Il fenomeno della multiproprietà immobiliare continua a sollevare questioni giuridiche complesse, come dimostra una recente sentenza della Corte d’Appello di Lecce del 2024. Il caso affronta un tema controverso: è possibile per un multiproprietario rinunciare alla propria quota per liberarsi dall’obbligo di pagare le spese condominiali? La decisione della Corte fornisce importanti chiarimenti sulla natura giuridica della multiproprietà e sui limiti alla facoltà di rinuncia dei diritti reali immobiliari. Ma quali sono le implicazioni pratiche per i multiproprietari e gli amministratori dei complessi residenziali?
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INDICE
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
ESPOSIZIONE DEI FATTI
La controversia trae origine dall’opposizione proposta da una società contro un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Lecce. Il provvedimento ingiungeva alla società il pagamento di oltre 300.000 euro in favore della Comunione di un complesso residenziale in multiproprietà, a titolo di quota di spese condominiali relative all’esercizio 2014/2015.
La società opponente contestava la pretesa creditoria, deducendo di aver formalmente rinunciato alle proprie quote di multiproprietà con atto notarile del 15 ottobre 2015, quindi in data antecedente alla delibera assembleare del 19 dicembre 2015 che aveva approvato il bilancio consuntivo e le relative spese. Secondo la tesi dell’opponente, la rinuncia abdicativa alle quote di multiproprietà, comunicata all’amministratore del complesso, avrebbe determinato la cessazione della sua qualità di comunista e, conseguentemente, l’estinzione dell’obbligo di contribuire alle spese comuni deliberate successivamente.
A sostegno della propria posizione, la società invocava l’applicazione dell’art. 1104 del codice civile in materia di comunione, che consente al partecipante di liberarsi dall’obbligo di contribuire alle spese mediante rinuncia al suo diritto. L’opponente riteneva che tale norma fosse applicabile anche alla multiproprietà, qualificata come una forma di “comproprietà pro indiviso” dal regolamento del complesso residenziale.
Il Complesso opposto eccepiva invece l’inapplicabilità dell’art. 1104 c.c. alla multiproprietà, sostenendo che la rinuncia non potesse produrre effetti liberatori in quanto incompatibile con la natura e la funzione di tale istituto. Inoltre, rilevava che l’accertamento dell’efficacia della rinuncia avrebbe richiesto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti gli altri multiproprietari.
Il Tribunale di Lecce, con sentenza del 2019, respingeva l’opposizione, ritenendo invalida ed inefficace la rinuncia alle quote di multiproprietà effettuata dalla società. Il giudice di prime cure escludeva l’applicabilità dell’art. 1104 c.c., evidenziando le differenze ontologiche tra comunione ordinaria e multiproprietà, e ritenendo invece applicabile l’art. 1118 c.c. in materia di condominio, che vieta la rinuncia al diritto sulle parti comuni per liberarsi dall’obbligo di contribuire alle spese.
Avverso tale decisione, la società soccombente proponeva appello, contestando l’interpretazione fornita dal Tribunale e insistendo sulla validità ed efficacia della propria rinuncia abdicativa.
NORMATIVA E PRECEDENTI
La controversia in esame chiama in causa diverse norme del codice civile e principi giurisprudenziali in materia di comunione, condominio e multiproprietà.
In primis, viene in rilievo l’art. 1104 c.c. sulla comunione, che al secondo comma prevede la facoltà del partecipante di liberarsi dall’obbligo di contribuire alle spese mediante rinuncia al suo diritto. Tale norma esprime il favor del legislatore per lo scioglimento della comunione ordinaria, considerata uno stato tendenzialmente transitorio.
Di contro, assume centrale importanza l’art. 1118 c.c. in tema di condominio, che al secondo comma stabilisce che il condomino non può rinunciare al suo diritto sulle parti comuni, neppure per liberarsi dall’obbligo di contribuire alle relative spese. Questa disposizione sancisce il principio di indivisibilità delle parti comuni condominiali.
Fondamentale è poi l’art. 1117 c.c., come modificato dalla L. 220/2012, che ha esteso espressamente l’applicazione delle norme condominiali anche ai proprietari di unità immobiliari aventi diritto a godimento periodico, includendo così la multiproprietà.
Vengono inoltre in rilievo gli artt. 1102, 1111 e 1112 c.c. sulla comunione, che disciplinano rispettivamente l’uso della cosa comune, lo scioglimento della comunione e l’indivisibilità.
Sul piano giurisprudenziale, la sentenza richiama importanti pronunce della Cassazione sulla natura giuridica della multiproprietà, in particolare:
- Cass. n. 6352/2010, che qualifica la multiproprietà come diritto di godimento turnario su un bene, individuando la quota in termini di effettiva entità della partecipazione al godimento dell’alloggio;
- Cass. n. 6750/2018, che ribadisce la riconducibilità della multiproprietà agli schemi della comunione e del condominio;
- Cass. n. 27145/2007 e n. 6175/2009 sul vincolo di accessorietà tra parti comuni e unità immobiliari esclusive nel condominio.
La Corte d’Appello cita inoltre la recente sentenza delle Sezioni Unite n. 5657/2023 sul giudizio di meritevolezza ex art. 1322 c.c., escludendo che possa fondarsi sul mero squilibrio economico del contratto.
Rilevante è anche il richiamo alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 77/2018, che ha ampliato le ipotesi di compensazione delle spese processuali ex art. 92 c.p.c.
Infine, la sentenza menziona l’ordinanza del Tribunale di Venezia n. 4569/2024 che ha sollevato questione di legittimità costituzionale sulla rinuncia abdicativa ai diritti reali immobiliari, evidenziando come il tema sia ancora oggetto di dibattito.