La Corte d’Appello di Milano, con una fondamentale pronuncia del 2024, ha offerto un contributo interpretativo destinato a diventare un punto di riferimento sul dibattuto tema della qualificazione giuridica dei versamenti periodici tra conviventi more uxorio, affrontando con particolare attenzione la delicata distinzione tra donazioni e adempimento di obbligazioni naturali nell’ambito delle unioni di fatto.
La sentenza si inserisce nel complesso dibattito sulla natura giuridica dei trasferimenti patrimoniali nelle convivenze di fatto, fornendo criteri applicativi concreti che permettono di distinguere quando un versamento configuri una liberalità e quando invece rappresenti l’adempimento di un dovere morale e sociale nascente dal rapporto di convivenza.
Nel caso esaminato, che presenta profili di particolare interesse sia teorico che pratico, la Corte ha analizzato la vicenda di versamenti per oltre 51.000 euro effettuati da un ingegnere alla propria convivente durante una relazione stabile protrattasi per quattro anni, respingendo la domanda di restituzione avanzata dall’ex moglie e dai figli minori dell’uomo, i quali sostenevano la natura donativa di tali erogazioni.
La decisione si colloca nel solco della più recente giurisprudenza della Cassazione in materia di diritto di famiglia e approfondisce il tema sempre più attuale delle relazioni familiari di fatto, offrendo una chiave interpretativa innovativa sulla qualificazione dei trasferimenti patrimoniali nelle convivenze more uxorio e sul delicato bilanciamento tra gli interessi dei diversi soggetti coinvolti, inclusi i familiari del precedente matrimonio.
Per consulenza legale contatta l’Avv. Cosimo Montinaro – Tel. 0832/1827251 – e-mail segreteria@studiomontinaro.it ➡️RICHIEDI UNA CONSULENZA ⬅️
Indice
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
- SCARICA LA SENTENZA ⬇️
ESPOSIZIONE DEI FATTI
La controversia oggetto dell’esame della Corte d’Appello di Milano trae origine da una complessa vicenda familiare che intreccia diritti e obbligazioni derivanti da un precedente matrimonio con quelli sorti nell’ambito di una successiva convivenza more uxorio, sollevando delicate questioni sulla qualificazione giuridica dei trasferimenti patrimoniali tra conviventi e sulla tutela dei crediti da mantenimento.
L’ex moglie di un ingegnere, agendo in proprio e in qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale sui due figli minori, impugnava una sentenza del Tribunale di Monza che aveva respinto le sue pretese, chiamando in causa l’ex marito e la sua ex convivente in un giudizio che mirava a recuperare somme significative derivanti da mancati versamenti dell’assegno di mantenimento.
Il nucleo centrale della questione ruotava intorno alla validità e qualificazione giuridica di una serie di bonifici, per un importo complessivo di 51.280 euro, effettuati dall’uomo in favore della convivente nel periodo compreso tra il 5 aprile 2018 e il 25 marzo 2022, in un contesto caratterizzato da una stabile convivenza e dalla condivisione di un progetto di vita comune.
La peculiarità del caso, che ne accentua la rilevanza giuridica, risiedeva nel fatto che gli attori vantavano nei confronti dell’ingegnere un credito di circa 310.000 euro, derivante dal mancato versamento degli assegni di mantenimento stabiliti prima in sede di separazione consensuale del 2014 e poi confermati nella sentenza di divorzio del 2018, configurando così una situazione di potenziale conflitto tra le ragioni creditorie dell’ex coniuge e dei figli e la legittimità dei versamenti effettuati in costanza della nuova relazione.
Durante il periodo in questione, l’uomo aveva infatti instaurato una convivenza stabile con una nuova compagna, condividendo un’abitazione a Meda che era stata acquistata dalla donna per venire incontro alle esigenze familiari dell’ingegnere, in particolare per facilitare i rapporti con i figli del precedente matrimonio. La convivenza, protrattasi per circa quattro anni, si era caratterizzata per una gestione condivisa delle spese familiari, con l’uomo che provvedeva a versamenti mensili sul conto della convivente specificamente destinati alle spese comuni della vita familiare.
Gli elementi documentali emersi nel corso del giudizio hanno evidenziato come la coppia avesse organizzato la propria vita comune secondo uno schema che vedeva la donna farsi carico del mutuo dell’abitazione, mentre l’uomo contribuiva regolarmente alle spese correnti della casa e alle utenze, secondo una ripartizione degli oneri economici che appariva coerente con le rispettive possibilità e con il tenore di vita mantenuto.
NORMATIVA E PRECEDENTI
Il quadro normativo di riferimento entro cui si colloca la decisione della Corte d’Appello milanese si presenta particolarmente articolato e tocca diversi istituti fondamentali del diritto civile. L’analisi non può prescindere dall’esame congiunto degli articoli 769, 782 e 2034 del codice civile, che costituiscono il fondamento normativo per la corretta qualificazione dei trasferimenti patrimoniali tra conviventi.
L’art. 769 c.c. definisce la donazione come il contratto col quale una parte arricchisce l’altra per spirito di liberalità, disposizione che va necessariamente coordinata con l’art. 782 c.c., il quale prescrive per la donazione la forma dell’atto pubblico a pena di nullità, introducendo così un requisito formale stringente per la validità delle liberalità dirette.
Di fondamentale importanza è anche l’art. 2034 c.c. sulle obbligazioni naturali, che rappresenta il cardine normativo per la qualificazione dei doveri morali e sociali, la cui rilevanza risulta particolarmente significativa nell’ambito delle relazioni familiari di fatto, dove l’assenza di un vincolo giuridico formale non esclude l’esistenza di doveri morali reciproci tra i conviventi.
La giurisprudenza della Cassazione ha progressivamente elaborato criteri interpretativi sempre più dettagliati per distinguere tra liberalità e adempimento di obbligazioni naturali nell’ambito delle convivenze more uxorio. In particolare, la sentenza n. 14732/2018 ha stabilito parametri specifici che sono diventati punto di riferimento per la qualificazione dei trasferimenti patrimoniali tra conviventi.
Secondo questo consolidato orientamento, deve escludersi che costituisca donazione l’arricchimento derivante da prestazioni che rientrano nel normale adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza, mentre può configurarsi come tale solo quando le spese sostenute risultino oggettivamente sproporzionate rispetto alla condizione economico-patrimoniale del convivente e al tenore di vita della coppia.
La Suprema Corte ha inoltre chiarito che la proporzionalità delle prestazioni rispetto alle condizioni economiche delle parti costituisce un elemento determinante per la corretta qualificazione giuridica dei trasferimenti, introducendo così un criterio oggettivo di valutazione che le corti di merito sono chiamate ad applicare caso per caso.
DECISIONE DEL CASO E ANALISI
La Corte d’Appello ha rigettato l’impugnazione, confermando la sentenza di primo grado, attraverso un’articolata motivazione che affronta sistematicamente tutti gli aspetti rilevanti della controversia, offrendo un’analisi approfondita sia degli elementi fattuali che dei principi giuridici applicabili.
In primo luogo, la Corte ha esaminato la natura dei versamenti mensili, quantificati in circa 1.000 euro, valutandone la proporzionalità sotto un duplice profilo: da un lato rispetto alle concrete esigenze della vita comune dei conviventi, dall’altro in relazione alle effettive possibilità economiche dell’uomo, documentate attraverso l’analisi della sua situazione patrimoniale complessiva.
Un elemento determinante nella valutazione della Corte è stata l’esistenza di un accordo tacito sulla ripartizione delle spese tra i conviventi, che vedeva la donna farsi carico del mutuo dell’abitazione mentre l’uomo contribuiva alle spese correnti della casa e alle utenze. Tale accordo, emerso sia dalla documentazione bancaria che dalle testimonianze raccolte, ha evidenziato una gestione razionale e condivisa dell’economia domestica.
La Corte ha inoltre attribuito particolare rilevanza alle causali dei bonifici, che facevano esplicito riferimento a “spese casa” e altre necessità della vita comune. L’indicazione di tali causali, apposte in un periodo non sospetto rispetto all’insorgere della controversia, è stata considerata un elemento significativo per escludere l’animus donandi e confermare invece la natura di adempimento di obbligazioni naturali dei versamenti.
Particolarmente approfondita è stata l’analisi della situazione patrimoniale dell’uomo, che risultava titolare di quote societarie e diritti immobiliari. La Corte ha rilevato come tale situazione rendesse del tutto sostenibile e proporzionato il suo contributo al menage familiare nella misura di circa 1.000 euro mensili, escludendo quindi quella sproporzione che, secondo la giurisprudenza di legittimità, potrebbe far presumere la natura donativa dei versamenti.