Si possono registrare le conversazioni con i colleghi sul luogo di lavoro?

Si possono registrare le conversazioni con i colleghi sul luogo di lavoro?

MASSIMA – Cassazione, Sez. Lavoro, n. 31204/2021

l’utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente e i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, in ragione dell’imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall’altra e pertanto di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio: con la conseguenza della legittimità (idest: inidoneità all’integrazione di un illecito disciplinare) della condotta del lavoratore che abbia effettuato tali registrazioni per tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto


considerazioni

Nell’ambito lavorativo, la questione della registrazione delle conversazioni tra colleghi ha suscitato dibattiti e controversie. Tuttavia, una recente sentenza della Cassazione (n. 31204/2021) offre importanti chiarimenti in merito, delineando i confini tra il diritto alla riservatezza e quello alla difesa del lavoratore.

Il caso in questione verte sulla legittimità dell’utilizzo di registrazioni di colloqui tra dipendenti e colleghi sul luogo di lavoro a fini difensivi. La sentenza analizza attentamente le normative vigenti, compreso il D.Lgs. n. 196 del 2003, e offre una chiara interpretazione del quadro normativo.

La Cassazione ha stabilito che l’utilizzo a fini difensivi di tali registrazioni non richiede il consenso dei presenti, in quanto necessario per bilanciare la riservatezza e la tutela del diritto alla difesa del lavoratore. Questo equilibrio è fondamentale per garantire l’efficacia delle norme sulla privacy e per assicurare una giusta tutela dei diritti in giudizio.

La sentenza evidenzia che, nonostante la registrazione di conversazioni senza il consenso dei conversanti costituisca una violazione della riservatezza, vi sono eccezioni previste dalla legge. In particolare, il trattamento dei dati può avvenire senza il consenso dell’interessato quando è necessario per far valere o difendere un diritto. Questo principio si applica anche alle registrazioni di colloqui sul luogo di lavoro, purché siano pertinenti alla tesi difensiva del lavoratore e non eccedano le sue finalità.

Avv. Cosimo Montinaro

(avvocato del lavoro)


Estratto della sentenza

[…] In ordine al secondo addebito (violazione del diritto alla riservatezza dei colleghi, con la registrazione della conversazione in presenza senza il loro consenso), questa Corte ha già affermato che la registrazione di conversazioni tra presenti all’insaputa dei conversanti configura una grave violazione del diritto alla riservatezza, con conseguente legittimità del licenziamento intimato (Cass. 21 novembre 2013, n. 26143; Cass. 8 agosto 2016, n. 16629; Cass. 16 maggio 2018, n. 11999).

8.1. Tuttavia, D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 24, permette di prescindere dal consenso dell’interessato quando il trattamento dei dati, pur non riguardanti una parte del giudizio in cui la produzione venga eseguita, sia necessario per far valere o difendere un diritto, a condizione che essi siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento (Cass. 20 settembre 2013, n. 21612); sicchè, l’utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente e i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, in ragione dell’imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto dall’altra e pertanto di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio: con la conseguenza della legittimità (idest: inidoneità all’integrazione di un illecito disciplinare) della condotta del lavoratore che abbia effettuato tali registrazioni per tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto (Cass. 10 maggio 2018, n. 11322). Al riguardo, questa Corte ha esplicitamente affermato che “il diritto di difesa non è limitato alla pura e semplice sede processuale, estendendosi a tutte quelle attività dirette ad acquisire prove in essa utilizzabili, ancor prima che la controversia sia stata formalmente instaurata mediante citazione o ricorso. Non a caso nel codice di procedura penale il diritto di difesa costituzionalmente garantito dall’art. 24 Cost., sussiste anche in capo a chi non abbia ancora assunto la qualità di parte in un procedimento… Dunque, neppure tale addebito può integrare illecito disciplinare, rispondendo la condotta in discorso alle necessità conseguenti al legittimo esercizio d’un diritto e, quindi, essendo coperta dall’efficacia scriminante dell’art. 51 c.p., di portata generale nell’ordinamento e non già limitata al mero ambito penalistico” (Cass. 29 dicembre 2014, n. 27424).

8.2. Si tratta evidentemente di un profilo estremamente delicato, che esige un attento ed equilibrato bilanciamento tra la tutela di due diritti fondamentali, quali la garanzia della libertà personale, sotto il profilo della sfera privata e della riservatezza delle comunicazioni, da una parte e del diritto alla difesa, dall’altra. Ed esso si deve fondare su una valutazione rigorosa del requisito di pertinenza, nella prospettiva di una diretta e necessaria strumentalità, della registrazione all’apprestamento della finalità difensiva nell’orizzonte sopra illustrato, all’interno di una scrupolosa contestualizzazione della vicenda. Ciò che ha fatto, in applicazione del suenunciato principio di diritto, la Corte d’appello nel caso di specie, avendo accertato in fatto, con argomentazione congrua, che il colloquio registrato “tra il C. e il M. riguardava il rifiuto di quest’ultimo di partecipare al corso del 5 ottobre e nell’ambito di tale colloquio il M. intendeva esplicitare le ragioni per cui non poteva parteciparvi… il che esclude che la registrazione in questione abbia riguardato un momento di normale relazionalità gerarchica tra dipendenti… Considerato poi che la mancata partecipazione al corso senza alcun preavviso e senza alcuna giustificazione o autorizzazione a non parteciparvi, ben poteva comportare una contestazione disciplinare, stante l’obbligatorietà di detto corso, è indubbio che il M. aveva necessità di poter documentare il contenuto del colloquio” (così al secondo e al terzo capoverso di pg. 22 della sentenza): sicchè, le ragioni appena riportate e quelle ulteriori (ancora al terzo capoverso di pg. 22 fino al nono alinea di pg. 23 della sentenza) rendono l’accertamento in fatto insindacabile nell’odierna sede di legittimità […]

.

Torna in alto