La Corte Suprema di Cassazione, con un’importante pronuncia in materia di diritto del lavoro, ha stabilito un principio fondamentale riguardante i licenziamenti ritorsivi e il legittimo rifiuto di prestazione da parte del lavoratore. Il caso in esame riguarda un dipendente con mansioni di guardia particolare giurata, licenziato per aver rifiutato di utilizzare un’autovettura che, per le sue caratteristiche fisiche, risultava oggettivamente inadeguata allo svolgimento del servizio. La Corte ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Bologna, dichiarando la nullità del licenziamento in quanto ritenuto di natura ritorsiva.
La decisione si fonda sul principio dell’eccezione di inadempimento (inadimplenti non est adimplendum) secondo cui una parte può legittimamente rifiutarsi di adempiere alla propria obbligazione quando l’altra parte è inadempiente. Nel caso specifico, al lavoratore era stato assegnato un veicolo nel quale, per la sua corporatura e alta statura, non entrava fisicamente e che era anche privo di sedile regolabile. Nonostante questo, egli era rimasto a disposizione dell’azienda fino al termine del turno, tenendo un comportamento consono e non censurabile.
La Suprema Corte ha ritenuto che il licenziamento fosse stato utilizzato come strumento ritorsivo, in risposta alle precedenti richieste del lavoratore di rotazione dei turni, mai accolte dalla società. Questa pronuncia ribadisce l’importanza della buona fede nell’esecuzione del contratto di lavoro e della proporzionalità tra gli inadempimenti delle parti in un rapporto sinallagmatico come quello lavorativo.
➡️RICHIEDI UNA CONSULENZA ⬅️ all’Avv. Cosimo Montinaro – email segreteria@studiomontinaro.it
Indice
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
- SCARICA LA SENTENZA ⬇️
ESPOSIZIONE DEI FATTI
La vicenda giudiziaria prende avvio dal licenziamento intimato con lettera del 31.10.2019 da una società di vigilanza privata nei confronti di un proprio dipendente con mansioni di guardia particolare giurata. Il rapporto di lavoro era regolato dal CCNL Vigilanza privata.
Il licenziamento disciplinare era stato adottato a seguito di procedimento disciplinare per rifiuto reiterato di prestazione dell’attività lavorativa, comportamento qualificato dall’azienda come insubordinazione e abbandono del posto di lavoro.
Nello specifico, al dipendente era stato assegnato un mezzo per lo svolgimento del servizio stradale di controllo notturno che, per la sua corporatura e alta statura, risultava inadeguato: si trattava di un’autovettura nella quale il lavoratore non entrava fisicamente e che era anche priva di sedile regolabile.
Nonostante l’impossibilità oggettiva di utilizzare il veicolo assegnato, il lavoratore era rimasto a disposizione dell’azienda nei giorni contestati fino al termine del turno, tenendo un comportamento che i giudici hanno poi ritenuto consono e non censurabile.
Da quanto emerso in fase istruttoria, il dipendente aveva in precedenza formulato richieste di rotazione dei turni, che non erano state riscontrate o accolte dalla società. I giudici di merito hanno inoltre rilevato che la ritorsività della condotta datoriale era riscontrabile anche nell’elevazione di tre diverse contestazioni disciplinari pressoché contestuali, due delle quali successivamente abbandonate, mentre la terza (quella oggetto del procedimento) è stata giudicata insussistente in fatto.
Il Tribunale di Bologna, adito in primo grado, aveva emesso sentenza favorevole al lavoratore, ma senza motivazione a causa del decesso del giudice prima del deposito delle motivazioni. La Corte d’Appello di Bologna ha confermato il dispositivo del Tribunale, dichiarando la nullità del licenziamento e condannando la società a reintegrare il lavoratore e a corrispondergli un’indennità commisurata all’ultima retribuzione mensile per il calcolo del TFR dal licenziamento all’effettiva reintegrazione.
NORMATIVA E PRECEDENTI
La sentenza della Cassazione si inserisce in un consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di eccezione di inadempimento nel rapporto di lavoro. Il cardine normativo è rappresentato dall’art. 1460 del Codice Civile, che disciplina l’eccezione inadimplenti non est adimplendum, in base alla quale una parte può legittimamente rifiutarsi di adempiere alla propria obbligazione se l’altra parte non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria.
Nel contesto lavorativo, la Corte ha precisato che l’applicazione di tale principio richiede una valutazione comparativa degli opposti inadempimenti, considerando la loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e la loro incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sui loro interessi.
La Cassazione richiama diversi precedenti giurisprudenziali (Cass. n. 11927/2013, n. 20123/2017, n. 11408/2018, n. 20745/2018, n. 434/2019, n. 21391/2019, n. 30654/2023) in cui si afferma che il rifiuto di eseguire la prestazione è legittimo quando non risulta contrario alla buona fede ed è accompagnato da una seria ed effettiva disponibilità a prestare servizio.
Particolarmente rilevante è il principio secondo cui il rifiuto deve essere proporzionato all’illegittimo comportamento del datore di lavoro e conforme al canone di buona fede. Precedenti in materia includono casi di svolgimento di mansioni non spettanti (Cass. n. 836/2018) e di trasferimento non adeguatamente giustificato (Cass. n. 3959/2016, n. 29054/2017, n. 434/2019).
Anche in tema di licenziamento ritorsivo, la Corte richiama una consolidata giurisprudenza (Cass. n. 2725/2017, n. 26035/2018, n. 23583/2019, n. 17266/2024) secondo cui è ravvisabile il motivo ritorsivo quale fattore unico e determinante del recesso quando la ragione addotta risulta meramente formale, apparente o pretestuosa.
DECISIONE DEL CASO E ANALISI
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società datrice di lavoro, confermando la nullità del licenziamento per la sua natura ritorsiva. L’analisi della Suprema Corte si è sviluppata attraverso l’esame di cinque motivi di ricorso, tutti respinti.
Con riferimento al primo motivo, relativo alla presunta violazione degli artt. 1460 e 2119 c.c., la Corte ha ribadito che il rifiuto del lavoratore era giustificato dalla oggettiva impossibilità di utilizzare il veicolo assegnato. I giudici hanno evidenziato che la Corte d’Appello ha correttamente applicato il principio di proporzionalità tra gli inadempimenti, ritenendo che l’assegnazione di un mezzo inadeguato costituisse un inadempimento significativo da parte del datore di lavoro.
Per quanto riguarda il secondo motivo, concernente la presunta insubordinazione nei confronti dei superiori gerarchici, la Cassazione ha rilevato che tale condotta era stata esclusa in fatto dai giudici di merito. La Corte ha ribadito che la valutazione della gravità e proporzionalità della condotta rientra nell’attività sussuntiva del giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo nei limiti di una valutazione di ragionevolezza.
In relazione al terzo motivo, riguardante la natura ritorsiva del licenziamento, la Suprema Corte ha confermato che la sentenza impugnata è conforme ai principi di legittimità in materia. I giudici hanno sottolineato che il giudice di merito può valorizzare tutti gli elementi acquisiti per ritenere raggiunta, anche in via presuntiva, la prova del carattere ritorsivo del recesso.
Con riguardo al quarto motivo, concernente la liquidazione delle spese di lite, la Corte ha respinto la censura, non essendo stato denunciato lo sforamento dei limiti tabellari.
Infine, il quinto motivo, relativo alla reintegra nel posto di lavoro, è stato dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, avendo il lavoratore esercitato il diritto di opzione in luogo della reintegra e avendo la Corte d’Appello già provveduto alla correzione del dispositivo.
ESTRATTO DELLA SENTENZA
“Il cardine della legittimità dell’eccezione inadimplenti non est adimplendum, alla stregua della quale la parte adempiente può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico, è la valutazione, avuto riguardo alle circostanze concrete, che il rifiuto non risulti contrario alla buona fede e sia accompagnato da una seria ed effettiva disponibilità a prestare servizio, valutazione rimessa al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se espressa con motivazione adeguata ed immune da vizi logico-giuridici. La Corte di Bologna, in corretta applicazione dei sopra enunciati principi di diritto, si è data carico dei reciproci inadempimenti delle parti, in considerazione delle concrete circostanze del caso, ricavando, dagli elementi di fatto raccolti, la prova della buona fede del lavoratore nell’opporre eccezione di inadempimento a ordini di servizio impraticabili.”
(Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Ordinanza n. 6966/2025)