Nel delicato ambito della responsabilità medica in chirurgia estetica, le aspettative della paziente si scontrano spesso con esiti insoddisfacenti che generano controversie giudiziarie complesse. Una recente pronuncia del Tribunale di Latina del 2025 ha affrontato proprio questa tematica, esaminando il caso di una donna che si era sottoposta a un intervento di mastoplastica additiva con risultati estetici non conformi alle legittime aspettative concordate.
La vicenda ha origine da un primo intervento eseguito presso una struttura sanitaria privata, cui è seguito a breve distanza un secondo intervento riparatorio resosi necessario per correggere una problematica di dislocazione delle protesi mammarie. Nonostante il tentativo di rimediare, la paziente ha lamentato un risultato estetico non ottimale, caratterizzato da asimmetria dei seni e differente dimensione delle protesi impiantate.
La sentenza riveste particolare interesse non soltanto per l’aspetto sostanziale legato alla quantificazione del danno in chirurgia estetica, ma anche e soprattutto per il chiarimento fornito dal giudice in merito ai termini processuali previsti dalla Legge Gelli-Bianco in materia di accertamento tecnico preventivo. La struttura sanitaria convenuta aveva infatti eccepito l’improcedibilità della domanda per asserito superamento dei termini di legge.
Il Tribunale ha dovuto confrontarsi con una duplice questione: da un lato, stabilire se e in che misura sussistesse una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e una responsabilità extracontrattuale del medico chirurgo per l’errata esecuzione dell’intervento; dall’altro, chiarire definitivamente la portata applicativa dei termini previsti dall’articolo 8 della Legge 24 del 2017 per il deposito del ricorso di merito successivo all’ATP.
La pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale che sta progressivamente delineando i confini della tutela del paziente nel difficile bilanciamento tra diritto alla salute, legittima aspettativa di un risultato estetico soddisfacente e necessità di garantire certezza dei tempi processuali senza comprimere eccessivamente il diritto di azione.
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Avv. Cosimo Montinaro – email segreteria@studiomontinaro.it
Indice
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI
La vicenda giudiziaria trae origine dalla decisione di una donna di sottoporsi a un intervento di mastoplastica additiva presso una clinica privata nel mese di novembre del 2018. L’operazione, che avrebbe dovuto migliorare l’aspetto estetico del seno attraverso l’impianto di protesi mammarie, si è rivelata fin da subito problematica.
Nei giorni immediatamente successivi al primo intervento chirurgico, la paziente ha iniziato a manifestare forte dolore al seno e ha notato con preoccupazione che le protesi impiantate si erano spostate dalla posizione originaria, assumendo una collocazione asimmetrica. Tale circostanza ha reso necessario un immediato ritorno presso la struttura sanitaria per sottoporre il caso all’attenzione del personale medico.
La situazione si è rivelata talmente problematica da richiedere un secondo intervento chirurgico riparatorio volto a correggere la dislocazione delle protesi mammarie. Tuttavia, nonostante questo tentativo di rimediare agli errori del primo intervento, la paziente ha continuato a riscontrare anomalie significative nel risultato finale. In particolare, è stata accertata la presenza di un evidente dislivello nell’allocazione delle due protesi l’una rispetto all’altra, con conseguente asimmetria dei seni e differente dimensione tra le due mammelle.
Di fronte a questa situazione insoddisfacente e ai pregiudizi estetici e psicologici derivanti dall’insuccesso dell’intervento, la donna ha deciso di tutelare i propri diritti attraverso gli strumenti processuali previsti dall’ordinamento. Ha quindi promosso un procedimento di accertamento tecnico preventivo ai sensi dell’articolo 696 bis del codice di procedura civile, con l’obiettivo di verificare attraverso una consulenza tecnica d’ufficio l’effettiva sussistenza di una responsabilità professionale nella condotta del medico chirurgo e della struttura sanitaria.
Durante il procedimento di ATP, la struttura convenuta ha esercitato il proprio diritto di chiamare in causa il medico chirurgo che aveva materialmente eseguito gli interventi, al fine di accertare eventuali profili di responsabilità personale del professionista. La consulenza tecnica d’ufficio è stata quindi espletata con regolarità e ha portato al deposito di una relazione peritale che ha evidenziato criticità nell’esecuzione dell’intervento.
Sulla base delle risultanze tecniche emerse dal procedimento ante causam, la paziente ha quindi introdotto il giudizio di merito mediante ricorso, richiedendo il ristoro dei danni non patrimoniali consistenti nel danno biologico, nel danno morale ed esistenziale per il pregiudizio estetico subito, nonché il rimborso dei danni patrimoniali rappresentati dalle spese sostenute per l’intervento non riuscito e dalle spese di consulenza tecnica di parte.
NORMATIVA E PRECEDENTI
La questione giuridica affrontata dal Tribunale di Latina richiede l’esame di due distinti profili normativi: quello sostanziale, relativo alla configurazione della responsabilità sanitaria, e quello procedurale, concernente l’interpretazione dei termini previsti dalla Legge 8 marzo 2017 numero 24, nota come Legge Gelli-Bianco.
Sul piano sostanziale, il quadro normativo di riferimento è rappresentato dall’articolo 7 della Legge 24 del 2017, che ha operato una ripartizione tra la responsabilità della struttura sanitaria e quella dell’esercente la professione sanitaria. La struttura sanitaria, sia essa pubblica o privata, risponde delle condotte dolose o colpose degli esercenti la professione sanitaria che operano al suo interno secondo le regole della responsabilità contrattuale di cui agli articoli 1218 e 1228 del codice civile. Questo significa che la struttura assume un’obbligazione nei confronti del paziente che si rivolge ad essa per ricevere prestazioni sanitarie, e risponde dell’inadempimento o dell’inesatto adempimento di tale obbligazione.
La responsabilità contrattuale comporta conseguenze rilevanti in termini di regime probatorio e prescrizione. Il termine di prescrizione è infatti di dieci anni dalla data in cui il diritto può essere fatto valere, e il paziente danneggiato è tenuto soltanto a provare il titolo da cui deriva l’obbligazione, restando a carico della struttura l’onere di dimostrare l’esatto adempimento o l’inadempimento non imputabile. Inoltre, il danno risarcibile è limitato a quello prevedibile al momento in cui è sorta l’obbligazione, salvo i casi di dolo.
Diversa è invece la posizione dell’esercente la professione sanitaria, il quale risponde del proprio operato secondo le regole della responsabilità extracontrattuale previste dall’articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia assunto direttamente con il paziente un’obbligazione contrattuale. In questo caso, il termine prescrizionale è ridotto a cinque anni e l’onere della prova grava integralmente sul danneggiato, che deve allegare e provare il fatto illecito, il danno, l’elemento soggettivo e il nesso di causalità tra condotta ed evento.
Con riferimento alla limitazione di responsabilità del sanitario, occorre richiamare l’articolo 2236 del codice civile, che prevede la responsabilità per sola colpa grave quando la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che tale limitazione opera esclusivamente quando la particolare complessità del caso clinico trascende la preparazione media del professionista.
Sul versante procedurale, la questione centrale riguarda l’interpretazione dell’articolo 8 comma 3 della Legge Gelli-Bianco, che prevede che la domanda di merito debba essere proposta entro novanta giorni dal deposito della relazione del consulente tecnico o dalla scadenza del termine perentorio fissato dal giudice. La struttura sanitaria convenuta aveva eccepito l’improcedibilità della domanda per asserito superamento di tale termine.
Sul punto è intervenuta la Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 11804 del 2025, che ha chiarito come il giudizio regolato dall’articolo 8 della Legge 24 del 2017 non abbia natura unitaria bifasica, ma preveda un collegamento funzionale tra procedimento di ATP e giudizio di merito. Gli effetti della domanda giudiziale di merito, sia sostanziali che processuali, retroagiscono al momento del deposito del ricorso ex articolo 696 bis del codice di procedura civile, a condizione che il giudizio di merito venga introdotto tempestivamente.
La Suprema Corte ha inoltre precisato che la norma non prevede alcuna sanzione espressa di improcedibilità per il deposito del ricorso di merito oltre i novanta giorni, e che un’interpretazione estensiva in tal senso contrasterebbe con i principi di accelerazione ed economia processuale. La perentorietà del termine ha quindi la sola funzione di determinare il momento a partire dal quale la domanda diviene procedibile, mentre l’unico effetto del deposito tardivo è la perdita della retroazione degli effetti al tempo del deposito del ricorso per ATP.
DECISIONE DEL CASO E ANALISI
Il Tribunale di Latina ha articolato la propria decisione affrontando preliminarmente la questione procedurale dell’asserita improcedibilità della domanda, per poi esaminare nel merito i profili di responsabilità sanitaria e procedere alla quantificazione del danno risarcibile.
In ordine all’eccezione preliminare sollevata dalla struttura sanitaria, il giudice ha ritenuto di doverla rigettare sulla base di due distinte argomentazioni. In primo luogo, ha accertato che nel caso di specie la relazione dell’accertamento tecnico preventivo era stata depositata a gennaio del 2024 e il ricorso di merito era stato depositato ad aprile dello stesso anno, quindi ben all’interno del termine di novanta giorni previsto dall’articolo 8 comma 3 della Legge Gelli-Bianco.
In secondo luogo, il Tribunale ha aderito all’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, secondo cui il termine di centoventi giorni dal deposito del ricorso per ATP è funzionale soltanto a preservare gli effetti sostanziali e processuali della domanda introdotta con l’accertamento tecnico preventivo, e non incide sulla procedibilità della domanda di merito in sé considerata. Una diversa interpretazione, più rigorosa, sarebbe contraria al principio della ragionevole durata del processo e aggraverebbe inutilmente l’accesso alla giustizia.
Il giudice ha richiamato anche la giurisprudenza della Corte Costituzionale, che ha affermato come la garanzia del diritto di azione tolleri dilazioni temporali al suo esercizio soltanto in vista della salvaguardia di interessi generali, quale l’alleggerimento del carico di lavoro degli uffici giudiziari.
Venendo al merito della controversia, il Tribunale ha riconosciuto la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per i pregiudizi subiti dalla paziente a seguito della non corretta esecuzione dell’intervento di mastoplastica additiva. Tale conclusione si è fondata sulle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio espletata in sede di ATP, dalla quale è emerso che erano stati commessi errori di tecnica chirurgica e di scelta dei volumi protesici, con conseguente risultato estetico non ottimale rispetto a quello che si sarebbe potuto ottenere con una corretta esecuzione.
