Come calcolare il danno da perdita della capacità lavorativa subito dal minore
Il calcolo del danno da incapacità permanente di guadagno subito dal minore rappresenta uno dei compiti più difficili dell’intero quadro normativo della responsabilità civile, considerato che il minore non ha ancora iniziato a lavorare e, quindi, non si posside alcun parametro reddituale ed attuale di riferimento.
Come statuito da una recentissima pronuncia del Tribunale di Lecce (n. 3498/2021), la voce di danno in questione va liquidata con criteri equitativi trattandosi di danno provato nella sua esistenza e non dimostrabile se non con grande difficoltà nel suo preciso ammontare. Pertanto, per la quantificazione del risarcimento può essere validamente impiegato il criterio del triplo della pensione sociale. La prevalente giurisprudenza ha, infatti, avuto più volte modo di affermare che allorquando la persona danneggiata non sia nelle condizioni di poter provare alcun reddito, soccorre un criterio equitativo misto: che si articola sulle tabelle di cui al R.D. n. 1403/1922 e sul triplo della pensione sociale1, come previsto dall’art. 4, comma 3 del D.L. n. 857 del 1976, convertito nella legge n. 39/1977, interamente mutuato dall’art. 137, comma 3 del Codice delle assicurazioni private (ex multis, Cass. Civ., Sez. III, n. 14278/2011).
Va tuttavia rammentato, al riguardo, che la pensione sociale di cui fa menzione l’art. 137 del codice delle assicurazioni private, originariamente prevista dall’art. 26 della L. n. 153/1969, dal primo gennaio 1996 è stata sostituita dal c.d. assegno sociale per effetto dell’art. 3 della L. n. 335/1995. Ne deriva, quindi, che il riferimento al triplo della pensione sociale debba in realtà intendersi come il triplo dell’assegno sociale. Il danno va, pertanto, liquidato avendo riguardo, quale ipotetica retribuzione che il danneggiato avrebbe potuto percepire, al triplo del valore attuale dell’assegno sociale. Esempio anno 2020: assegno sociale € 460,28 mensili; moltiplicato x 3 = € 1.380,84; il tutto moltiplicato per tredici mensilità = € 17.950,92 all’anno.
Tanto premesso, per calcolare i redditi futuri perduti dal minore per effetto della lesione occorre aver riguardo all’età in cui essa avrebbe presumibilmente iniziato a lavorare e moltiplicare il predetto importo per il coefficiente di capitalizzazione corrispondente a detta età ricavabile dalle tabelle diffuse dal Consiglio Superiore della Magistratura ed allegate agli Atti dell’Incontro di studi per i magistrati svoltosi a Trevi il 30 giugno – 1° luglio 1989 (pubblicate in Nuovi orientamenti e nuovi criteri per la determinazione del danno, Quaderni del CSM, 1990, n. 41, pp. 127 e ss.).
Tale criterio di calcolo è stato suggerito anche dalla Suprema Corte nella sentenza n. 20615/2015. In essa, i Giudici di legittimità hanno evidenziato come, per trasformare in capitale il reddito perduto giorno per giorno dalla vittima, i coefficienti di capitalizzazione approvati con R.D. n. 1403/1922 non consentono, oggigiorno, l’integrale ristoro del danno dalla stessa patito, così come prescritto dal art. 1223 c.c., poiché calcolati sulla base delle tavole di mortalità ricavate dal censimento della popolazione italiana del 1911 e in quanto presuppongono una produttività del denaro al saggio del 4,5% ed hanno, pertanto, affermato che non ne è consentita l’adozione, nemmeno in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. E ciò per quattro valide ragioni, indicate dalla Corte.
“La prima ragione è che la vita media della popolazione italiana si è notevolmente accresciuta nel secolo trascorso tra il 1922 ed il 2015. Nel 2014 l’Istituto Nazionale di Statistica ha determinato la speranza di vita alla nascita per la popolazione italiana in 80,2 anni per gli uomini ed 84,9 anni per le donne.
Nel 1900 la speranza di vita media della popolazione italiana (calcolata, all’epoca, indistintamente per maschi e femmine) era di soli 54,9 anni.
Pertanto liquidare il danno permanente in base ad un coefficiente calcolato su una speranza di vita inferiore di oltre un terzo a quella reale non può dirsi in alcun modo un risarcimento “integrale” ai sensi dell’art. 1223 c.c.
La seconda ragione è che i coefficienti ricapitalizzazione di cui al r.d. 1403/22 sono unici per maschi e femmine, mentre la durata della vita media é diversa per i due sessi. Ciò induce ad una sovrastima del danno patito dalla vittima maschile, e ad una sottostima per le vittime dell’altro sesso (…).
La terza ragione è che i coefficienti di capitalizzazione di cui al r.d. 1403/22 sono calcolati con un saggio del 4,5% (…) non (…) più corrispondente alla realtà, in un’epoca in cui il tasso legale degli interessi è pari allo 0,5% e gli investimenti in titoli a reddito fisso raramente garantiscono rendimenti superiori al 2%.
Pertanto l’adozione dei coefficienti di cui al r.d. 1403/22 ha l’effetto di decurtare dal risarcimento un importo superiore a quello che, per effetto dell’anticipato pagamento, il danneggiato potrebbe ottenere attraverso l’impiego proficuo di quella somma (…).
La quarta ragione è che il r.d. 9.10.1922 n. 1403 è stato implicitamente abrogato per effetto della soppressione della Cassa Nazionale per Assicurazioni Sociali (…), e della sua sostituzione dapprima dall’Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale (1933), e quindi dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), e comunque per effetto della riforma dei criteri di calcolo della pensione sociale” (Cass. n. 20615 cit.).
Muovendo dalle predette premesse, la Corte di Cassazione ha dunque inibito l’utilizzo dei predetti coefficienti di capitalizzazione, poiché inidonei ad assicurare l’integrale ristoro del danno patrimoniale futuro subito dalla vittima primaria o secondaria dell’illecito, prescrivendo l’uso, ai suddetti fini, di coefficienti di capitalizzazione aggiornati e scientificamente corretti, quali quelli approvati con provvedimenti normativi vigenti per la capitalizzazione delle rendite previdenziali o assistenziali, o, per l’appunto, i citati coefficienti diffusi dal Consiglio Superiore della Magistratura.
Tanto premesso, non essendo possibile stabilire con sufficienti probabilità se il minore avesse conseguito una Laurea (nel qual caso avrebbe iniziato a produrre reddito, secondo l’id quod plerumque accidit, non prima del ventisettesimo anno di età), ovvero avesse fatto immediato ingresso nel mondo del lavoro non appena conseguito un diploma, cioè a diciotto anni, secondo il Tribunale di Lecce (sentenza sopra citata) appare equo effettuare il calcolo utilizzando quale coefficiente quello corrispondente ad un’età pari, all’incirca, a quella media tra le due innanzi indicate e, cioè, quello corrispondente all’età di 23 anni, ovvero 33,7169.
Moltiplicando, dunque, la somma di € 17.950,92 per il suddetto coefficiente di capitalizzazione si ottiene l’importo di 605.249,37.
L’importo ottenuto attraverso il calcolo di capitalizzazione va scontato attraverso il c.d. coefficiente di minorazione per la capitalizzazione anticipata corrispondente al numero di anni che intercorrono tra l’età attuale della minore e quella in cui avrebbe iniziato a produrre reddito.
In proposito va rammentato che lo sconto è l’operazione matematica che consente di attualizzare il valore di una somma di denaro che avrebbe dovuto essere percepita in futuro, al fine di decurtarla, per così dire, di un importo corrispondente al vantaggio che il creditore riceve nel conseguire in anticipo quanto avrebbe dovuto percepire in un momento successivo.
Tale operazione si effettua secondo la formula matematica S = C x R x T
dove S è lo sconto, ovvero la somma da detrarre dal capitale originario, C è il capitale da scontare, R è il tasso percentuale di sconto, pari al tasso d’inflazione e T e il tempo, che si indica in dodicesimi, di cui il pagamento viene anticipato.
Sicché, considerando, per esempio, che il minore avrebbe iniziato a lavorare tra sette anni e che il tasso d’inflazione registrato a novembre 2021 rispetto al novembre 2020 è pari allo 0,6% (indice NIC), la somma da detrarre al predetto importo di 605.249,37 si ottiene moltiplicando quest’ultimo per 0,6 ed ancora per 84/12 e poi dividendolo per 100 ed è pari ad 25.420,47.
Ne discende che il danno da perdita della capacità lavorativa specifica è pari ad € 579.828,90.
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