Maltrattamenti in famiglia: Cassazione conferma condanna per marito violento

Maltrattamenti in famiglia: Cassazione conferma condanna per marito violento

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 6074/2021 (testo integrale in calce), ha confermato la condanna di un uomo per i reati di maltrattamenti e lesioni ai danni della moglie.

I fatti:

  • L’uomo era accusato di aver sottoposto la moglie a continue umiliazioni verbali, schiaffi, percosse, costrizioni a rapporti sessuali non voluti, lancio di oggetti anche davanti ai figli minori e fino alla privazione della disponibilità delle proprie risorse economiche.
  • La donna era stata costretta a rimanere in casa contro la sua volontà o a uscire solo se accompagnata dal marito.
  • L’uomo era inoltre accusato di averle causato lesioni.

La decisione:

  • La Corte di Cassazione ha ritenuto che la condanna dell’uomo fosse fondata su prove solide e convincenti.
  • In particolare, la Corte ha dato credito alle dichiarazioni della donna, ritenute precise, coerenti e supportate da altri elementi di prova, come le testimonianze di amici e familiari, le relazioni degli psicologi e degli assistenti sociali che avevano avuto in carico il nucleo familiare.
  • La Corte ha anche rilevato che l’uomo aveva dimostrato un atteggiamento vessatorio e prevaricatorio nei confronti della moglie, privandola della sua libertà e autonomia.

La condanna:

  • L’uomo è stato condannato a una pena detentiva e al pagamento di un risarcimento danni alla moglie.

La prescrizione:

  • La Corte di Cassazione ha rilevato che, nel corso del giudizio, era maturata la prescrizione dei reati per i quali si era proceduto.
  • Tuttavia, la condanna dell’uomo è stata comunque confermata, in quanto la prescrizione non estingue l’obbligo di risarcire il danno alla persona offesa.

Considerazioni finali:

  • La sentenza della Corte di Cassazione rappresenta un importante passo avanti nella tutela delle donne vittime di maltrattamenti in famiglia.
  • La Corte ha infatti riaffermato la necessità di dare piena credibilità alle dichiarazioni delle donne che denunciano violenze, sottolineando l’importanza di un adeguato supporto psicologico e sociale per le vittime di tali reati.

Avv. Cosimo Montinaro

(avvocato esperto in diritto di famiglia)


Corte di Cassazione, sentenza n. 6074/2021

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 6074/2021, ha confermato la pronuncia della Corte d’Appello di Bologna a seguito di gravame proposto dal marito avverso la sentenza emessa il 19/5/2016 dal Tribunale di Piacenza, con la quale era stato riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi A) art. 572 c.p. ai danni della moglie convivente) e B) art. 81 cpv. c.p., art. 61 c.p., n. 2, artt. 582 e 585 c.p., art. 577 c.p., comma 1 e u.c., ai danni della moglie convivente, e condannato a pena di giustizia, oltre le statuizioni in favore della parte civile costituita.

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Bologna, a seguito di gravame interposto dall’imputato P.V. avverso la sentenza emessa il 19/5/2016 dal Tribunale di Piacenza, ha confermato la decisione con la quale il predetto imputato è stato riconosciuto colpevole dei reati di cui ai capi A)(art. 572 c.p. ai danni della moglie convivente) e B) (art. 81 cpv. c.p., art. 61 c.p., n. 2, artt. 582 e 585 c.p., art. 577 c.p., comma 1 e u.c., ai danni della moglie convivente) e condannato a pena di giustizia, oltre le statuizioni in favore della parte civile costituita.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato che, con atto del difensore, deduce:

2.1. Con il primo motivo, violazione della legge penale in relazione agli artt. 3 e 33 della convenzione di Istanbul del 1/5/2011, artt. 572 e 582 c.p. e vizio cumulativo della motivazione in relazione alla sussistenza del reato di maltrattamenti nonchè carenza dell’elemento psicologico dei reati di cui agli artt. 572 e 582 c.p..

La sentenza ha omesso di considerare le seguenti questioni funzionali alla affermazione di responsabilità:

– Attendibilità della versione dei fatti fornita dalla persona offesa con riferimento al complesivo regime di vita impostole nel corso della convivenza dall’imputato nonchè all’episodio delle lesioni;

– Individuazione delle cause originanti i singoli litigi e loro contestualizzazione;

– Valenza delle testimonianze delle operatrici sociali, delle insegnanti e delle amiche che hanno fatto cenno, per averlo appreso dalla donna, a sporadici litigi familiari;

– Comportamento della persona offesa che non ha mai interrotto la convivenza;

– Riconducibiità dei fatti ascritti all’imputato nell’ambito di una condotta oppressiva, prevaricatoria e reiterata nel tempo, che assuma la connotazione di abitualità;

– Sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di maltrattamenti e della volontà di cagionare le lesioni;

– Risultanze della perizia medico-legale;

– Decorso di notevole lasso temporale tra i fatti contestati del reato di maltrattamenti e la loro denuncia.

2.2. Con il secondo motivo, violazione ed inosservanza dell’art. 192 c.p.p., comma 1, artt. 533 e 546 c.p.p. per la omessa congrua risposta ai motivi di appello segnatamente con riguardo alle censure mosse alle variabili versioni offerte dalla parte offesa in uno alla condizione socio-personale e all’ambiente militare di appartenenza dell’imputato, indici di scarsa attendibilità del narrato.

In particolare, con riferimento al delitto di lesioni in relazione al quale la donna ha artatamente attribuito ai documenti valenza accusatoria in contrasto con le testimonianze e la relazione medico-legale e del consulente dell’imputato. Inoltre, il contenuto delle trascrizioni audio e delle deposizioni in atti dimostrano la totale assenza di una condizione di sudditanza della persona offesa che ha tenuto sempre un rapporto paritetico con l’imputato. La Corte, peraltro, ha omesso di verificare con il rigore richiesto le dichiarazioni della persona offesa in relazione alla sua costituzione di parte civile.

2.3. Con il terzo motivo, violazione ed inosservanza degli artt. 192220 e 546 c.p.p. con vizio della motivazione in relazione alla valutazione delle prove a discarico dell’imputato. La Corte distrettuale ha immotivatamente affermato che le dichiarazioni dei testi della difesa non incrinavano l’impianto accusatorio e che l’inaffidabilità della documentazione fotografica condizionava le conclusioni dell’accertamento medico-legale svolto.

2.4. Con il quarto motivo, violazione degli artt. 538 e 539 c.p.p., art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 546 c.p.p. in relazione alla quantificazione del danno in favore della parte civile non avendo la Corte risposto alla doglianza del ricorrente circa la eccessività dell’importo liquidato in quanto alcuna considerazione è stata svolta sulla intensità della violazione della libertà morale e fisica della persona offesa, del turbamento psichico cagionato e delle conseguenze sul piano psicologico individuale e dei rapporti intersoggettivi.

2.5. Si fa rilevare, infine, che nelle more del deposito del ricorso è maturata la prescrizione dei reati per i quali si è proceduto, avvenuta il 15 dicembre 2019.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Con i primi tre motivi il ricorrente si limita a riproporre questioni in fatto alle quali la Corte ha risposto senza incorrere in vizi logici e giuridici, dando puntuale risposta alle censure in appello.

La Corte di merito ha confermato la responsabilità dell’imputato in ordine ai delitti di maltrattamenti e lesioni ascrittigli sulla base di un articolato giudizio di credibilità soggettiva della parte offesa, anche tenuto conto della intervenuta costituzione di parte civile (v. pg. 8 e sgg. della sentenza) escludendosi che le sue dichiarazioni siano state influenzate da ragioni di ordine economico o di natura ritorsiva, sulla base delle modalità di denunzia dei fatti – sin dalle sue prime segnalazioni al servizio sociale – e della successiva condotta tenuta nel corso del procedimento in relazione alla quale è anche considerata non illogicamente la natura ambivalente e spesso accondiscente del suo atteggiamento segnatamente per la soggezione nei confronti dell’imputato per la sua posizione lavorativa, essendo all’epoca appartenente alle Forze Armate in quanto Maresciallo dell’Areonautica militare e per la volontà di salvaguardare la sua famiglia – del tutto compatibile con il reato di maltrattamenti in contestazione ed in conformità all’orientamento in tema di valutazione della prova testimoniale secondo il quale l’ambivalenza dei sentimenti provati dalla persona offesa nei confronti dell’imputato non rende di per sè inattendibile la narrazione delle violenze e delle afflizioni subite, imponendo solo una maggiore prudenza nell’analisi delle dichiarazioni in seno al contesto degli elementi conoscitivi a disposizione del giudice (Sez. 6, n. 31309 del 13/05/2015, S.,Rv. 264334).

Quanto al profilo di credibilità oggettiva, è stato ineccepibilmente considerato che, pur a distanza di anni dai fatti in contestazione, la donna ha riferito i numerosi episodi in maniera precisa ed intrinsecamente logica, senza incorrere in contraddizioni pur manifestando un forte turbamento emotivo nel ripercorrere le vicende oggetto del giudizio. Ed alle dichiarazioni della persona offesa risultano aver dato riscontro le testimonianze di amici e colleghi della stessa nonchè le insegnanti del figlio F., gli psicologi e gli assistenti sociali che hanno avuto in carico il nucleo familiare (v, in particolare, pg. 14 e sg. della sentenza).

Quanto alla valutazione degli elementi probatori a discarico ampia motivazione, scevra da vizi logici e giuridici, è espressa a riguardo del rigetto della correlata deduzione in appello (v. pg. 11 e sgg.), evidenziandosi che dette censure avevano ad oggetto elementi già valutati dal primo Giudice. La Corte ha poi aggiunto – per quanto riguarda le registrazioni effettuate autonomamente dall’imputato – che il loro grado di affidabilità doveva tener conto della provenienza e della incompletezza delle registrazioni e che, in ogni caso, non contrastavano l’accusa in quanto una certa aggressività verbale della persona offesa documentata nelle registrazioni – da un lato – non si mostra incompatibile lo stato di soggezione proprio della vittima dei maltrattamenti; dall’altro, non potendosi verificare il contesto in cui tali espressioni sono state pronunciate, specie considerando l’iniziativa dell’imputato nell’operare le registrazioni con il proprio telefono e, quindi, poter verificare la natura reattiva delle espressioni della donna all’insopportabile dinamica familiare contrassegnata peraltro dal grande timore di vedersi portati via i figli da parte di un marito percepito come culturalmente e professionalmente a lei superiore. Del tutto congrua rispetto alla valutazione di non incidenza del contenuto di dette registrazioni è la considerazione che secondo la stessa loro datazione fornita dall’imputato – risalivano ad un periodo in cui il rapporto tra i due coniugi era già irrimediabilmente compromesso, tanto che da lì a poco la convivenza sarebbe venuta meno; come pure che, il forte sospetto da parte della donna di essere registrata le provocasse una reazione per la quale manifestava toni particolarmente aggressivi,sentendola accusare il marito di esercitare nei suoi confronti una violenza psicologica.

Quanto alla valutazione dei testi della difesa, familiari ed amici dell’imputato, la Corte fa ineccepibilmente propria quella del primo Giudice circa la inidoneità delle testimonianze ad inficiare le ragioni dell’accusa essendo le dichiarazioni per lo più incentrate su aspetti riguardanti l’attaccamento della persona offesa ai due figli minori ed alla conflittualità del rapporto tra moglie e suocera.

La abitualità della condotta maltrattante – come si desume dalla analitica esposizione dei motivi da parte della sentenza impugnata – non è stata oggetto di specifica devoluzione in appello,volto a censurare radicalmente la scarsa credibilità della parte offesa ed ogni responsabilità dell’imputato.Essa risulta accertata nel primo giudizio – che si salda con quello di appello – in base al comportamento vessatorio dell’imputato nei confronti della moglie consistito in continue umiliazioni verbali, schiaffi percosse, costrizioni a rapporti sessuali non voluti, lancio di oggetti anche davanti ai figli minori e fino alla privazione della disponibilità delle proprie ricorse economiche e costretta a rimanere in casa, o al contrario, a uscire contro la sua volontà.

Quanto all’episodio di lesioni alcuna specifica censura risulta rispetto alla articolata motivazione (pg.15 e sg.) che conclude per l’inidoneità dell’accertamento medico-legale a sconfessare le dichiarazioni della parte offesa con riguardo all’epoca delle lesioni, facendo leva sulla inaffidabilità del reperto fotografico a riguardo attraverso le dichiarazioni dello stesso perito Dott. B. e del teste D.L., assistente capo in servizio presso la Questura di (OMISSIS), che aveva materialmente effettuato i rilievi fotografici.

3. Il quarto motivo è inammissibile in quanto genericamente proposto rispetto alla puntuale motivazione espressa dalla sentenza sulla entità della liquidazione del danno pari a 15mila Euro a titolo di danno non patrimoniale (v. pg. 16 e sg.) sulla base dell’entità del patimento sofferto dalla vittima nei molti anni in cui è stata sottoposta ad un clima di violenza e sopraffazione, essendo umiliata anche in presena di figli minori, tanto da doversi rivolgere a specialisti per seguire un percorso psicologico.

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso – che impedisce di apprezzare il decorso della prescrizione successivamente alla sentenza impunata – consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma che si stima equo determinare in Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. L’imputato deve, inoltre, essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile S.V. ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Bologna con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile S.V. ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Bologna con separato decreto di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2021

.

Torna in alto