Quando una pioggia intensa può concretizzare il caso fortuito?

MASSIMA – CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE – Sentenza 26 febbraio 2021 n. 5422

Un evento meteorologico, anche di notevole intensità, può essere qualificato come caso fortuito solo se provvisto dei due requisiti dell’eccezionalità ed imprevedibilità, da intendersi, rispettivamente come obiettiva inverosimiglianza dell’evento (il primo) e come una sensibile deviazione dalla normale frequenza statistica (il secondo), atta a rendere quel dato evento, per l’appunto, un’eccezione. Pertanto, se un fenomeno naturale ha una sua cadenza ricorrente, persino saltuaria o infrequente, esso non può essere definito eccezionale ed imprevedibile, proprio perché detta cadenza, per quanto irregolare, non ne esclude la prevedibilità, in base alla comune esperienza“.

TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA

FATTI DI CAUSA

1. N.C. ha agito dinanzi al Tribunale regionale delle acque pubbliche di Napoli contro la Regione Campania per chiedere il risarcimento dei danni verificatisi nel fondo di sua proprietà, posto nel Comune di Cicciano, in seguito alle esondazioni dell’alveo (OMISSIS), avvenute il (OMISSIS).

1.1. La Regione convenuta, nell’eccepire il suo difetto di legittimazione passiva, ha chiesto di essere autorizzata a chiamare in causa il Comune di Cicciano e il Consorzio di bonifica del bacino inferiore del Volturno (d’ora in poi solo Consorzio). Entrambi gli enti si sono costituiti e il Consorzio, anch’esso ritenendo di non essere soggetto passivo del rapporto, ha chiesto di essere autorizzato a chiamare in causa la società di assicurazione Ariscom s.p.a.

2. Con sentenza pubblicata in data 9/3/:2018 il Tribunale regionale ha accolto in parte la domanda e ha condannato la Regione Campania e il Consorzio al risarcimento dei danni subiti dalla N., liquidati in Euro 14.117,94, oltre accessori; ha rigettato la domanda della Regione nei confronti del Comune di Cicciano e quella proposta dal Consorzio nei confronti della società di assicurazione.

3. Con sentenza pubblicata in data 22/5/2019, il Tribunale superiore delle acque pubbliche, investito dell’impugnazione, in via principale, dal Consorzio e, in via incidentale, dalla Argoglobal Assicurazioni s.p.a. (già Ariscom Compagnia di assicurazioni s.p.a.), ha dichiarato inammissibile l’impugnazione incidentale, siccome tardiva; in parziale accoglimento dell’appello principale, ha accolto la domanda di manleva proposta dal Consorzio nei confronti della società di assicurazione; ha quindi rigettato gli altri motivi di appello, perchè infondati.

3.1. A sostegno della sua decisione, per quel che rileva in questa sede, il Tribunale superiore delle acque ha rigettato l’eccezione di nullità dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado per violazione dell’art. 163 c.p.c., nn. 3 e 4; ha dato atto del passaggio in giudicato della sentenza nella parte in cui aveva condannato la Regione Campania al risarcimento dei danni in favore dell’attrice a causa della mancanza di impugnazione da parte della Regione; ha quindi condiviso il giudizio espresso dal Tribunale circa la sussistenza di una responsabilità ex art. 2051 c.c. del Consorzio.

3.2. Al riguardo, ha rilevato che, a norma della L.R. Campania n. 4 del 2003, art. 2, comma 3, dell’art. 3, commi 2 e 5, e dell’art. 12, comma 3, l’alveo (OMISSIS) non rientra tra le opere “di preminente interesse regionale agli effetti di quanto previsto dall’art. 12”, come individuate dal Presidente della giunta, con la conseguenza che non è ravvisabile una competenza esclusiva della Regione Campania nella sua manutenzione.

3.3. Ha poi ritenuto sussistente la responsabilità del Consorzio sulla base della circostanza di fatto, non oggetto di censura, che il canale (OMISSIS) fa parte dei Regi Lagni, creati in età borbonica (il che esclude che si tratti di un corso d’acqua naturale), che tutto il bacino dei (OMISSIS) rientra nel comprensorio di bonifica (OMISSIS) e che tale inclusione rende non necessario un apposito atto di consegna del bene da parte della Regione al Consorzio medesimo.

3.4. Esaminando i motivi di appello riguardanti l’esistenza e l’entità del danno, nonchè il nesso di causalità, il Tribunale ha dato rilievo al compendio probatorio in atti, da cui ha tratto conferma della invasione dei terreni da parte delle acque e la presenza di detriti e oggetti di plastica portati dalla esondazione; sul quantum il Tribunale ha ritenuto che, accertata l’esistenza del danno risarcibile, correttamente il giudice di primo grado lo aveva liquidato in via equitativa.

3.5. Anche il motivo concernente il preteso carattere di eccezionalità degli eventi atmosferici che avevano causato l’esondazione è stato rigettato sulla base del rapporto del 6 novembre 2011, attestante un tempo di ritorno dell’evento atmosferico di circa 25 anni, insufficiente a farlo ritenere eccezionale.

3.6. Il Tribunale superiore ha invece accolto il motivo riguardante la domanda proposta dal Consorzio nei confronti della Argoglobal s.p.a., ritenendo operativa la garanzia anche per l’ipotesi di comportamento gravemente colposo dell’assicurato.

4. Contro la sentenza il Consorzio ha proposto ricorso per cassazione, articolando sei motivi; hanno resistito con tempestivi controricorsi la Regione Campania e la N.; non hanno svolto invece attività difensiva il Comune di Cicciano e la Argoglobal assicurazione S.p.A.. In prossimità dell’udienza il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.).

Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.


RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo di ricorso, il Consorzio denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 163 c.p.c., nn. 3 e 4, e del R.D. n. 1775 del 1933, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: assume la nullità dell’atto introduttivo del giudizio della N. per la mancanza degli elementi identificativi della domanda; tale eccezione era stata sollevata nel giudizio di primo grado e il Tribunale regionale, pur avendo ritenuto necessaria un’integrazione della domanda, nulla aveva disposto al riguardo; la questione era stata poi riproposta nell’atto d’appello.

2. Con il secondo motivo, il Consorzio denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e la falsa applicazione di un insieme di norme (L.R. Campania n. 4 del 2003, artt. 2, 3 e 12; D.Lgs. n. 152 del 2006; R.D. n. 523 del 1904, art. 5; R.D. 13 febbraio 1933, n. 215, artt. 10, 11, 17, 18, 21 e 54; artt. 2051 e 2697 c.c.; artt. 81 e 100 c.p.c.; L. n. 241 del 1990, artt. 2,3 e 15): sostiene di aver eccepito fin dal primo grado il suo difetto di legittimazione passiva (rectius: di titolarità passiva del rapporto), sul presupposto che l’alveo (OMISSIS), in quanto corso d’acqua naturale ricadente nella zona di ampliamento consortile, non era nella sua disponibilità, non essendo stato oggetto di un atto formale di consegna da parte della Regione Campania; la natura demaniale del corso d’acqua (‘acqua naturale, come pacifico in atti e come riconosciuto anche dal TRAP’ pag. 21 del ricorso) comportava il suo assoggettamento a vincolo ambientale, ai sensi della D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 142, comma 1, lett. c), a prescindere dalla sua iscrizione in un elenco, sicchè difettava la necessità di un provvedimento di inserimento del Presidente della giunta; la sentenza, nella parte in cui aveva ritenuto necessario un provvedimento espresso in tal senso, disattendeva il disposto normativo della L. R. n. 4 del 2003, art. 2, comma 3, dell’art. 3, commi 2 e 5, e dell’art. 12, comma 3, nonchè del R.D. 13 febbraio 1933, n. 215, art. 17, in forza del quale le opere idrauliche, consistenti in interventi di sistemazione dei corsi naturali quali fiumi, torrenti, rivi, scoli, valloni rientrano nella competenza dello Stato e non invece dei consorzi. A riprova della mancanza di consegna del bene da parte della Regione, adduce la circostanza di fatto che non era mai stato compilato un piano di classifica e non era mai stata chiesta la contribuzione ai proprietari dei fondi posti nella stessa zona in cui insisteva il fondo della N..

3. Con il terzo motivo, il Consorzio deduce la violazione e la falsa applicazione dello stesso complesso normativo (L.R. n. 4 del 2003, artt. 2, 3 e 12, della R.D. n. 523 del 1904, art. 5, del R.D. n. 215 del 1933, artt. 10,11,17,18,21 e 54, nonchè artt. 2051 e 2697 c.c., artt. 81 e 100 c.p.c.): ribadisce quanto già illustrato nel secondo motivo, censurando in particolare l’affermazione del Tribunale superiore nella parte in cui aveva ritenuto il canale rientrante nel bacino dei (OMISSIS) e, di conseguenza, non necessitante di un formale atto di consegna da parte della Regione; al contrario, tale atto era necessario ai sensi della L.R. n. 4 del 2003 (art. 3), a mente della quale i compiti e gli interventi dei Consorzi di Bonifica sono realizzati dalla Regione con affidamenti in concessione ai Consorzi medesimi (art. 7), e solo in presenza dell’atto formale di consegna sorge per il Consorzio l’obbligo manutentivo.

Aggiunge che R.D. n. 215 del 1933, art. 2, specifica le opere, pur presenti nei comprensori di bonifica, di competenza esclusiva dello Stato (e, oggi, delle regioni), e tra queste vi sono anche le opere idrauliche, comprese quelle di sistemazione dei detti corsi; a tal fine doveva aversi riguardo all’effettiva natura del corso d’acqua, che era un corso d’acqua naturale e non un canale consortile, sicchè era indifferente la sua allocazione, con ulteriore precisazione che il comprensorio del Consorzio includeva solo una parte del bacino dei (OMISSIS) ed escludeva l’alveo (OMISSIS), suo affluente secondario.

4. Con il quarto motivo, il Consorzio denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 24 Cost., art. 1226,2056 e 2697 c.c., nonchè degli artt. 111 e 116 c.p.c.: osserva che la N. non aveva offerto alcun elemento di prova circa la sussistenza del danno e la sua entità e tale lacuna probatoria ne impediva la liquidazione equitativa, alla quale si può ricorrere unicamente quando la quantificazione dei danni non è altrimenti possibile, circostanza questa non riscontrabile nel caso in esame, avendo ben potuto la attrice procurarsi le fatture relative ai lavori eseguiti.

5. Con il quinto motivo, il Consorzio denuncia la violazione e falsa applicazione della L.R. Campania n. 4 del 2003, dell’art. 24 Cost., artt. 2051 e 2697 c.c., nonchè degli artt. 111 e 116 c.p.c.: contesta il giudizio espresso dal Tribunale superiore sulla mancanza di eccezionalità dell’evento meteorico del 6 novembre 2011, nonostante una consulenza tecnica d’ufficio, redatta in un giudizio analogo, avesse concluso diversamente. In realtà, trattandosi di un corso d’acqua secondario, al servizio di suoli agricoli, il tempo di ritorno adottato dalla letteratura scientifica per qualificare un evento meteorico come eccezionale era tra i cinque e i dieci anni. Il D.P.C.M. richiamato dal Tribunale superiore aveva altra finalità, ossia quella di perimetrare aree a pericolosità-rischio idraulico e classificare il territorio in relazione alla probabilità di inondazione.

6. Con il sesto motivo, il Consorzio denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: osserva che la mancanza di un piano di classificazione e di una contribuzione consortile riguardante i fondi posti nella zona di ampliamento consortile comprovava la mancanza di un qualsivoglia rapporto di custodia tra il Consorzio e l’alveo (OMISSIS). Tali circostanze di fatto non erano state prese in considerazione dal Tribunale superiore.

7. Il primo motivo è inammissibile.

Il Tribunale Superiore delle acque pubbliche, giudicando sul primo motivo di appello del Consorzio, ha ritenuto che l’atto di citazione contenesse una precisa ricostruzione dei fatti, con la chiara individuazione sia del petitum sia della causa petendi: secondo il giudice dell’appello, la citazione della N. richiamava le due esondazioni dell’alveo (OMISSIS), conteneva uno specifico riferimento all’incuria della Regione nella gestione del corso d’acqua, indicava i danni subiti ai terreni e alle colture di culi si chiedeva il risarcimento.

7.1. Con il motivo in esame, il Consorzio mira ad ottenere una diversa lettura dell’atto rispetto a quella compiuta dal giudice del merito, con un apprezzamento che, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere sindacato in cassazione sotto il profilo del vizio di motivazione e non anche per il suo contenuto (v. Cass. 13 luglio 1965, n. 1479; Cass. 1/7/1999, n. 6714; Cass. 16/11/2018, n. 29609; Cass. 03/12/2019, n. 31546).

7.2. Deve aggiungersi, quale ulteriore ragione di inammissibilità, che il motivo è del tutto carente di specificità, perchè il ricorrente si è limitato a trascrivere solo brevi stralci dei suoi atti di costituzione in primo e secondo grado senza tuttavia trascrivere, quantomeno nelle parti idonee a sorreggere la censura, l’atto di citazione della N., rinnovato a seguito dell’ordine impartito dal primo giudice ai sensi dell’art. 164 c.p.c.; infine, tali atti non risultano depositati unitamente al ricorso per cassazione nè il ricorrente fornisce elementi per una loro facile e immediata localizzazione negli atti di causa. Risultano così violati gli oneri imposti a pena di inammissibilità e di improcedibilità dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

8. Il secondo, il terzo ed il sesto motivo, che si trattano congiuntamente, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

8.1. Va precisato che l’art. 200 del T.U. sulle acque pubbliche dispone al comma 1 che ‘Contro le decisioni pronunciate in grado di appello dal Tribunale superiore delle acque pubbliche è ammesso il ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione: a) per incompetenza o eccesso di potere ai termini della L. 31 marzo 1877, n. 3761, art. 3; b) per violazione o falsa applicazione di legge ai sensi dell’art. 517 c.p.c., n. 3, o se si verifichi la c:ontraddittorietà prevista nel numero 8 dell’art. 517 medesimo’.

8.2. Questa Corte ha più volte precisato che nella violazione di legge, deducibile come motivo di ricorso per cassazione contro le decisioni, in unico grado od in appello, del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, può ricomprendersi il solo vizio di motivazione (sotto i profili dell’inesistenza, della contraddittorietà o della mera apparenza) risultante dal testo dei provvedimenti impugnati, mentre non rientra nei compiti della Corte di cassazione la verifica della sufficienza o della razionalità della motivazione in ordine alle ‘quaestiones facti’, la quale comporta un raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito (Cass. Sez. Un. 16 maggio 1992 n. 5888; Cass. Sez.Un. 10/7/2006, n. 15617; Cass. Sez.Un. 22/08/2007, n 17822, con ampi richiami; Cass. Sez. Un. 6/11/2018, n. 28220). Il ricorso per cassazione è altresì ammesso anche per denunziare il vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. Sez. Un. 2-12-2008 n. 28547), che nella disciplina risultante dalle modifiche apportate dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, è previsto solo per ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’ (Cass. Sez. Un. 7/1/2016, n. 67).

8.3. Il discrimine tra l’ipotesi di violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione della fattispecie astratta normativa e l’ipotesi della erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 26/3/2010, n. 7394; Cass. 13/10/2017, n. 24155).

8.4. Ora, nel caso in esame le censure, pur essendo rubricate come violazioni di legge, prospettano contestualmente questioni di diritto e questioni di fatto, denunciando oltre alla violazione delle norme indicate in rubrica anche un’erronea ricognizione, da parte del Tribunale, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa. 8.5. In particolare, il ricorrente pone a fondamento della denunciata violazione di legge un presupposto fattuale – la natura di corso d’acqua naturale e demaniale dell’alveo (OMISSIS), ‘di preminente interesse regionale agli effetti di quanto previsto dall’art. 12’ (da ciò facendone discendere la responsabilità esclusiva della Regione nella sua manutenzione) -, espressamente escluso dal Tribunale superiore il quale, al contrario, ha ritenuto trattarsi di un corso d’acqua artificiale, facente parte del bacino dei (OMISSIS), creato in età borbonica, precisando altresì che tale affermazione, contenuta nella sentenza di primo grado, non era stata contestata dal Consorzio (pag. 13 della sentenza).

8.6. I motivi di ricorso sono dunque costruiti in ragione di una diversa natura dell’alveo (OMISSIS), il che, in disparte il rilievo che il ricorrente non indica neppure quali siano gli elementi istruttori che sosterrebbero la sua opzione e che non sarebbero stati considerati dal Tribunale, pone la censura al di fuori della cornice del vizio di violazione di legge e involge la tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è ammissibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione, nei limiti in cui esso è deducibile in questa sede (Cass. Sez.Un. 5/4/2007, n. 8520; Cass. Sez.Un. 2/8/2007, n. 17822; Cass. Sez.Un. 7/1/2016, n. 67; Cass. Sez. Un. 6/11/2018, n. 28220), nella specie non rispettati.

9. Per il resto, la ricostruzione compiuta dal Tribunale superiore delle acque è in linea con i recenti arresti di questa Corte, secondo cui le funzioni di progettazione, realizzazione e gestione delle opere idrauliche di qualsiasi natura ed i conseguenti poteri di custodia, che il D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 89, comma 1, lett. a), ha trasferito dallo Stato alle Regioni, possono da queste ultime essere delegate ai consorzi di bonifica o ai concessionari delle relative opere, la cui posizione, quindi, deve essere valutata di volta in volta sulla base delle singole legislazioni regionali, tenendo presente quanto stabilito dal R.D. 25 luglio 1904, n. 523, sulla classificazione delle opere idrauliche e sul riparto dei relativi compiti di gestione e manutenzione, e dal R.D. 13 febbraio 1933, n. 215, art. 13, sull’esecuzione delle opere di attuazione del piano generale di bonifica. Ciò che pertanto occorre verificare è se ed in quale misura i consorzi di bonifica siano realmente investiti di funzioni di manutenzione dei corsi d’acqua, con conseguente insorgenza della loro responsabilità a titolo di custodia, ai sensi dell’art. 2051 c.c. (v. Cass. 5/3/2009, n. 5287; Cass. 25/3/2013, n. 7375, come richiamate da Cass. Sez.Un. 32730/2018, cit.; v. pure Cass. Sez.Un. 5/12/2011, n. 25928).

9. 1. Nella sentenza qui impugnata, il Tribunale superiore delle acque ha individuato nella legge Regione Campania n. 4/2003 le norme di riferimento dalle quali ha desunto la responsabilità del Consorzio nella custodia in manutenzione del canale in questione.

In particolare, ha rilevato che in forza della legge regionale, adottata nell’ambito di una funzione di riorganizzazione delle funzioni dei consorzi, sono definite opere pubbliche di bonifica attribuite ai consorzi, purchè realizzate nei comprensori di bonifica e previste nel piano generale di bonifica, ‘a) la sistemazione e l’adeguamento della rete scolante, la captazione, raccolta, provvista, adduzione e distribuzione d’acqua a usi prevalentemente irrigui, nonchè la sistemazione, regimazione e regolazione dei corsi d’acqua di bonifica ed irrigui ed i relativi manufatti; b) il sollevamento e la derivazione delle acque e connesse installazioni; c) la sistemazione idraulico agraria e la bonifica idraulica; d) gli interventi di completamento, adeguamento funzionale e ammodernamento degli impianti e delle reti irrigue e di scolo e quelle per l’estendimento dell’irrigazione con opere di captazione, raccolta, adduzione e distribuzione delle acque irrigue; e) gli interventi per la realizzazione degli usi plurimi delle acque irrigue, ai sensi della L. 5 gennaio 1994, n. 36, art. 27; f) gli interventi realizzati in esecuzione dei piani e dei programmi adottati dalle Autorità di Bacino)’ (L.R. Campania n. 4 del 2003, art. 2, comma 1).

Il comma 2 dello stesso art. 2 L. cit., inoltre, attribuisce ai consorzi gli interventi di manutenzione straordinaria nonchè i ripristini delle opere di cui al comma 1, conseguenti ai danni causati da calamità naturali in conformità alla L. 14 febbraio 1992, n. 185, e successive modificazioni.

Il Tribunale ha poi dato rilievo all’art. 2, comma 3, L.R. cit., a norma del quale, sono escluse dalla competenza dei Consorzi quelle opere pubbliche di bonifica che il Presidente della Giunta regionale, con apposito provvedimento, individua come opere da considerarsi ‘di preminente interesse regionale agli effetti di quanto previsto all’art. 12’ (art. 2, comma 3).

Infine, l’art. 12, comma 3, dispone che ‘Dalla determinazione delle spese di cui al comma 1, sono comunque escluse le opere di carattere civile-infrastrutturale consegnate ai Comuni, alle Province ed alle Comunità montane, nonchè l’esercizio e la manutenzione delle opere pubbliche di bonifica dichiarate di preminente interesse regionale, ai sensi dell’art. 2, comma 3, i cui oneri di manutenzione e gestione sono a carico della Regione.’.

9.2. Alla luce di questo quadro normativo e sul presupposto incontestato che, nel caso in esame, manca un espresso provvedimento del Presidente della Giunta regionale che abbia dichiarato il canale (OMISSIS) di preminente interesse regionale, nonchè sull’ulteriore dato fattuale che tale canale rientra nel bacino dei (OMISSIS), a sua volta ricompreso nel comprensorio di bonifica (OMISSIS), il Tribunale ha ritenuto sussistente la responsabilità del Consorzio nella manutenzione dell’alveo in questione.

L’assunto del ricorrente secondo cui il corso d’acqua esondato non è un canale consortile, che il bacino dei (OMISSIS) è solo in parte compreso nel comprensorio ‘effettivo’ (sic) del consorzio e questa parte non include l’alveo (OMISSIS), che invece è un affluente secondario, non ha superato la soglia della mera asserzione.

Per contro, è la stessa legge regionale, che all’art. 33, comma 2, lett. a), nel ridefinire gli attuali comprensori di bonifica integrale, con riferimento ai bacini idrografici di cui alle leggi richiamate al comma 1, include nel comprensorio di bonifica ‘(OMISSIS)’ i (OMISSIS).

9.3. Tale inclusione ha l’indubbia finalità non solo di disegnare i confini dei comprensori di bonifica, ma anche, nell’ambito della riorganizzazione delle funzioni attribuite ai consorzi, di individuare i compiti attribuiti agli enti con riferimento alle opere idrauliche esistenti già all’epoca di entrata in vigore della legge regionale. La riconduzione del dovere di manutenzione al presupposto di fatto dell’inclusione dell’alveo nel bacino dei (OMISSIS), operata dal Tribunale Superiore, si colloca in questo secondo versante della funzione della norma.

9.4. In altri termini, l’attribuzione della funzione di manutenzione del corso d’acqua discende dalla stessa ricognizione legislativa di cui all’art. 33 e dalla norma fondamentale di cui al R.D. n. 215 del 1933, art. 54, in base al quale ‘i consorzi provvedono alla esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere di bonifica o soltanto alla manutenzione ed esercizio di esse’.

9.5. In conclusione, la lettura coordinata della normativa statale e della legge regionale citata conferma la correttezza del giudizio espresso dal Tribunale superiore delle acque, secondo cui l’inserimento espresso dei (OMISSIS), di cui fa parte l’alveo in questione, nel territorio del Consorzio, da un lato, esclude la necessità di un apposito atto di consegna da parte della Regione e, dall’altro, attribuisce all’ente compiti di manutenzione.

9.6. Si è in presenza di un’espressa attribuzione di funzioni e responsabilità dalla Regione ai Consorzi, il che rende irrilevante verificare se, in concreto, il Consorzio ricorrente abbia o meno proceduto alla predisposizione di un piano di classifica e di contribuzione consortile, esigendone il pagamento. Si tratta, dunque, di circostanze di cui difetta all’evidenza ogni decisività, con la conseguenza che non è neppure ipotizzabile il vizio di omesso esame denunciato nell’ultimo motivo di ricorso, che pertanto deve essere rigettato.

10. Il quarto motivo è infondato.

Il ricorso del giudice alla liquidazione equitativa è legittimo quando la determinazione del preciso ammontare del danno sia impossibile o particolarmente difficile e l’accertamento di tali estremi costituisce indagine di fatto sottratta al sindacato in sede di legittimità, allorquando il giudizio al riguardo espresso dal giudice di merito sia congruamente motivato (Cass. 09/02/1967, n. 336; Cass. 17/06/1968, n. 1978; Cass. 14/03/1969, n. 819; Cass. 16/07/1976, n. 2817; Cass. 23/02/1983, n. 1381; Cass. 26/03/1983, n. 2157).

10.1.Si è pure precisato che la liquidazione equitativa, anche nella sua forma cd. ‘pura’, consiste pur sempre in un giudizio di prudente contemperamento dei vari fattori di probabile incidenza sul danno, e cioè in un giudizio di mediazione tra le probabilità positive e le probabilità negative del danno effettivo nel caso concreto (Cass. 13/09/2018, n. 22272; Cass. 26/5/2020, n. 9778): è quindi pur sempre necessario che, qualora proceda alla liquidazione del danno in via equitativa, il giudice di merito, affinchè la sua decisione non presenti i connotati della arbitrarietà, indichi i criteri seguiti per determinare l’entità del risarcimento, risultando il suo potere discrezionale sottratto a qualsiasi sindacato in sede di legittimità solo allorchè si dia conto che sono stati considerati i dati di fatto acquisiti al processo come fattori costitutivi dell’ammontare dei danni liquidati (Cass. 04/04/2013, n. 8213; Cass. 8/1/2016, n. 127; Cass. 15/03/2016, n. 5090; Cass. 13/10/2017, n. 24070).

10.2. Nel caso in esame, il Tribunale ha dato adeguatamente conto del processo logico attraverso il quale si è pervenuti alla liquidazione equitativa, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo: in particolare, ha valorizzato la consulenza tecnica di parte e le fotografie in atti che raffiguravano la completa invasione dei terreni di proprietà della N., la presenza di detriti e oggetti di plastica, la destinazione dei fondi alla coltivazione, circostanza quest’ultima ritenuta non contestata; ha poi ritenuto ‘indiscutibile’ che non si potesse procedere ad una precisa liquidazione dei danni e ha condiviso il giudizio espresso dal tribunale circa la loro entità, drasticamente ridotta rispetto alla pretesa dall’attrice, reputando le singole voci liquidate coerenti con la situazione dei luoghi conseguente alle esondazioni.

10.3. A fronte di questi elementi fattuali, il ricorrente si è limitato ad una generica opposizione, ribadendo la sua tesi di una quantificazione dei danni possibile e non eccessivamente difficoltosa, senza tuttavia confrontarsi con le singole voci di danno liquidate, per escluderle o perchè potesse valutarsene la eccessività.

La sentenza impugnata, nella parte in cui dà conto del processo logico seguito nella quantificazione del danno, resta così sottratta alle censure mosse, anche sotto il profilo della violazione dell’art. 1226 c.c..

11. Anche il quinto motivo è infondato.

Questa Corte ha più volte chiarito che, affinchè un evento meteorologico, anche di notevole intensità, possa assumere rilievo causale esclusivo, e dunque rilievo di caso fortuito ai sensi dell’art. 2051 c.c., occorre potergli riconoscere i caratteri dell’eccezionalità e della imprevedibilità (da ultimo, Cass. 22/11/2019, n. 30521, ed ivi ampi richiami; ex plurimis, Cass. 01/02/2018, n. 2482; Cass. 28/07/2017, n. 18856).

Ne deriva che il carattere eccezionale di un fenomeno naturale, nel senso di una sua ricorrenza saltuaria anche se non frequente, non è di per sè sufficiente a configurare tale esimente, in quanto non ne esclude la prevedibilità in base alla comune esperienza (Cass. 11/5/1991, n. 5267; Cass. n. 2482/2018,, cit.).

11.1. In tal senso, dunque, l’imprevedibilità, alla stregua di un’indagine ex ante e di stampo oggettivo in base al principio di regolarità causale, ‘va intesa come obiettiva inverosimiglianza dell’evento’, mentre l’eccezionalità è da ‘identificarsi come una sensibile deviazione (ed appunto eccezione) dalla frequenza statistica accettata come ‘normale’.

‘In tale ottica, dunque, l’accertamento del ‘fortuito’ rappresentato dall’evento naturale delle precipitazioni atmosferiche deve essere essenzialmente orientato da dati scientifici di stampo statistico (in particolare, i dati c.d. pluviometrici) riferiti al contesto specifico di localizzazione della res oggetto di custodia’ (Cass. n. 2482 del 2018, cit.: Cass. n. 30521/2019).

11.2. Nel caso in esame, il Tribunale superiore delle acque ha fondato sul giudizio circa la non eccezionalità degli eventi meteorici in questione sulla base del rapporto di evento del 6/11/2011, redatto dallo stesso Consorzio, in cui si è fissato un tempo di ritorno delle piogge in venticinque anni; ha valutato la mancata dichiarazione di uno stato di necessità o di emergenza, ha infine considerato come decisivo il rilievo che l’evento si è ripetuto in un breve arco temporale sì da escludere il carattere di eccezionalità, quanto meno con riferimento a questo secondo evento. Si è in presenza di un apprezzamento fattuale congruo e coerente, insindacabile in questa sede.

12. Il ricorso deve pertanto essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del presente giudizio, nella misura indicata in dispositivo, in favore di ciascuno dei controricorrenti, con distrazione delle stesse ai procuratori della N., in forza della dichiarazione resa ai sensi dell’art. 93 c.p.c..

Poichè il ricorso è stato notificato in data successiva al 30 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida, per ciascuno dei controricorrenti, in complessivi Euro 3500,00 per compensi professionali e Euro 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed agli altri accessori di legge, disponendone la distrazione in favore dei procuratori della controricorrente N..

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle sezioni unite della Corte di cassazione, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2021

Avv. Cosimo Montinaro

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