Una recente sentenza del Tribunale di Firenze del 2024 ha riacceso il dibattito sulla responsabilità delle aziende per l’esposizione dei lavoratori all’amianto. Può un’azienda essere ritenuta responsabile per una malattia insorta decenni dopo l’esposizione? Quali sono i limiti della responsabilità datoriale in materia di sicurezza sul lavoro? Il caso in esame offre spunti di riflessione cruciali su queste delicate questioni, analizzando il nesso causale tra esposizione professionale e insorgenza del mesotelioma, nonché i criteri di quantificazione del danno non patrimoniale.
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Per una comprensione completa della vicenda giudiziaria, ti invitiamo a proseguire con la lettura del testo completo.
INDICE
- ESPOSIZIONE DEI FATTI
- NORMATIVA E PRECEDENTI
- DECISIONE DEL CASO E ANALISI
- ESTRATTO DELLA SENTENZA
ESPOSIZIONE DEI FATTI
Il caso in esame riguarda una complessa vicenda giudiziaria che ha visto contrapposti gli eredi di un ex dipendente deceduto per mesotelioma pleurico e una nota azienda del settore alimentare. I ricorrenti, moglie, figli e nipote del defunto, hanno citato in giudizio l’ex datore di lavoro chiedendo il risarcimento dei danni subiti a seguito della morte del loro congiunto, avvenuta nel 2018 a causa di un mesotelioma pleurico di origine professionale.
Il lavoratore era stato dipendente dell’azienda dal 1973 al 2001, svolgendo inizialmente mansioni di carrellista e addetto allo stivaggio dei prodotti in cella frigorifera, per poi passare dal 1977 a compiti di movimentazione merci, facchinaggio e servizi generali nei piazzali esterni. Dal 1981, inoltre, gli erano stati affidati anche piccoli lavori di muratura che includevano la manutenzione delle coperture in eternit degli edifici aziendali.
I ricorrenti hanno sostenuto che, durante lo svolgimento di queste ultime mansioni, il lavoratore fosse stato esposto all’inalazione di fibre di amianto aerodisperse, in particolare durante le operazioni di taglio e manutenzione delle lastre di eternit, senza che gli fossero stati forniti adeguati dispositivi di protezione individuale. Questa esposizione, protrattasi per circa vent’anni, avrebbe causato l’insorgenza del mesotelioma pleurico, diagnosticato nel 2016 e rivelatosi fatale due anni dopo.
L’azienda convenuta ha contestato la ricostruzione dei fatti, negando che il lavoratore avesse svolto attività di demolizione di celle frigorifere o manutenzione estensiva dei tetti in eternit, e sostenendo che le mansioni di muratore/manovale fossero state svolte solo sporadicamente. Ha inoltre messo in dubbio il nesso causale tra l’eventuale esposizione all’amianto in azienda e l’insorgenza della malattia, evidenziando possibili esposizioni precedenti del lavoratore durante il periodo in cui aveva lavorato nel mulino di famiglia, nonché il suo pregresso consumo di tabacco.
La controversia si è quindi incentrata su tre punti fondamentali: l’effettiva esposizione del lavoratore all’amianto durante il periodo di impiego presso l’azienda convenuta, l’esistenza di un nesso causale tra tale esposizione e l’insorgenza del mesotelioma, e la configurabilità di una responsabilità datoriale per violazione degli obblighi di sicurezza.
NORMATIVA E PRECEDENTI
Il caso in esame si inserisce nel complesso quadro normativo e giurisprudenziale relativo alla responsabilità datoriale per danni alla salute dei lavoratori, con particolare riferimento alle patologie asbesto-correlate. Il Tribunale di Firenze ha fondato la propria decisione su un articolato apparato di norme e precedenti giurisprudenziali.
In primis, viene in rilievo l’art. 2087 del Codice Civile, che impone al datore di lavoro l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Questa norma è stata interpretata dalla giurisprudenza come fonte di una responsabilità contrattuale del datore di lavoro, che si affianca a quella extracontrattuale ex art. 2043 c.c. nei confronti dei familiari del lavoratore.
Il Tribunale richiama la consolidata giurisprudenza della Cassazione secondo cui la responsabilità ex art. 2087 c.c. non ha natura oggettiva, ma colposa, essendo “collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento” (Cass. sez. L. sent. n. 28516/2019).
In tema di onere probatorio, la sentenza si allinea all’orientamento per cui, una volta provato dal lavoratore il danno e il nesso causale con l’attività lavorativa, spetta al datore di lavoro dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno (Cass. sez. L. sent. n. 24742/2018).
Particolare rilevanza assume la giurisprudenza relativa alla conoscenza della nocività dell’amianto. Il Tribunale cita la sentenza della Cassazione n. 18503/2016, che ha stabilito come la consapevolezza della pericolosità dell’esposizione all’amianto per il rischio di mesotelioma risalga almeno ai primi anni ’60, sia in ambito scientifico che imprenditoriale.