al giudizio di appello. Lo stabilisce la Cassazione civile, sez. VI-1, sentenza 14 settembre 2020, n. 19077.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con sentenza n. 1035/2015 il Tribunale di Cassino rigettava la domanda di riconoscimento dell’assegno divorzile proposta da V.L. nei confronti di E.N. e riduceva a Euro180 mensili il contributo di mantenimento dovuto da quest’ultimo a titolo di concorso al mantenimento della figlia A., nata nel 1993.

2. Con sentenza n. 5095/2018 depositata il 20-7-2018 la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della citata sentenza del Tribunale di Cassino, ha rideterminato il contributo paterno per la figlia in Euro 300, respingendo l’appello incidentale proposto dall’ E. e compensando le spese di lite.

3. Avverso la citata sentenza E.N. propone ricorso affidato a tre motivi, a cui resiste con controricorso V.L.. Le parti hanno depositato memorie illustrative.

4. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 345 c.p.c., assumendo la novità della domanda proposta in appello dalla V. relativa al contributo di mantenimento della figlia, di cui aveva chiesto l’aumento (Euro 400 in luogo di Euro 180 stabiliti nella sentenza di primo grado), poichè non era stato allegato alcun riferimento a fatti sopravvenuti, o alla svalutazione monetaria, oppure alle accresciute esigenze della figlia.

4.1. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’art. 147 c.p.c., rilevando che dall’istruttoria espletata in primo grado e dalle stesse dichiarazioni della figlia A. era emerso che la stessa si era avviata al lavoro, seppure con contratti a termine e a tempo parziale, ed aveva pertanto raggiunto l’autosufficienza economica. Ad avviso del ricorrente la Corte territoriale non ha fatto applicazione dei principi affermati da questa Corte in tema di obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni.

4.2. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, omessa ammissione delle prove richieste e conseguente omissione di motivazione, nonchè omessa pronuncia sulle domande avanzate in relazione alla posizione del figlio M.. Si duole della mancata ammissione della prova per testi, sui capitoli che riporta nel ricorso, e delle richieste istruttorie finalizzate a dimostrare la reale condizione economica della V. e la convivenza della stessa con altro uomo, nonchè della mancata audizione del figlio M. su detta ultima circostanza. Lamenta altresì che la Corte d’appello non abbia ordinato l’esibizione di tutte le buste paga e delle dichiarazioni dei redditi della figlia A., ai fini dell’accertamento dell’entità del reddito lavorativo effettivo della stessa, non potendo reputarsi sufficiente quanto risultante dalle quattro buste paga depositate, relative ai mesi di dicembre 2017 e di gennaio, febbraio ed aprile 2018.

5. Il primo motivo è infondato.

5.1. Secondo il costante orientamento di questa Corte (tra le tante Cass. n. 25055/2017 e Cass. n. 5883/2018), peraltro richiamato anche in ricorso (pag. n. 15), in tema di separazione personale tra coniugi e di divorzio il criterio fondamentale cui devono ispirarsi i provvedimenti relativi ai figli è rappresentato dall’esclusivo interesse morale e materiale dei figli stessi (previsto in passato dall’art. 155 c.c. e ora dall’art. 337 ter c.c.), con la conseguenza che il giudice non è vincolato alle richieste avanzate ed agli accordi intercorsi tra le parti e può quindi pronunciarsi anche ultra petitum. Il suddetto fondamentale criterio ispiratore trova applicazione anche nell’ipotesi in cui i figli siano maggiorenni (così nella fattispecie scrutinata da Cass. n. 5883/2018), non essendovi ragione per differenziare la posizione di questi ultimi da quella dei figli minori, ricorrendo in entrambe le ipotesi la stessa esigenza di tutela, connotata, per i figli maggiorenni, dal concorrente ed accertando requisito della mancanza di autosufficienza economica, che è, invece, in re ipsa se il figlio è minore di età. Alla stregua di detti principi, non si pone questione di ius novorum, neppure con riguardo al giudizio di appello e, peraltro, nel caso di specie, la Corte territoriale ha valorizzato circostanze riconducibili temporalmente a periodo successivo all’anno 2015 (pag. n. 3 sentenza impugnata), ossia a periodo successivo a quello in cui è stata emessa la sentenza del Tribunale, e, quindi, fatti sopravvenuti.

6. Il secondo motivo è inammissibile.

6.1. Questa Corte ha ripetutamente chiarito che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054/2017).

6.2. Nel caso di specie, il ricorrente, nel dolersi della violazione dell’art. 147 c.c., in riferimento all’art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c., censura, in realtà, la ricostruzione fattuale. Infatti la violazione di legge denunciata viene prospettata dal ricorrente sulla base dell’assunto, imprescindibile, che sia provata l’autosufficienza economica della figlia maggiorenne ed è, dunque, mediata dalla valutazione delle risultanze processuali, presupponendo una diversa ricostruzione, in fatto, della fattispecie concreta.

La Corte territoriale, con adeguata motivazione (Cass. S.U. n. 8053/2014), ha esaminato i fatti allegati dal padre a sostegno della richiesta di revoca del contributo di mantenimento in favore della figlia ed ha ritenuto, in base alle risultanze istruttorie (buste paga, residenza anagrafica della figlia presso la casa materna, natura e compenso del rapporto lavorativo documentato e cessazione di quello precedente svolto in Svizzera), che la ragazza non avesse raggiunto in pieno l’autonomia economica, rimarcando il suo diritto a mantenere un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia e, per quanto possibile, analogo a quello goduto in precedenza.

Il convincimento dei Giudici di merito è stato, quindi, fondato su un accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, al di fuori delle ipotesi, non denunciate con il secondo motivo, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e la relativa indagine è stata condotta secondo i criteri e parametri costantemente indicati da questa Corte (tra le tante Cass. n. 17089/2013), confrontando le situazioni patrimoniali e reddituali di ciascuno dei genitori.

6. Anche il terzo motivo è inammissibile.

6.1. Le doglianze, formulate sub specie del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si risolvono in una critica alla valutazione delle risultanze probatorie effettuata dalla Corte territoriale, censurando il ricorrente, inammissibilmente, la scelta delle risultanze idonee a sorreggere la motivazione, che è invece apprezzamento di fatto devoluto al Giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità, ove, come nella specie, siano adeguatamente indicate le ragioni del convincimento espresso, senza che vi sia necessità di discutere ogni singolo elemento e di confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 16056/2016).

6.2. Neppure ricorre il vizio di omesso esame di fatti decisivi, atteso che, secondo il costante indirizzo di questa Corte, al quale il Collegio intende dare continuità, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora i fatti storici, rilevanti in causa (nella specie la condizione lavorativa della figlia A. e la situazione economica della madre), siano stati comunque presi in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. n. 27415 del 2018). Peraltro il ricorrente si duole della mancata ammissione dei mezzi istruttori anche in relazione al contributo di mantenimento del figlio M. (pag. n. 21 ricorso), che non è stato riconosciuto dai giudici di merito.

7. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, con distrazione in favore del difensore della controricorrente, dichiaratosi antistatatario.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.900, di cui Euro 100 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge, con distrazione in favore del difensore della controricorrente, dichiaratosi antistatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, il 15 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2020

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