Il Tribunale di Catania ha stabilito un importante principio in materia di usura bancaria relativa agli interessi moratori. Nello specifico, il giudice ha dichiarato la nullità della clausola relativa agli interessi moratori in un contratto di finanziamento, in quanto il tasso applicato superava, seppur di poco, la soglia antiusura vigente al momento della stipulazione. La sentenza si inserisce nel dibattito sulla rilevanza del tasso di mora ai fini dell’usura, stabilendo che anche uno sforamento minimo della soglia comporta la nullità della relativa clausola. Il caso riguardava un contratto di mutuo fondiario del 2007, in cui la banca aveva previsto un tasso di mora dell’11,22%, a fronte di una soglia antiusura – calcolata secondo i criteri successivamente stabiliti dalla Cassazione a Sezioni Unite – pari all’11,12%. Il superamento, pur essendo di appena 0,10 punti percentuali, è stato ritenuto sufficiente per dichiarare illegittima la clausola sugli interessi moratori. Il Tribunale di Catania, accogliendo parzialmente le domande dell’attrice, ha condannato la banca convenuta alla restituzione delle somme indebitamente percepite a titolo di interessi moratori usurari, applicando in sostituzione il tasso di interesse corrispettivo lecitamente pattuito. La pronuncia ha inoltre ribadito che l’eccezione di usura, quando riferita ai soli interessi moratori, non comporta la gratuità dell’intero finanziamento, ma solo la sostituzione del tasso di mora con quello corrispettivo. Questa interpretazione conferma l’orientamento tracciato dalla Corte di Cassazione con la sentenza a Sezioni Unite n. 19597/2020, che ha fornito indicazioni precise sul metodo di calcolo della soglia usuraria per gli interessi moratori, contribuendo a creare maggiore certezza in un ambito spesso oggetto di contenzioso tra banche e clienti.
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Indice
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
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ESPOSIZIONE DEI FATTI
La vicenda oggetto del giudizio trae origine da un contratto di finanziamento stipulato il 28 maggio 2007 tra una società e una banca, con il quale l’istituto di credito aveva concesso alla mutuataria l’importo di Euro 900.000,00, garantito da ipoteca volontaria su un immobile sito in Catania. Le condizioni contrattuali prevedevano un tasso di interesse corrispettivo pari all’EURIBOR a sei mesi aumentato dello spread onnicomprensivo di 2 punti annui, per un tasso nominale annuo (TAN) del 6,22%. Per gli eventuali ritardi nei pagamenti, il contratto contemplava l’applicazione di un tasso di interesse moratorio determinato aggiungendo 5 punti percentuali al tasso corrispettivo, giungendo così all’11,22%.
A seguito del mancato pagamento di alcune rate di ammortamento, il contratto di finanziamento veniva risolto e la società mutuataria era dichiarata decaduta dal beneficio del termine ex art. 1186 del codice civile, subendo il pignoramento del bene immobile oggetto della garanzia ipotecaria. La procedura esecutiva immobiliare, identificata con il numero R.G.E. 579/2016 presso il Tribunale di Catania, portava alla vendita forzata dell’immobile ipotecato.
Con l’atto di citazione introduttivo del giudizio, tuttavia, la società mutuataria contestava la legittimità del rapporto bancario, sostenendo che il tasso di interesse moratorio previsto in contratto fosse superiore alla soglia usura vigente alla data di stipulazione per quella tipologia di rapporto bancario, che secondo i criteri successivamente chiariti dalla giurisprudenza di legittimità, era pari all’11,12%. In particolare, la società sosteneva che il carattere usurario del tasso moratorio dovesse comportare la nullità dell’intera clausola contrattuale relativa agli interessi e la conversione del finanziamento da oneroso a gratuito ai sensi dell’art. 1815, secondo comma, del codice civile.
In subordine, chiedeva che fosse dichiarata nulla almeno la clausola relativa agli interessi moratori, con conseguente rideterminazione del rapporto di dare/avere tra le parti. La banca si costituiva in giudizio solo in un secondo momento, contestando l’impostazione dell’attrice e sostenendo la correttezza dell’applicazione degli interessi, anche alla luce della presenza di una clausola di salvaguardia nel contratto e dei principi enunciati dalla Suprema Corte a Sezioni Unite con la sentenza n. 19597/2020.
Nelle more del giudizio, la procedura esecutiva immobiliare si concludeva con la vendita dell’immobile e l’integrale soddisfazione dei creditori. Di conseguenza, l’attrice precisava le proprie conclusioni, chiedendo l’accertamento dell’estinzione integrale della posizione debitoria e la condanna della banca alla restituzione delle somme percepite a titolo di interessi moratori usurari, quantificate in Euro 80.614,29.
NORMATIVA E PRECEDENTI
La questione centrale del giudizio riguarda l’applicabilità della disciplina antiusura agli interessi moratori e le conseguenze del superamento del tasso soglia limitatamente a questi ultimi. Il quadro normativo di riferimento è costituito principalmente dalla legge n. 108/1996, che ha modificato l’art. 644 del codice penale e l’art. 1815 del codice civile, introducendo il meccanismo di determinazione del tasso soglia mediante decreti ministeriali trimestrali basati sulla rilevazione del tasso effettivo globale medio (TEGM) praticato dalle banche e dagli intermediari finanziari.
Fondamentale per la decisione è stato il riferimento all’articolo 1815, secondo comma, del codice civile, che nella sua formulazione attuale prevede che “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi“. Tuttavia, la questione controversa riguardava se tale disposizione si applicasse anche agli interessi moratori, e se la nullità della relativa clausola comportasse la gratuità dell’intero finanziamento o solo l’esclusione dell’obbligo di corrispondere gli interessi di mora.